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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 41 - 16 Giugno 2008 | 4 commenti

E' possibile e come per l'Italia rientrare nel nucleare?

A 20 anni esatti dall’azzeramento di ogni produzione nucleare nel nostro Paese; a 27 anni dall’ultima centrale realizzata (da Enel a Corso, vicino a Piacenza); a circa 40 anni dalla relativa procedura di licensing, è possibile rientrarvi e a quali condizioni?E’ possibile, in altri termini, dopo aver distrutto tutto il sapere di cui disponevamo – scientifico, progettuale, manifatturiero, gestionale – realizzare in tempi brevi nuove centrali nucleari, come Enel va dichiarando, dicendosi pronta a realizzare “5 centrali da 1.800 MWe in 8 anni” (3 per l’autorizzazione, 5 per la costruzione). Roba, che se vera, farebbe schiattare di rabbia i francesi? Ancora: è possibile, per tale via, contrastare il caro-petrolio e ridurre l’enorme svantaggio competitivo nei costi/prezzi elettrici verso l’Europa?
Il meno che si possa dire è che la realtà delle cose è ben altra da quel che si cerca di rappresentare e che le risposte ai problemi da risolvere sono molto ma molto più complesse di quanto appaia dalle semplicistiche posizioni espresse nel dibattito che si è acceso al riguardo. Dibattito teso, ieri come oggi, più a far la conta dei favorevoli e dei contrari al nucleare, per fini squisitamente politici, che a comprendere se quel che si propone abbia un qualche minimo fondamento e, soprattutto, quali siano le condizioni per darvi concreto seguito.
E’ mia opinione – e lo dico essendo stato tra i pochi che si batterono contro il referendum del 1987 e contro chi oggi ne parla a sproposito o se ne dice pentito (alla Chicco Testa per intenderci) – che il rientro nel nucleare non possa che realizzarsi in un’ottica di lungo periodo e non come concreta e ravvicinata possibilità di ridurre significativamente i costi dell’elettricità. Non illudiamoci. A parte il fatto che per riuscirvi bisognerebbe realizzare molte e non poche centrali, concorrono ad impedirlo, accanto a ragioni d’ordine sociale, in un paese che non riesce a realizzare una discarica, un rigassificatore, un termovalorizzatore, altre d’ordine economico. In sintesi: l’incompatibilità del nucleare con la logica di mercato che connota oggi i sistemi elettrici e che governa le decisioni degli investitori e finanziatori.
E’ proprio il mercato che spiega l’innegabile impasse in cui il nucleare versa – checché se ne dica – nell’intero mondo industrializzato. Sulle 35 centrali attualmente in costruzione nel mondo (di cui 13 bloccate), 20 sono nei paesi emergenti (in molti casi in regimi non propriamente democratici) e appena 5 nei paesi industrializzati. Nessuna negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania, in Canada, in Spagna. Negli Stati Uniti, l’ultimo kWh ordinato risale al 1978, mentre dal 1990 si sono costruite in quel paese centrali a metano per 220.000 MW.
Tra 1970 e 1990 si sono costruite nel mondo 17 centrali nucleari ogni anno. Dal 1990 al 2005 appena 1,7 per lo più nei paesi emergenti. I dati, nudi e crudi, sono questi. Venute meno le condizioni che in passato favorirono gli investitori (enormi aiuti di stato, assetti monopolistici che garantivano la domanda, prezzi che coprivano i costi remunerati), essi hanno volto le loro preferenze là dove i costi di capitale sono di gran lunga inferiori; dove rischi ed incertezze di mercato sono molto minori; dove i rientri degli investimenti sono molto più rapidi. Dove, in sostanza, la redditività è più certa e maggiore (in primis: metano) o dove addirittura è garantita (con i lauti sussidi alle mitiche quanto marginali rinnovabili).
Morale: le convenienze di mercato disincentivano oggi investimenti di lungo periodo, come sono tipicamente quelli nel nucleare. Piaccia o no, ma è così. Non a caso, l’unica centrale in costruzione in Europa, in Finlandia, è stata realizzata grazie ad un modello societario che bypassa il mercato (e grazie ad aiuti di Stato che la Commissione Europea ha messo sotto indagine), attraverso una partnership chiusa tra produttori e grandi consumatori che si sono impegnati a ritirare la produzione nell’intera vita della centrale a prezzi ancorati ai costi remunerati. Quel che ha azzerato ogni rischio di mercato, con la disponibilità delle banche a finanziare la centrale a tassi la metà di quelli altrimenti praticati.
Conclusione: in passato erano gli Stati a decidere se investire o no nel nucleare, oggi è il mercato. Accapigliarsi su quanto costi il nucleare rispetto alle altre fonti – confronto per altro difficilissimo – ha poco senso. Quel che conta è, infatti, la valutazione di convenienza che ne fanno imprese e banche, che rischiano del loro denaro. Se ne sono convinte, è perché ritengono che il nucleare sia vincente nel gioco del mercato.
Il ruolo degli Stati oggi è altro da quello del passato: è garantire certezza dei processi autorizzativi; definire standards e vincoli di sicurezza; predisporre organismi di vigilanza e di controllo altamente specializzati (in Italia sono stati sostanzialmente cancellati e vanno interamente ricostruiti); concorrere a individuare i siti delle centrali e quelli per smaltire le scorie (ed i modi con cui farlo); definire le politiche di regolazione. La decisione ultima resterà, comunque, degli investitori privati. Allo stato delle cose il loro interesse nella quasi generalità dei paesi industrializzati non va affatto palesandosi (Enel a parte), così che l’Agenzia di Parigi (un organismo associato all’OCSE e non un covo di anti-nuclearisti) stima, sulla base degli ordinativi in essere, solo una leggera crescita del nucleare nel mondo da qui al 2030, contro un raddoppio della complessiva produzione elettrica, con un conseguente calo della quota del nucleare di 6 punti al 9%.
Essere realistici, non significa tuttavia escludere che il nostro Paese debba e possa riprendere la via del nucleare, in un futuro non immediato ma da costruire, comunque, da subito. L’orizzonte internazionale è l’unica prospettiva entro cui farlo: puntando a recuperare e valorizzare il poco sapere rimasto; aggregandosi all’altrui impegno di ricerca; ripartendo, in buona sostanza, da zero: sul piano industriale, gestionale, istituzionale. Dire altrimenti, in modo strumentale e fazioso, è truccare le carte in tavola.
Perché questa prospettiva si traduca in fatti è necessario disegnare una chiara e credibile strategia di lungo periodo che fissi gli obiettivi da raggiungere e in che tempi; definisca l’assetto delle responsabilità nel rapporto pubblico-privato; quantifichi le risorse finanziarie che si intendono impegnare nella ricerca e a carico di chi; chiarisca in anticipo le politiche di regolazione dei mercati tali da ridurre le incertezze per gli investitori senza gravare sui consumatori o sui contribuenti. In altri termini: senza che si adottino altri sussidi simili a quelli che vanno gonfiando le bollette elettriche per sostenere le fonti rinnovabili (quantificabili nel solo fotovoltaico in 10 miliardi di euro nei prossimi 12 anni): con rendite a beneficio di pochi privati e a carico dell’intera utenza (ad oggi circa 40 miliardi di euro).
Una strategia che richiede chiarezza di intenti, determinazione nel perseguirli, continuità d’azione, e, non ultimo, piena condivisione politica (dati i lunghissimi tempi del potenziale rientro, non meno di 15-20 anni), onde evitare altri “Stretti di Messina”: ovvero che quel che una parte politica avvia, l’altra smantella. Senza nessuna illusione, comunque, di poter rimediare in breve ai morsi sempre più dolorosi della crisi energetica e agli sciagurati errori di venti anni fa. Di illusioni, sprechi, fallimenti nel nucleare ne abbiamo già patiti troppi in passato per poterne sopportare di altri in futuro.

4 Commenti

  1. articolo perfetto che sottoscrivo; andrebbe messo in prima pagina su un quotidiano nazionale.

  2. Gentile dottor Pecchio, al rngraziamo per aver visitato il nostro sito. condivido la proposta. l'arengo è un sito giovane e di limitata diffusioen mediatica. un tema e un articolo del genere meriterebbe ben altre pagine. lo proporremo agli altri giornali, ma dubito in un esito positivo

  3. Apprezzo l'articolo proposto perchè si discosta dall'ottica puramente politica ed entusiasta che pervade oggi questo tema e cerca di proporre un approccio realistico basato sulla valutazione dei costi e dei benefici, dei rischi e dei tempi.
    Ma se sono così in pochi oggi a proporre un'analisi critica e realsitica del nucleare, come si può pensare ad esso come una soluzione?

  4. commento di Alessandro Iaria da realismoenergetico

    L'aurorevole intervento di Clo' ci porta a riflettere su alcuni snodi cruciali legati alla decisione dell'Italia di passare al nucleare.

    Il serbatoio di conoscenza italiano e' stato forato quando ci siamo chiamati fuori dell'atomo, ed oggi, a distanza di anni, rimane ben poco da cui attingere. Questo e' un dato di fatto che puo' essere interpretato come insormontabile o, in modo costruttivo, come sfida. Dobbiamo metterci una pezza e ricominciare. Senza perdersi nei meandri di quello che fu, un ulteriore costo della fatidica scelta sul nucleare, allora intravisto da pochi, e' rappresentato dalla complessa evoluzione di “contesto” e di “sostanza” che i mercati hanno subito negli anni. Costruire una centrale “ieri” e costruirla “oggi” sono due cose decisamente differenti. Nel bene e nel male una grossa fetta di attivita' che allora potevano passare al di fuori dei mercati (es. finanziamenti pubblici) oggi non possono eludere il meccanismo allocativo (vedi Commissione Europea). Al contempo, come giustamente ricorda Stagnaro, i mercati finanziari sono piu' maturi ed in grado di fornire e supportare soluzioni di maggiore complessita'; che poi lo siano al punto da accompagnare la costruzione di centrali nucleari e' tutt'altro che scontato, come Clo' scrive.

    Nonostante tutti i dubbi sollevati dal Professore riguardo alla possibilita' di costruire il nucleare affidandosi al mercato, mi riservo comunque di spezzare una lancia in suo favore. Se oggi il dibattito sull'atomo e' cosi' acceso e' in grossa parte merito della funzione segnaletica dei mercati energetici. Se nonostante tutte le difficolta' lucidamente analizzate nell'articolo, comunque vi sono imprese che ad oggi stanno considerando l'ipotesi (e impiegando risorse in termini di valutazioni) di lanciarsi in piu' o meno arditi progetti attinenti al nucleare e' solo perche' il mercato ha fatto loro intravedere (a torto o a ragione) la possibilita' di riuscita.

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