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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 16 - 1 Maggio 2007 | 0 commenti

Le Leggi non scritte degli dei

Laicità significa tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, autoironia, demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri; capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili.

Tale concetto, espresso da Claudio Magris nel penetrante saggio La storia non è finita, rappresenta il leit movie capace di ricondurre ad unità le riflessioni che permeano i diversi capitoli.

La tendenza, ad oggi discretamente in uso, che propone un'antitesi tra i termini laico e credente, si posa ignorantemente su fondamenta mal poste: laicità, non è un contenuto filosofico, bensì un ambito mentale, la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che invece è oggetto di fede, a prescindere dall'adesione o meno a tale fede[1].

Esistono cattolici che laicamente avversano i finanziamenti pubblici alle scuole private, ed esistono, o almeno esistevano, laici come Benedetto Croce, autore del problematico saggio: perché non possiamo non dirci Cristiani. La distinzione, squisitamente razionale, tra la materia di fede e quanto invece è suscettibile di dimostrazione, lascia tuttavia irrisolto un nodo fondamentale: quando un problema etico, ad esempio la procreazione assistita, interessa incidentalmente i due ambiti, quale criterio dovrà prevalere? Ed ancora, fino a che punto è lecito che il moderno relativismo conferisca pari dignità a concezioni esistenziali distinte, e talvolta contrastanti ?

Il quesito, di non facile soluzione, affonda le proprie radici, non soltanto nel criterio con il quale è necessario parametrizzare il valore etico che determina una scelta, ma anche nella possibilità “kantiana” che tale scelta possa essere indistintamente estesa al resto della società civile.

La maggioranza numerica, fiore all'occhiello della concezione democratica, può non possedere tale lungimiranza. A questo proposito, è sufficiente ricordare come l'antisemitismo in Germania rappresentasse il sentimento condiviso da una vasta base elettorale, per comprendere come la democrazia non sia certo la panacea capace di armonizzare le pulsioni umane.

In una contemporaneità multietnica, ricca di scambi e interazioni, e allo stesso tempo percorsa da fanatismi uguali e contrari, una necessità legislatrice capace di relativizzare i propri costumi, senza per questo abiurare la logica profonda che li determina, può trovare nell'Antigone un mirabile aiuto.

Le leggi non scritte degli dei che animano la tragedia di Sofocle, sono quei principi razionalmente validi in ogni epoca e luogo, che rappresentano il minimo comune multiplo senza il quale il dialogo è inevitabilmente votato all'insuccesso. Su questi imperativi categorici, laicamente imprescindibili, si ergono le basi della società moderna, e più in generale, di qualsiasi forma di aggregazione votata ad una civile convivenza.

E' lecito che una qualsivoglia religione suggerisca ai suoi adepti la scelta di una determinata condotta morale (sempre rispettando le leggi non scritte degli dei), tuttavia, questa condotta obbligherà, al più, il singolo credente in foro interiore, senza per questo ergersi necessariamente a legislatrice del resto della società.v

Un individuo religioso, a buon diritto, può non ricorrere al divorzio, anche se questo divenisse auspicabile. Può, in ugual modo, anteporre le beatitudini celesti ad una vita infernale. Le scelte personali, quando non arrecano danni a terzi, devono potersi muovere senza alcun vincolo in un orizzonte libertario. Tuttavia, allo stesso modo, in una società laica, civile e multietnica, sempre che tale voglia definirsi, un individuo agnostico, ateo o teista deve poter, altrettanto liberamente, avere la possibilità di scegliere il contrario, fondando la propria felicità su basi secolari. Fortunatamente, almeno sino ad oggi, il peccato non è legalmente sanzionabile dall'ordinamento giuridico italiano. Sarebbe inoltre un segno di grande maturità religiosa, se i credenti, siano essi cattolici o buddisti, votassero laicamente per una scuola pubblica, capace di insegnare ai loro figli a leggere e scrivere, piuttosto che un versetto del corano o una parabola evangelica. Per questo motivo, disapprovo fortemente la richiesta di alcuni genitori di costituire in un liceo di Milano una classe esclusivamente musulmana, in cui far studiare i propri figli. Una tale proposta di autosegregazione di matrice razziale, non mi avrebbe stupito sulla bocca di un fervente leghista, ma è del tutto inconcepibile che nasca da quegli stessi individui che hanno il dovere e l'enorme responsabilità di educare coloro in cui affidiamo le sorti del domani. Ci si verrebbe da chiedere, perché non proporre nuove classi che ospitino chi non ha ancora superato l'esame civico dal titolo “libero Stato in libera Fede”?


[1] C. Magris, La storia non è finita, p.25.

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