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Scritto da nel Internazionale, Numero 55 - 16 Febbraio 2009 | 3 commenti

Sud America: terra di indigeni, neri e meticci

Durante la serie di celebri interviste tra Richard Nixon e David Frost, parlando di temi di politica internazionale, l’ex presidente statunitense citò le parole di un uomo d’affari italiano in visita alla Casa Bianca durante la crisi cilena: “Se Allende dovesse vincere le elezioni in Cile e con Castro a Cuba, in America Latina vi ritrovereste con un sandwich rosso, e ben presto mezzo continente diventerebbe rosso.” (da: James Reston, “Niente è illegale – Il Watergate e la vera storia delle interviste Frost/Nixon”).
A più di trent’anni di distanza dalla sciagurata Amministrazione Nixon, assistiamo ad un Sudamerica più rosso che mai, laboratorio del Socialismo del XXI secolo: il tenente-colonnello Hugo Chávez in Venezuela, il cocalero Evo Morales in Bolivia, l’economista cattolico Rafael Correa in Ecuador, il vescovo Fernando Lugo in Paraguay, l’ex sindacalista Lula da Silva in Brasile, Tabaré Vázquez in Uruguay, il primo presidente donna Michelle Bachelet in Cile, Alan Garcìa Pérez in Perù, l'ex first lady Cristina Kirchner in Argentina. Persone diverse che appartengono tutte alla variegata galassia socialista anche se con politiche, idee e modi di fare tra loro assai differenti.
Le posizioni più radicali trovano ovviamente voce nel venezuelano Chavez, erede del Libertador Bolivar, artefice però di un discutibile ibrido tra bolivarismo, castrismo, peronismo e idee no global, che punta a creare un asse anti-americano (anti-USA) dalle vette dei paesi andini al Cono Sur, avvalendosi in primo luogo del sostegno di Bolivia ed Ecuador sotto la supervisione cubana. Più moderati Brasile, Uruguay e Paraguay, comunque “amici” di Chavez. C’è poi una terza posizione occupata da Cile e Perù, guidati da governi tipicamente socialdemocratici ed anti-comunisti, con buoni rapporti con gli Stati Uniti, più volte in conflitto diplomatico, e non solo, col Venezuela. L'Argentina è invece guidata dalla Concertaciòn Plural, con a capo il Fronte per la Vittoria dei coniugi Kirchner, a rappresentanza di una via socialdemocratica del peronismo.

Ciò che accomuna molti dei suddetti leader è sì la volontà d’allontanarsi da egemonia, violenza e pressione economica statunitense, ma soprattutto ridare dignità a tutti i popoli sudamericani; ovvero superare quel sistema il cui baricentro ha poggiato nel corso dei secoli sullo strapotere dell’oligarchia bianco/creola escludendo e discriminando i non bianchi. Una voglia di riscatto già emersa alla fine del 2006 con la Dichiarazione di Cochabamba, con la quale si sono poste le basi per la Comunità delle Nazioni del Sudamerica (CSN).

Il nuovo socialismo sudamericano vede in Chavez l’indiscusso leader: le sue politiche non hanno però ancora portato a una significativa riduzione degli squilibri sociali nel paese, con uno stato sempre più padrone (produttore e regolatore), con il persistere di una diffusa povertà tra la popolazione e grandi ricchezze che continuano ad essere nelle tasche di pochi. Inoltre, l’eccessiva aggressività, populismo e ostentato potere, sta trasformando il leader venezuelano da osannato eroe del continente a sempre più impopolare figura,  forse più interessato alle ideologie che ai problemi reali dei cittadini.

Anche se più di basso profilo, le politiche del presidente boliviano Evo Morales sembrano avere risultati più incisivi nel conseguimento di un vero riscatto per i popoli dell’area: il presidente cocalero porta avanti la sua rivoluzione che poggia su solidi ideali senza però perdere d’occhio la realtà, tessendo rapporti politici con Argentina e Cile, portando avanti accordi energetici col Brasile, prendendo talvolta le distanze dal troppo dirompente Chavez pur essendone uno dei principali alleati. Il successo di Morales è innanzitutto personale: popolarissimo in tutto il continente poiché primo presidente indigeno democraticamente eletto, gode di un ampio consenso sociale in gran parte dei paesi sudamericani, dalle città alle campagne, trovando anche in Europa appoggi importanti. Gli indigeni boliviani e con loro tutti i popoli del continente vedono in Morales una speranza di riscatto sociale e culturale, così come sta accadendo agli Aymarà e i Quechua, traghettati dall’arretratezza e sottosviluppo al mondo moderno.
A conferma di ciò, lo scorso gennaio il 60% del popolo boliviano ha approvato con referendum la nuova costituzione, indigenista e statalista, promossa da Morales: una vittoria degli indigeni contro gli interessi dei latifondisti di origine europea, che si sono ovviamente schierati contro la nuova Carta e apertamente intenzionati alla secessione da Sucre (resa nuova capitale dall’art. 6).
La diciassettesima Costituzione della Bolivia vuole “uno Stato basato sul rispetto e sull’uguaglianza tra tutti, secondo principi di sovranità, dignità, complementarietà, solidarietà, armonia ed equità nella distribuzione e redistribuzione del prodotto sociale (…) nel rispetto della pluralità economica, sociale, giuridica, politica e culturale degli abitanti di questa terra.” La Bolivia torna in mano alla sua gente; le popolazioni indigene avranno: diritto all’autonomia e all’autogoverno; esclusiva proprietà delle risorse forestali; un sistema giuridico indigeno campesino equiparato alla giustizia ordinaria; diritto alla coltivazione della coca, patrimonio culturale e fattore di coesione sociale (art.384); il riconoscimento dei trenta e più idiomi come lingua ufficiale, al pari dello Spagnolo castillano.

Tutti i governi dell’America Latina non potranno ignorare le dirompenti novità della Nueva Constituciòn che, indubbiamente, rappresenterà nei prossimi anni un esempio da imitare ed estendere a tutti i paesi e popoli del continente.

3 Commenti

  1. Chiedo un parere all'autore. Tre anni fa sono stata in Bolivia proprio alla vigilia della vittoria di Morales, e mi ha colpita il fatto che in zone completamente rurali e analfabete, dove la gente non ha acqua potabile o bagni, eppure ci fossero scritte inneggianti a Morales su tutti i muri: tutti, in luoghi dove la gente non sa nè leggere nè scrivere, ovunque, ovunque. Teniamo presente che la Bolivia è il paese più povero del Sudamerica e che non stiamo parlando di realtà simili al Cile o all'Argentina. So che le popolazioni indigene lo adorano, ma ho dovuto anche considerare il fatto che stiamo parlando di zone dove l'afabetizzazione inesistente, a mio parere, non concede assolutamente al popolo di formarsi un'opinione politica supportata da conoscenze concrete, nella maggior parte dei casi. Insomma, sono stata colpita dal rischio altissimo di demagogia e continuo a pensare che alcune misure tipo la coltivazione della coca vanno poi a fare i vantaggi del nostro mondo occidentale di consumatori, magari più o oltre che il loro, e che bisgnorebbe riflettere di più su quanto politiche simili facciano comodo ancora una volta agli Stati Uniti, per esempio, più che alla Bolivia stessa magari. Ripeto però che vorrei il parere dell'autore o di altri, perchè da quel viaggio non sono tornata con opinioni chiare e definitive e ci penso ancora su.

  2. Doveroso premettere che non sono mai stato in Bolivia.

    Indubbiamente è uno dei paesi più poveri dell'America Latina, con livelli di miseria altissimi soprattutto presso la maggioranza indigena. E' innegabile che le politiche di Morales in questi 3 anni abbiano però portato aiuti verso questa fascia di popolazione, in particolare destinando le royalties del gas proprio in investimenti nelle zone più arretrate: da assistenza sanitaria a istruzione; è stata inoltre dichiarata guerra all'analfabetismo con risultati positivi (Morales vanta d'averlo totalmente sconfitto ma su questo ho i miei dubbi). La sua elezione è stata sicuramente dettata da disperazione e fiducia piuttosto che matura “opinione politica”.

    Molte decisioni non vanno certo a vantaggio degli interessi dell'Occidente: per sfruttare le risorse naturali del paese sarà necessaria l'approvazione delle comunità indigene; gli Stati Uniti si sono duramente scagliati contro la “legalizzazione” della coltivazione di coca accusando Morales di favorire il narcotraffico; inoltre gli interessi occidentali sono ben rappresentati dai latifondisti di origine europea che dominano la Mezzaluna e che hanno dichiarato guerra a Morales minacciando addirittura una secessione; sono inoltre in programma nazionalizzazioni nell'industria del gas a svantaggio della multinazionali USA.

    Sarebbe molto interessante avere una testimonianaza ditretta che possa descrivere come e se sono cambiate le cose in questi anni.

  3. Il mio timore è che l'accusa di favorire il narcotraffico non sia del tutto infondata… poi magari gli stessi narcotrafficanti sono occidentalissimi agenti segreti, probabilmente, chi lo sa.
    Sono d'accordo sulla giustizia delle misure sui latifondi e da queste probabilmente – si spera – le popolazioni indigene potranno trarre qualche miglioramento. Tuttavia risultati come la lotta all'analfabetizzazione sono davvero concretamente lontani, e qui avverto la discrepanza tra le aspettative quasi mitologiche della gente e le effettive capacità di cambiare lo stato di cose, se non con un processo che deve davvero durare decenni ed essere molto costante.

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