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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 51 - 1 Dicembre 2008 | 0 commenti

Milano e i suoi kebab

Chi l’avrebbe mai detto dieci anni fa che molte zone periferiche di Milano destinate al declino sarebbero state rivitalizzate da un kebab? Certo forse è un azzardo affermare un’idea simile e si rischia di far indispettire qualche acceso difensore della tradizione meneghina, ma è innegabile che la piccola e media imprenditoria straniera abbia occupato spazi in città che altrimenti sarebbero rimasti vuoti. Le saracinesche di molti negozi, chiuse a causa della concorrenza dei grandi centri commerciali, sono state riaperte da “kebbabari” egiziani o marocchini, da calzolai marocchini, da imprese di pulizie egiziane, dai phone center peruviani. L’integrazione delle attività economiche degli stranieri con il tradizionale commercio milanese sta avvenendo senza particolari tensioni, ad eccezione di casi sporadici e davvero particolari come quello di via Sarpi ( lo scontro tra commercianti cinesi e vigili urbani che provocò non pochi grattacapi all’amministrazione comunale).

Secondo il Dossier Caritas/Migrantes 2007 gli imprenditori stranieri in Italia sono 141.393, 33.101 in Lombardia, 16.871 a Milano e Provincia (l’11,9% sul totale). Le attività principali sono nei settori del Commercio e riparazioni (37,1%) e delle Costruzioni (36,9%); seguono a distanza il settore dei servizi (7,4 %), il tessile (6,3%), i trasporti (3,3%) e l’alberghiero (1,6%). Questi piccoli e medi imprenditori solitamente hanno una scolarizzazione medio/alta, hanno accumulato il capitale per avviare le loro attività svolgendo per anni i lavori più disparati (e disperati) nel nostro paese, hanno intenzione di rimanere a Milano e di investire qui il loro guadagni e le loro capacità (secondo lo studio del Progetto Equal/Koinè dell’aprile 2006 più del 60% di essi ha intenzione di rimanere definitivamente in Italia); sono aperti fino a tardi e quasi mai chiudono in estate, offrendo quindi ai cittadini dei servizi utili altrimenti difficilmente reperibili; creano opportunità di lavoro e di guadagno per molti cittadini milanesi (dalle ditte di manutenzione, alle banche, alle agenzie immobiliari: molte realtà economiche traggono vantaggi da questa espansione economica). Aiutano a rendere più sicure alcune vie della città: negozi aperti fino a tardi, insegne luminose sono sintomo di una città che esce di casa e che organizza diversamente i tempi di vita e che, soprattutto, modifica i propri orari per rispondere meglio alle esigenze ormai cambiate dei cittadini (oggi un cittadino milanese, rimasto in ufficio fino a tardi, può trovare prodotti di prima necessità e non nei negozi gestiti da stranieri fino a sera inoltrata). Il kebab è un po’ il simbolo di questa espansione commerciale e di questo percorso di cambiamento della città: centinaia di pizzerie/kebab sparse per la città, frequentate per lo più dai giovani milanesi, offrono un buon prodotto a prezzi davvero contenuti, fanno concorrenza ai colossi del fast food e rendono vivaci zone della città che sembravano avviate al degrado.

Per questo siamo andati a trovare Ibrahim e Fatma Ozken, imprenditori turchi da anni a Milano. La loro azienda (la Helal Turk: 11 dipendenti, 9 turchi e 2 italiani) fornisce la carne e gli strumenti per preparare kebab agli oltre 300 negozi del settore aperti a Milano. Chiediamo se hanno avuto difficoltà e se subiscono discriminazioni: “nessun problema, diffidenza all’inizio, soprattutto con le banche, ma abbiamo avuto le stesse difficoltà degli italiani, a partire dalla burocrazia”. Alla domanda se l’imprenditoria straniera rappresenti un rischio o un’opportunità rispondono senza esitazione “ fatturiamo 3 milioni all’anno e paghiamo 400 mila euro di iva, versiamo i soldi in una banca italiana, abbiamo un capannone a Rho costruito da italiani così come i nostri furgoni. Il commercio di kebab è un’opportunità di lavoro per molti italiani; un produttore di griglie per kebab tedesco ha intenzione di aprire una fabbrica qui”. “Cosa chiedete alle istituzioni?” “Vorremmo solo più informazione, che si sapesse di più che esistono imprenditori stranieri e che creano posti di lavoro”.

Siamo di fronte ad un processo senza aspetti critici? Sicuramente no, ma è innegabile che la piccola imprenditoria straniera abbia portato aria nuova in città e lo abbia fatto attraverso le regole del mercato e della concorrenza; soprattutto essa sta contribuendo in modo non secondario al cambiamento degli orari e dei tempi di vita di una città che non può non mettersi al passo di altre metropoli europee. Cosa può fare la politica per sfruttare al massimo le potenzialità positive e ridurre al minimo gli aspetti negativi? Intervenire il meno possibile e fare ciò che le dovrebbe competere: regolare il mercato, assicurando che la concorrenza avvenga nella legalità, vigilare sul rispetto delle norme, evitare che nascano ghetti o zone “franche” intervenendo per tempo e non dopo il verificarsi di emergenze. Cosa chiedono in cambio gli imprenditori? Quello che chiedono i loro colleghi italiani, ma soprattutto qualcuno che parli di loro, che faccia emergere questo lato virtuoso del fenomeno immigrazione.

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