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Scritto da nel Internazionale, Numero 55 - 16 Febbraio 2009 | 4 commenti

Cuba: i primi 50 anni della rivoluzione «patriottica»

Il primo gennaio 1959 i guerriglieri barbudos entrano a La Habana accolti in maniera trionfante da migliaia di cubani. Batista, invece, abbandonato dagli Americani e odiato dalla popolazione isolana, la notte dell’ultimo dell’anno abbandona l’Isola su un aereo carico d’oro e gioielli preziosi.
Il giorno seguente, non prima di aver sventato l’ultimo tentativo dei «batistiani» di costituire un governo di transizione, giungono nella capitale due protagonisti della rivoluzione, Guevara e Cienfuegos. Fidel Castro, il capo del più importante focolaio insurrezionale, arriva nella maggiore città cubana solamente il 9 gennaio, dopo una lentissima traversata dell’Isola poiché costretto a fermarsi in ogni città e villaggio per rispondere alle acclamazioni della gente.

Quest’anno la rivoluzione cubana compie il suo primo mezzo secolo di vita.
Nonostante i media italiani abbiano dedicato pochissimo spazio a questo anniversario, ritengo che la sua sopravvivenza da cinquant’anni avrebbe dovuto suggerire qualche riflessione in più.

Gli Stati Uniti hanno tentato in tutti i modi di destabilizzare e far cadere il Regime castrista.
Nell’aprile del 1961 un gruppo di controrivoluzionari appoggiati dalla Cia sbarca nella Baia dei Porci ma non provoca una sollevazione popolare come sperato, bensì un’impressionante mobilitazione politica e militare che fa fallire l’operazione e infligge un duro colpo al prestigio dell’Amministrazione Kennedy.
L’immorale e ormai anacronistico embargo, condannato dall’Assemblea dell’Onu per ben 17 volte consecutive, risale al 1962 e, oltre a causare una permanente penuria di prodotti di ogni tipo, sospinge Cuba a legarsi all’Unione Sovietica, dapprima economicamente e poi politicamente.
L’ultima iniziativa americana volta a favorire un cambio politico a Cuba, come ci ricorda Gianni Minà, porta la firma di Bush e consiste nello stanziamento di 140 milioni di dollari nel 2007 e 45 nel 2008 (nonostante la crisi economica) per un progetto di destabilizzazione dell’Isola attraverso il varo di una sorta di strategia della tensione.

Altri eventi come la crisi economica del cosiddetto periodo especial, quando Cuba perde quasi tutti i suoi partner commerciali a causa del disfacimento del mondo comunista, oppure il passaggio di due cicloni di notevole entità a solo una settimana l’uno dall’altro (Gustav e Ike tra agosto e settembre scorsi), aggiunti alle politiche aggressive statunitensi, avrebbero messo in ginocchio qualsiasi Paese. Non Cuba.
Nonostante tutto, la rivoluzione riesce a garantire a ogni abitante dell’Isola un minimo di dignità. Basti pensare al cibo e alla casa, ma anche all’assistenza sanitaria e alla promozione dell’igiene che elevano l’aspettativa di vita della popolazione cubana a livello di quella statunitense.
Il programma di alfabetizzazione, inoltre, è un completo successo. Questo viene realizzato facendo appello agli studenti universitari, preparati rapidamente nella prima fase della rivoluzione, allo scopo di insegnare a leggere e a scrivere agli adulti che vivono nelle campagne e nelle montagne. L’istruzione è a tutt’oggi gratuita, e quasi tutti i ragazzi cubani finiscono almeno la scuola secondaria.

Ma ciò che tiene in vita la rivoluzione anche nei momenti più difficili è probabilmente il suo essere anche patriottica. L’esito trionfale del 1959, infatti, è frutto di altre due insurrezioni per l’indipendenza: quella per affrancarsi dai colonizzatori spagnoli nel 1898 e quella del 1933 che determina la fine della dittatura di Gerardo Machado definito da alcuni storici, forse impropriamente, il Mussolini cubano (è curioso e significativo che anche lui, come Batista, fugge dall’isola su un aereo carico d’oro). La caduta di Machado porta nel 1934 al decadimento del famoso Emendamento Platt che ha permesso agli Stati Uniti un dominio di tipo coloniale su Cuba.
Quindi la lotta per la sopravvivenza giorno per giorno, specie nel primo decennio della rivoluzione, viene portata avanti con una coscienza collettiva e solidaristica ben salda nella popolazione cubana, che poi è la stessa che sta permettendo all’isola di rialzarsi dopo il catastrofico impatto degli ultimi eventi naturali. Ossia, usando le parole del Ministro della cultura Abel Prieto, «ancora oggi è presente tra la gente questa idea di base della Rivoluzione cubana associata al fatto che nessuno verrà abbandonato […] Questa idea fa ancora parte della cultura, della memoria, dell’esperienza di cinquant’anni di pratica quotidiana della solidarietà».

Non bisogna dimenticare però i limiti della rivoluzione cubana, che la caratterizzano sin dalla nascita (quando ci furono centinaia di esecuzioni di criminali e quadri del vecchio regime) e devono essere superati se l’isola vuole essere veramente, come dichiarato dal presidente ecuadoriano Rafael Correa «la speranza e il destino di tutta l’America Latina». Mi riferisco in particolare alla libertà di stampa, alla possibilità dei cittadini cubani di entrare e uscire senza restrizioni dal Paese, di creare un’impresa o di associarsi in partiti politici.
In ciò i giovani dirigenti, che prima o poi sostituiranno i vecchi leaders dell’insurrezione del 1959, potranno essere supportati e incoraggiati da presidenti che si sono detti «influenzati» dalla rivoluzione cubana e che stanno provando a costruire una nuova America Latina, quali Lula, Correa, Morales, o Cristina Kirchner. Questi hanno annunciato il reintegro di Cuba nell’Organizzazione degli Stati Americani, dalla quale l’isola è esclusa dal 1962 per volontà degli Stati Uniti, e la richiesta a Barack Obama di porre fine all’embargo.

Osservando la drammatica situazione economica, sociale e persino umanitaria della maggior parte dei paesi dell’America Latina, la rivoluzione cubana può essere fiera dei suoi primi cinquant’anni. Ma non può accontentarsi della mera sopravvivenza. Le nuove generazioni giudicano quanto succede davanti ai loro occhi. E il prolungamento dell’immobilismo politico, economico e sociale da parte della dirigenza cubana rischia di alienare le simpatie dei più giovani verso il regime vigente frutto della rivoluzione. E questo rappresenterebbe un quanto mai beffardo suicidio.

4 Commenti

  1. Complimenti Mac,
    un bellissimo articolo che lascia spazio alle dovute riflessioni.

  2. Bella Mec…Vogliamo Fava e Vendola leaders del pd!!!

  3. Bella Dario…totalmente d'accordo su tutto, l'unica cosa e' che con l'”apertura” Cuba di rischia di perdere la ragione stessa del suo esistere.
    Per esempio, il turismo sta diventando sempre piu' importante, pero' quasi tutti gli hotel e anche alcune linee di autobus (ovviamente i migliori) sono solo per stranieri e possono essere pagati solo con valuta straniera…sembra l'apartheid, un misura non degna di una “revolucion patriotica”…

  4. Sottoscrivo il tuo commento Goli. L'”apertura” dovrà essere implementata con molta cautela, gradualmente.

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