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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 6 - 16 Novembre 2006 | 0 commenti

Black out: Tre anni fa

Tre anni fa, erano le ore 3,01 del 28 settembre 2003, l'Italia conobbe il più disastroso black-out della sua storia. Un vero e proprio Guiness dei primati: perché riuscimmo nell'incredibile impresa di restare al buio con i 2/3 delle centrali elettriche letteralmente spente e la domanda ai minimi (solo Roma era accesa per la sua prima 'notte bianca'). La causa: un 'tiraggio' oltre ogni limite di sicurezza delle importazioni di elettricità che alle imprese convenivano più della produzione interna. Cinque morti per cause accidentali; 110 treni fermi con 30 mila passeggeri; parziale blocco del traffico aereo; interruzioni nell'erogazione dell'acqua in molte zone del Sud; bancomat fuori servizio, come la più parte dei distributori di benzina. La prima regione a riprendersi, dopo 3 ore, sarà il Friuli-Venezia Giulia, grazie al soccorso della Slovenia; la lanterna di Genova si riaccenderà dopo 4 ore, mentre per l'intera Liguria bisognerà attendere oltre 6 ore; per Roma circa 12. L'ultima regione, paradossalmente, sarà la Sicilia che dovrà attendere 18 ore e 56 minuti nonostante all'avvio del black-out 'esportasse' elettricità nel Continente. Blob, unica seria fonte di informazione, per giorni trasmise l'intervista del Presidente del Gestore delle Rete, Carlo Bollino, che dichiarava che in “Italia mai e poi mai accadrà un black-out elettrico”. Sdegno, rabbia, incredulità riempirono le prime pagine dei giornali. Ben 8 Commissioni di inchiesta furono prontamente avviate. Dopo 3 anni nessun responsabile è stato individuato, se non un povero diavolo che lavorava in Svizzera cui fu addossata ogni colpa. Finirà in modo non molto diverso con il black-out elettrico che, sabato 4 novembre intorno alle ore 22,0, ha attraversato come una frustata mezza Europa: dalla Germania alla Francia al Belgio alla Croazia alla Spagna all'Italia. Al di là delle ragioni contingenti che ne sono state all'origine (immissioni di kw eolici), resta il fatto che l'affidabilità fisica delle forniture energetiche, in passato mai venuta meno, da alcuni anni è sempre più spesso a repentaglio. Disservizi ed emergenze hanno interessato gli Stati Uniti come la Gran Bretagna, la Scandinavia come la Francia, anche se è l'Italia, come detto, a detenerne il triste primato: con il ricordato allucinante black-out del 2003 o con l'emergenza metano dello scorso (e non è escluso di questo) inverno. Se la sicurezza energetica – un bene pubblico che lo Stato dovrebbe sempre e comunque garantire – è ormai quotidianamente a rischio, quali ne sono le ragioni e quali gli insegnamenti che se ne dovrebbero trarre? Quanto alle ragioni una su tutte: l'insufficienza degli investimenti a seguito, anche se non unicamente a causa, dei maldestri processi di liberalizzazione e di privatizzazione. In un contesto di mercato concorrenziale e privatistico le imprese investono se (quando e quanto) è nel loro specifico interesse farlo e non se (quando e quanto) è necessario a garantire la continuità delle forniture. Nonostante i maggiori profitti ovunque registrati dopo l'apertura dei mercati e l'abbattimento dei (si diceva) rapaci monopoli, le imprese non hanno investito in misura adeguata, preferendo gratificare i loro azionisti e managers. Morale: in Europa la capacità di generazione elettrica, così come quella di trasporto all'interno dei singoli sistemi e di loro interconnessione con l'estero, si è andata progressivamente saturando più aumentava la domanda, mentre i margini di sicurezza si riducevano. Da qui i rischi di black-out che erano stati denunciati alcuni giorni fa nell'annuale European Energy Markets Observatory della società di consulenza Capgemini (disponibile sul sito) da cui emergeva come il margine di sicurezza nell'interconnesso sistema elettrico europeo, dato dal rapporto offerta/domanda di elettricità, si fosse pericolosamente ridotto al di sotto del 5%. Quali gli insegnamenti? Due in particolare. Primo: che qualcosa (anzi molto) nei processi di liberalizzazione/privatizzazione non ha funzionato: mettendo così a rischio quella sicurezza delle forniture che avrebbe dovuto costituire la prima preoccupazione d'ogni buona riforma. Con buona pace dei pasdaran liberisti che imputeranno anche questa crisi ad un deficit e non ad un eccesso di mercato. Se gli investimenti non riprenderanno (quel che non va accadendo) in modo consistente – nei prossimi 15 anni sarebbe necessario costruire una nuova centrale da 400MW la settimana (sì la settimana) – di crisi come quella dell'altra notte ne vivremo non poche. Secondo: che i sistemi elettrici europei sono divenuti sempre più interdipendenti: così che un qualsiasi fattore di crisi che interessi un paese si riverbera sugli altri con effetti difficilmente controllabili. Di conseguenza le politiche nazionali sono divenute inefficaci e costose, anche se il fallimento dell'Europa non conforta sulla possibilità di far conto su una pur imprescindibile azione e cooperazione sovra-nazionale. Armiamoci quindi, per concludere, di candele e pile.

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