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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 4 commenti

L'efficienza dell'inefficienza

Parafrasiamo l'articolo di un precedente numero de L'Arengo e ragioniamo brevemente sulla questione della crescita.

Ormai non si tollera l'ignoranza: la vera questione del cambio di passo nazionale, nonché il vero motivo del fallimento delle ideologie di pianificazione economica, è che qui in Italia (da secoli governata da comunisti e furbastri nullafacenti) ci si preoccuperebbe di ridistribuire e non di produrre. Ma che cosa c'è da ridistribuire, se nulla si è prodotto? Solo producendo si può crescere, l'emergenza nazionale è l'aumento del PIL. Dopodiché tutto si accomoderà.

Per altro verso ci si lamenta invece che questo Prodotto Interno Lordo non sia un buon indicatore dello stato di benessere di un Paese, in quanto misura il 'fatturato' come proxy della produzione che a sua volta dovrebbe rappresentare il benessere. In questi casi ci si sofferma sulle equazioni del tipo guerra = più armi = più giro di soldi = più benessere, maggiore costo dei farmaci e più malati = più fatturato per l'industria farmaceutica = più ricchezza e via discorrendo per le vie del politicamente scorretto.

Morale è la sentenza inappellabile che siamo condannati a crescere ed è per questo che tutti gli anni i politici e tecnocrati giocano a chi indovina il pronostico, a chi riassume la stagionalità, a chi interpola l'andamento dell'economia mondiale per gli effetti che avrà sul nostro Paese.

Da un punto di vista strettamente economico, nei modellini con i quali un economista in erba comincia a giochicchiare, la crescita non sembra necessaria. In effetti in un Paese dove ognuno abbia soddisfatta la propria funzione di utilità (scusate l'economistichese, diciamo che assumiamo l'ipotesi migliore, ovvero che le persone siano soddisfatte di ciò che hanno perché hanno ciò che vogliono, come si fa al primo anno di Università[1]), nel quale ognuno produca per conquistare i mezzi di scambio per avere accesso al consumo, il fatto che l'anno prossimo si debba 'crescere' (se siamo tutti contenti di ciò che abbiamo e non vogliamo comprare di più) significa solo che l'anno prossimo dovranno aumentare i prezzi cosicché ceteris paribus (a parità dei beni scambiati) risulti effettivamente una crescita del PIL (calcolato moltiplicando prezzi e quantità).

Abbiamo appena scoperto una cosa: l'inflazione è obbligatoria. L'aumento dei prezzi, tanto vituperato dall'opinione pubblica, è il grande equilibratore. Se i prezzi non aumentassero domanda e offerta non si incontrerebbero mai e un economista medio capisce come sugli assi cartesiani prezzi e quantità si allontanerebbero lasciando il campo a clamorose 'perdite di efficienza' (in senso economico). Peggio ancora se i prezzi calassero, l'Apocalisse sarebbe imminente (in parte sui prezzi delle case tale problema si è verificato in Giappone e negli Stati Uniti

la FED sta cercando di contrastarlo): a prezzi calanti tutti starebbero a dieta fino all'indomani perché, domani, fare la spesa costerà meno. La crescita dei prezzi e dei salari modifica le ragioni di scambio di ognuno, il potere d'acquisto, e quindi ha un effetto di redistribuzione.

Il problema della crescita, dunque, non è quello che riguarda le persone ed il loro dilemma di arrivare a fine mese. In Italia, in Europa, in generale nel Mondo, la ricchezza c'è e tutti avrebbero di che campare.

Tuttavia non è sbagliata l'affermazione che per distribuire bisogna crescere, ma vediamo di specificarne bene i termini. I sistemi di economia di piano avevano ridotto la crescita perché non esisteva l'incentivo personale a produrre per via dell'assenza del diritto di proprietà. Altresì è chiaro che in un mondo dove non c'è scarsità, come quello odierno, il tema non è la crescita del PIL mondiale ma la possibilità di accesso di tutti alla ricchezza e questa si chiama ridistribuzione.

Rimane evidente che tale ridistribuzione non può che passare dalla crescita di ognuno e dal diritto (per chi non può) e dovere (per chi può) di ognuno di contribuire alla produzione mondiale per conquistarsi la propria ragione di scambio per accedere al consumo. In un mondo non benevolente (quello dell'homo economicus) non ci si può attendere una redistribuzione post-tax. Questa è la sfida del mondo del lavoro, di chi lo vuole rappresentare e di chi vuole arrivare a fine mese senza rivolgersi a Wanna Marchi.


[1] Invece per studiare che cosa succede se non tutto è perfetto dovete vincere un Premio Nobel o cimentarvi a leggere e scrivere su L'Arengo del Viaggiatore

4 Commenti

  1. Complimenti per l'articolo, aspettavo che da dietro all'angolo saltasse fuori una qualche rossa primavera, o l'onore a qualcheduno, compagno o camerata,(perchè non prete?) ma sono arrivato fino in fondo senza che il tono cambiasse.
    Quello che sostieni, se si concorda con la premessa maggiore, segue in modo lineare ed è razionalmente ineceppepibile. Tuttavia, e l'eccezione sei tu stesso a sollevarla con l'espediente del modellino dell'economista in erba, se ognuno è soddisfatto di quanto possiede, l'imperativo categorico della crescita risponderebbe unicamente a criteri di matrice teorica. Perchè rincorrere la produzione come valore assoluto, e non come semplice relativo, necessario unicamente a soddisfare i propri bisogni?

  2. Già da quando sono Direttore sono diventato anche Responsabile…

    Provo a risponderti. L'economia ha come valore assoluto non la produzione reale ma i soldi: particolare è che i soldi di domani hanno valore anche oggi grazie ai tassi d'interesse. Se ci si aspetta che domani i soldi calino, anche oggi diventiamo più poveri e siamo meno propensi a scambiarci denaro così rallentando l'economia.
    Morale occorre crescita domani per muovere l'economia di oggi.

    Rimane invece piuttosto teorica la misurazione di tale crescita, per le oggettive difficoltà statistiche.

  3. Da come la descrivi, sembra che l'economia più che un' utile disciplina, rappresenti piuttosto un cappio steso su di un futuro incerto: se domani i soldi calano anche oggi diventiamo più poveri…E' come se uno ti facesse i conti in tasca per un debito che non hai ancora contratto. C'è di che rabbrividire!

  4. Tutt'al più si potrebbe sostenere che la finanza sia un cappio per l'economia.
    Però è vero anche il viceversa, che se domani i soldi aumentano oggi diventiamo più ricchi, per cui non è corretto definirla un cappio ma si può pensarla come un amplificatore in positivo o negativo.

    A difesa della finanza bisogna dire che è crollata per essere stata troppo democratica e aver prestato soldi ai troppo poveri per avere una casa, infatti in genere la possiblità di accesso al credito è una forma di redistribuzione che si paga in termini monetari ma si gode in termini reali.

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