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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 48 - 16 Ottobre 2008 | 14 commenti

Lei mi deve rendere conto

Lei mi deve rendere conto

Ho sempre pensato che i primi episodi della saga del Ragionier Ugo Fantozzi fossero da proiettare nelle scuole. Tra l'innegabile demenzialità degli sketch, con il suo appartamento equo-canone e il posto fisso da impiegato, la TV a colori e l'onnipotente telecomando, la Bianchina e il mitologico mega-direttore molto umano, le vicende del povero Bambocci dipingevano caricaturalmente ma a perfezione uno spaccato della storia d'Italia del dopo-guerra. Ripensandoci, alcune scene non sono proprio adatte alle scuole medie. Meglio un corso universitario di economia dello sviluppo.

In “Fantozzi Contro Tutti”, la signora Pina incorre in settecentomilalire de debbito comprando pane dal panettiere sottocasa, del quale si è infatuata. Il butterato Cecco non esita ad abusare della buonafede della Pina per venderle scaffali di pane. Il Ragioniere, in uno dei rari sparzzi di orgoglio personale, decide di affrontare il giovanotto e irrompe nel forno per chiedere chiarimenti. “Lei mi deve rendere conto” esclama convinto il prode Fantocci. “Del conto se ne occupa mio zio Antonello” risponde pronto Cecco, invitando il Ragioniere a portare altrove le proprie lamentele. La storica scena si conclude dopo minuti di derisioni da parte dei fornai nei confronti del malcapitato che, sconfitto ed umiliato, puo' solo urlare “Il pane qui da voi non lo comprerò mai più”.

In queste tre semplici e ridicole frasi, che ci crediate o meno, si racchiude una dimensione fondamentale dello sviluppo economico: l'importanza delle relazioni di accountability tra diversi gruppi sociali. Sono impazzito? Forse. Ma nella mia pazzia c'è del metodo.

Il World Develompent Report 2004, pubblicato dalla Banca Mondiale, esamina i meccanismi che legano i diversi attori che a vario titolo partecipano nel processo di fornitura di servizi pubblici e disegna il “mondo” come un triangolo.

Dividiamo una società in tre categorie di individui legate tra loro da diversi tipi di obbligazioni contrattuali, sociali, o politiche. Da una parte la classe politica/governo, dall'altra coloro che vengono incaricati di fornire servizi pubblici e, infine, i cittadini/clienti ed elettori.

Ogni gruppo è necessariamente legato agli altri in modi diversi. I cittadini, per esempio, in quanto elettori, esprimono il loro supporto a questo o a quel politico/esecutivo andando a votare (opzione “voice” secondo Hirshman). Allo stesso modo, possono manifestare il loro dissenso attraverso varie forme di protesta (referenda, scioperi e via dicendo). In altre parole, i cittadini firmano un contratto elettorale (Berlusconi docet) e incaricano i loro rappresentanti di amministrare la res publica. Ecco spiegata l'importanza della frase “lei mi deve rendere conto”. Cecco, su richiesta, deve spiegare a Ugo il perche' delle settecentomilalire di debito o del pane con la muffa. E se la maggior parte dei clienti di Cecco crede che la giustificazione non é soddisfacente, Cecco cambia mestiere. E non provi a scaricare il barile allo zio Antonello.

I politici o l'esecutivo, a loro volta, delegano la fornitura di certi servizi pubblici (in maniera più generica, l'adempimento delle proprie responsabilità nei confronti dei cittadini) ad agenti terzi. Per esempio, un governo decide di affidare il sistema educativo al Ministero dell'Istruzione, o ad indivui privati, o ad un mix dei due. In altre parole, la classe politica adotta una strategia per raggiungere obiettivi economico-politici e contratta fornitori con il mandato di realizzare gli stessi. L'esecutivo, proprio come Fantozzi, deve essere in grado di chiedere conto al Ministero dell'Istruzione di come sono state spese le risorse pubbliche allocate. E se queste sono state sprecate, deve poter dire che “Io il pane qui da voi non lo comprerò mai più”.

I fornitori, infine, sono l'interfaccia dell'esecutivo nei confronti dei cittadini/clienti. Così come deve rispondere a chi assegna lui un mandato, il fornitore deve anche essere accountable ai propri clienti. Se il sistema educativo, ad esempio, fornisce insegnanti assenteisti e curricula scadenti, il cliente/elettore deve poter decidere di “comprare il pane altrove”. Se il governo (centrale o locale che sia) invia risorse alle scuole ma gli alunni non hanno i libri di testo, il governo deve poter chiedere un resoconto delle spese (e magari licenziare qualcuno, dico io).

Se si immagina il mondo in queste tre dimensioni, e se accettiamo una definizione allargata di servizio pubblico (non solo raccolta rifiuti e esercito, ma anche posti di lavoro, sistema educativo, disciplina fiscale e via dicendo), diventa immediato capire la fondamentale importanza dell'interazione tra cittadini, governo e fornitori di beni pubblici. Sia che queste interazioni siano contrattuali o politiche, raggiungere un equilibrio in cui ognuno accetta di dover render conto alle controparti, di sottostare a regole ed pagare le eventuali sanzioni derivanti, diventa fondamentale per la crescita economica.

Perchè? Perchè quando tutti accettano responsabilità per le proprie azioni, si hanno maggiori incentivi a utilizzare al meglio le scarse risorse disponibili.

Perchè un governo e' meno incline a distrugge ricchezza con politiche scellerate se gli elettori hanno il potere effettivo di rimpiazzarlo. Perchè se un sistema educativo pubblico sperpera fondi pubblici senza mostrare risultati, e il cittadino può minacciare credibilmente di rivolgersi ad un fornitore privato, allora il Ministero dell'Istruzione si assicurerà che gli insegnanti non leggano il gionale in classe.

Perchè impedendo a politici e fornitori pubblici di scaricare il barile allo zio Antonello, costringendoli a render conto delle loro azioni, non arriveremmo a situazioni in cui elites governano da decenni paesi tecnicamente in bancarotta. Ma piuttosto, avremmo situazioni in cui, per dirne una, il governo ha incentivo a perseguire politiche sostenibili e pro-crescita.

E questo, si badi bene, non è solo un modo involuto per sottolineare la relazione tra democrazia e sviluppo economico. Il concetto di democrazia comunemente usato non è sufficientemente esplicativo.

Nessuno, per esempio, negherebbe che l'Italia è una democrazia. Ma da lì a dire che il governo risponde ai propri elettori, che i cittadini hanno il potere di cambiare le cose o che i fornitori dei servizi pubblici pagano per i propri errori, il passo è lungo. Per non dire abissale.

Infatti, potrei affermare che il motivo esatto per cui l'Italia non cresce da oltre un decennio è proprio perchè i meccanismi di accountability non funzionano. E non credo direi uno strafalcione madornale. Quando Ugo eslama “lei mi deve rendere conto”, riferendosi al pane a prezzi inflazionati o avariato, Cecco puntuale rimanda allo zio Antonello, che prende tempo. E Ugo, per quanto urli e si dimeni, il pane continua a comprarlo da Cecco. Il fatto che in italiano non ci sia una parola che traduca “accountability” è abbastanza sintomatico.

Nel linguaggio comune, un sistema di governo è considerato una democrazia quando permette il regolare svolgimento di elezioni ad intervalli definiti, quando rispetta i diritti fondamentali delle persone (diritto alla parola, all'opinione, di fede, di espressione, e via dicendo). E, a pensarci bene, questa linea di pensiero è assai superficiale. Le condizioni di cui sopra sono solo condizioni necessarie e formalmente sufficienti per definire uno stato “democratico”.

Le vere democrazie si spingono oltre (e per questo crescono). Le vere democrazie raggiungono un equilibrio in tutte e tre le dimensioni. Non solo per quanto riguarda elezioni. In Svezia, i cittadini non accetterebbero che, per dirne una, ogni 100 euro di fondi pubblici inviati ad una scuola, 90 vadano persi per strada. Cosa che succede in innumerevoli paesi Africani, per quanto democratici possano essere. La democrazia aiuta, ma meccanismi di accountability condivisi, ben implementati e radicati sono (forse) più importanti.

Chiamiamole istituzioni funzionanti. Chiamiamoli incentivi. Chiamiamola democrazia. Io lo chiamo senso civico, responsabilità politica e la cultura del “render conto”. La vera differenza tra un paese come la Svezia e uno come l'Italia, o tra il Botswana e la Nigeria, sta nel poter urlare al panettiere “Lei mi deve rendere conto”, nel non dover sentirsi dire in tutta risposta “Del conto se ne occupa mio zio Antonello”. Nella possibilità di dire “Io il pane qui da voi non lo comprerò mai più”.

14 Commenti

  1. Ciao Zini. Solo una sottolieatura sul tuo articolo che, proprio in questo periodo, ritengo piuttosto delicata.

    Il tuo ragionamento gira perfettamente se non per un punto che purtroppo ritengo assolutamente imprescindibile:credo ci siano beni pubblici, tra cui il sistema educativo (ma penso anche a tutta una gamma di servizi), che escono dalla logica da te descritta solamente per il fatto che risulta (ovviamente per me) impensabile immaginare che il cittadino/cliente possa rivolgersi ad altro fornitore. Purtroppo non credo che in una logica di mercato, troppo legata al fine ultimo dei profitti, possano essere garantiti servizi quali educazione, sanità eccc. E non per la qualità che sarebbero in grado raggiungere, ma proprio per il fine ultimo per il quale tali servizi sono erogati.
    Quindi escludendo dal tuo ragionamento il passaggio di poter rivolgersi come cittadini/clienti ad altri fornitori e tutto mi fila. E se le cose non funzionano il cittadino avrà sempre la possibilità di essere rappresentato da qualcuno più competente.

  2. Ciao Piro,

    capisco quello che dici ma non sono totalmente d'accordo.

    Anche se il mio articolo non voleva essere un'esortazione a rivolgersi a scuole private o dire che il mercato puo' risolvere tutti i problemi, penso che ci siano un sacco di esempi in giro che mostrino come la concorrenza tra pubblico e privato possa fare del bene.
    Non credo ci sia una regola per cui i beni pubblici debbano essere forniti solo ed esclusiamente dal governo.

    In Svezia, per esempio, lo Stato da una sorta di voucher alle famiglie che poi sono libere di rivolgersi a scuole pubbliche o private. I privati possono aprire scuole (ammesso che rispettino certi standard governativi minimi) e fornire poi servizi che vengono pagati dai cittadini con questi vouchers. L'eventuale profitto/perdita (delta tra costo per studente e voucher) e' tutto di guadagnato/perso per il fornitore privato.
    Il sistema di incentivi e' bello semplice in questi casi. Se gli alunni diventano bravi lavoratori, i genitori contenti del servizio reso e tu fornitore (stato o privato) tieni i coosti sotto controllo, sopravvivi ed, eventualmente crei profitti. Senno' te ne vai fuori mercato.
    La Svezia non e' di sicuro un esempio di capitalismo sfrenato, ne converrai.
    E faccio fatica a credere che un qualsiasi sistema educativo puramente pubblico sia meglio.
    La sanita' svedese funziona in modo piu' o meno simile. Fornitori privati convivono tranquillamente con servizi pubblici senza che nessuno neghi la funzione sociale di certi servizi.

    La privatizzazione dei servizi locali e' un altro ambito in cui il dibattito e' aperto ma non sembrano esserci particolari controindicazioni al privatizzarne alcuni.

    Nel mondo dello sviluppo economico, sono anni ormai che si dibatte se il governi siano piu' o meno efficienti dei privati nel fornire determinati servizi. I servizi locali vengono “outsourced” a privati in molte realta' e non vedo perche' e' impensabile il contrario.
    Se e' una questione ideologica, ok. Ma l'evidenza empirica sta dall'altra parte.
    Parli di “fine ultimo” di certi servizi. Ma cosa cambia, a livello di “fine”, se il servizio e' erogato e qualcuno ci fa profitto sopra o se qualcuno sta cacciando soldi dalla finestra?

    Certo, preferisco la sanita' italiana a quella americana. Certo, la sanita' deve essere per tutti e gratis per chi non se la puo' permettere. Pero', sono anche convinto che vaste possibilita' di scelta siano meglio. E personalmente non ci vedo nulla di male se qualcuno mi fornisce un servizio del quale io sono soddisfatto e, nel frattempo, fa un profitto.
    Personalmente, sarei molto contento di sapere che qualcuno fa un po' di soldi alle spalle dell'educazione di mio figlio, se l'educazione che riceve e' di tipo svedese.
    E, allo stesso modo, non sarei molto contento di sentirmi dire che, visto che l'educazione italiana e' pubblica, allora la qualita' e' quella che e'. Se non altro perche' stanno usando soldi anche miei per finanziarla.

    Se ti rifersici in particolare all'Italia, posso pure essere d'accordo.
    Se si costruisse un modello svedese da noi, gli appalti finirebbero nelle mani del figlio del ministro dell'educazione che si intascherebbe i soldi e fornirebbe servizi pessimi aspettando che il governo copra le perdite. Ma diventa dura dare la colpa al mercato, in un caso del genere!!

    Il punto della questione e': tu governo sei pronto a prenderti le tue responsabilita' e a rischiare di perdere il proprio posto di lavoro? Se pronto a competere con altri?
    In Italia la risposta e' decisamente no. In Svezia, decisamente si.

  3. Caro Zini, l'esempio della Svezia è sicuramente allettante, ma proprio perchè non tutti i casi di concorrenza tra pubblico e privato ha portato a tali eccelenti risultati non credo che uno Stato possa ribaltare il rischio di inefficienza su di un soggetto privato.

    Parto ovviamente da una questione ideologica, ma preferisco che sia lo Stato ad assumersi la responsabilità dell'erogazione dei Servizi.

    Sui termini della questione siamo comunque d'accordo perchè quello che ancora manca al sistema pubblico, ed in Italia in particolar modo, è quella forma di accountability di cui parlavi, naturale per una qualsiasi forma di investimento privato, ma necessaria anche per garantire un miglioramento di efficienza nel settore pubblico.

    Sai bene che parlo da dipendente di una società pubblica e ti assicuro che ad oggi questo sistema è totalmente inesistente soprattutto a causa della governance di tali società, totalmente politicizzate e pertanto coperte da qualsiasi rischio se non da quello del cambio di orientamento politico…

  4. Io penso che in un'attenta lettura dell'art 33 della cosituzione stia la risposta :

    Art. 33.

    L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

    La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

    Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

    La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

    È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

    Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

  5. Ci tengo solo a precisare che non ho mai detto di rinnegare la costituzione ne suggerito di pagare per le scuole private italiane (nel loro stato attuale).

    Usavo l'educazione come esempio e comunque il mio discorso era ben piu' generico e si riferiva al senso di responsabilita' civica che un fornitore di servizi pubblici deve avere nei confronti dei propri clienti e di chi lo legittima.

    Detto questo, Costituzione a parte, e detto che non mi viene nemmeno in mente di suggerire che il governo paghi per studenti che se ne vanno in quei pseudo-licei da 7-anni-in-1, facevo solo notare come un po' di (regolamentata) concorrenza facesse del bene.
    Credo che il problema di Tobi e Piro nei confronti di quello che suggerisco sta nell'antipatia verso il concetto di “scuola privata” con cui (giustamente, a mio avviso) siamo cresciuti.
    Per la nostra generazione,scuola privata significa “figlio di papa' pluri-bocciato ripetutamente che compra il diploma”.

    Ma questo fenomeno non ha nulla a che fare col concetto di privato. E' infatti il sistema pubblico che permette a questi privati di vendere titoli fasulli ai cittadini. E', di nuovo, un fallimento del sistema pubblico.

    In determinate e diverse condizioni (ovvero se l'Italia non fosse l'Italia), chi si opporrebbe a privati svedesi che vogliano entrare nel mercato dell'educazione italiano??

    PS. Non pensiate sia uno scherzo. Leggete qui
    http://www.economist.com/business/displaystory.cfm?story_id=11535645

  6. Altro esempio.
    Credo che in Bocconi si paghi dai 3,000 agli 8000 euro l'anno a seconda del reddito.
    Secondo voi, se ci fossero 10 Bocconi in Italia e lo stato desse la possibilita' a tutti di scegliere tra la Bocconi e, per dirne una, la nostra Alma Mater (ovvero desse alle famiglie un voucher da redimere nella scuola di loro gradimento), farebbe tanto male all'Universita' Italiana??
    Sarebbe tanto disdicevole??

  7. Io invece non ho mai detto che le scuole private mi siano antipatiche, possono esserlo quelle confessionali ma, per parlare in generale, mi piacerebbe anche aprirne una.

    Credo lo dica la Costituzione quando dice che l'insegnamento è libero e che lo Stato deve stabilire una legge di parità che consenta a tutti un trattamento equipollente.

    Ma dice anche che lo Stato istituisce scuole di ogni ordine e grado, dalla materna all università, e non finanzia l'istituzione di scuole private.

    Sono contrario al voucher dove lo Stato avrebbe solo il ruolo di regolatore e non di attore, venendo meno a tale aspetto di quanto detto sopra. Questo perchè dev'essere la fiscalità generale a finanziare la scuola pubblica, cioè TUTTI, mentre con il sistema del voucher la finanzierebbe solo chi ci va.

    Sono inoltre scettico su questi sistemi di regolazione che in teoria funzionano ma in pratica tagliano quel che c'è.

  8. La Costituzione dice che lo Stato istituisce le scuole: non dice che se – per ipotesi e fuori dai denti – una scuola pubblica fa schifo e pian piano non ci va nessuno allora devi continuare a pagare quei cretini dei docenti per tutta la vita.

  9. Bravi, mi siete piaciuti entrambi. Capisco Zini, e capisco Tobia.
    Anche io non ho nessun pregiudizio rispetto alla scuola privata (e per giudizio personale preferisco quella confessionale al diplomificio che andrebbero proibiti sempre seguendo la costituzione). Ben vengano, tanto sono e devono restare una realtà ulteriore rispetto a quella pubblica. Non sono in Italia e non devono diventare complementari a quella pubblica.
    E' il problema dell'efficienza pubblica il nocciolo. E non credo si risolva con la concorrenza tra pubblico e privato perchè non sono e non potranno mai essere dotate di strumenti giuridici equipollenti (oltre al discorso dell'interesse finale già fatto) proprio perchè assoggettati a due differenti diritti. Per comprare una penna in una scuola pubblica bisogna attenersi alle regole del DLGS 163/2006 e la compro dopo due mesi, mentre nel privato basta che vado in tabaccheria e la compro. Questo si traduce in inefficienza del sistema pubblico.
    QUindi, non mettiamoli in concorrenza, ma modifichiamo le leggi del sistema pubblico per renderlo più efficiente, più responsabilizzato, più libero da assurdi vincoli di trasparenza e correttezza: diamo poteri ai manager pubblici di essere liberi di operare e riserviamoci il potere di mandarli a casa.

  10. Scusate l'italiano poco corretto, ma sono al lavoro….

  11. Modifichiamo le leggi del sistema pubblico per renderlo più efficiente, più responsabilizzato, più libero da assurdi vincoli di trasparenza e correttezza: diamo poteri ai manager pubblici di essere liberi di operare e riserviamoci il potere di mandarli a casa.

    Parole sante, caro Piro…parole sante…
    Come era pure i detto??
    E' piu' facile che un elefante passi per la cruna di un ago?? :)

  12. Mi si dice che e' il cammello che dovrebbe passare per la cruna di un ago.
    Ma un elefante e' ancora piu' grosso!!

  13. A parte che era un cammello :D
    e comunque se il pubblico non è in grado di fare quel che già deve, è meglio che non provi a fare cose nuove come il 'regolatore' (che tra l'altro ha un costo).

    Morale tenersi tutto così sembra l'opzione migliore.

    Chi diceva che governare gli italiani non è difficile ma inutile si sbagliava, talvolta non è inutile ma addirittura dannoso… queste le conclusioni di un'analisi riformista?

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