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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 57 - 16 Marzo 2009 | 3 commenti

O in potta dubitar s'avria potuto

L’erotismo e la raffigurazione della sessualità in Italia sono stati per secoli oscurati dal predominio culturale della Chiesa Romana, che con la censura diretta proibiva di fatto la pubblicazione di tutto ciò che era considerato immorale. Chiaramente la pornografia si trova in una scala morale molto al di sotto del lecito per la religione cattolica. La mercificazione del corpo femminile, la depravazione, l’oscenità, la dissolutezza dei costumi, in poche parole tutti gli ingredienti che rendono appetibile il prodotto pornografico per tutti i generi di consumatori, sono generalmente presentati come mali del genere umano. La posizione ufficiale della chiesa sulla pornografia è una sola: un abominio. Ma in realtà, quando la dissolutezza delle signorie rinascimentali italiane era ben conosciuta in tutta Europa, la posizione non ufficale della corte del papa era molto più liberale e libertina, soprattutto nei comportamenti.
Per questo la satira di tutti i tempi, ben attenta alle debolezze del potere per evidenziarne le contraddizioni, ha attinto a piene mani all’immaginario sessuale, come anche i poeti si sono spesso dedicati all’erotismo. La tradizione letteraria ci ha tramandato opere  che testimoniano come la pornografia, nel senso letterale di pornoscrittura, fosse gia`diffusa tra le classi colte del Rinascimento. Piero Aretino, poeta toscano giunto a Roma alla metà del 1500 al seguito dei nobili medicei, grandi elettori ed eletti al trono dello Stato Pontificio, allietò i cortigiani vaticani con i suoi Sonetti Lussuriosi, piccole perle di pornopoesia letteraria. A distanza di secoli, la satira dell’Aretino mette a nudo una società piena di voglie e desideri, in cui la sessualità era vissuta liberamente, dove la scabrosità del testo eccitava e divertiva gli animi durante le letture organizzate per la corte. Il suo linguaggio è crudo e scorrile, gli organi sessuali sono chiamati per nome con termini che si susseguono nei secoli e altri che permangono in alcune regioni. I suoi versi sono spesso dialoghi fra amanti, sorpresi nei momenti più intimi della loro relazione. Il sonetto V arriva addirittura alla sublimazione dell’atto sessuale, dove la donna, regina dell’alcova, spera di trasformarsi completamente nel suo organo sessuale.

Perch'io prov'or un sì solenne cazzo
che mi rovescia l'orlo della potta,
io vorrei esser tutta quanta potta,
ma vorrei che tu fossi tutto cazzo.
Perché, s'io fossi potta e tu cazzo,
isfameria per un tratto la potta,
e tu avresti anche dalla potta
tutto il piacer che può aver un cazzo.
Ma non potendo esser tutta potta,
né tu diventar tutto di cazzo,
piglia il buon voler da questa potta.
- E voi pigliate del mio poco cazzo
la buona volontà: in giù la potta
ficcate, e io in su ficcherò il cazzo;
e di poi su il mio cazzo
lasciatevi andar tutta con la potta:
e sarò cazzo, e voi sarete potta.

Così cantava l’Aretino innanzi ai commensali in festa. Immersi negli affreschi manieristi dei loro palazzi, durante banchetti luculliani, i cortigiani papali si abbandonavano al vino e alla sessualità. Leone X, papa fiorentino dei Medici, si era portato a Roma le abitudini della ricchissima Firenze, centro culturale d’Europa. Intellettuali, poeti, grandi artisti e giovani promettenti, in costante contatto e confronto con i  loro mecenati. L’Aretino era giunto a Roma da pittore e ne uscì pochi anni dopo come autore di numerose opere, di cui i sonetti sono solo una piccola parte. Ma non sarebbe stata Roma la casa dell’artista. L’arrivo di Adriano VI, papa fiammingo chiamato dallo stesso poeta “la ghigna tedesca”, portò un clima di cupa inversione culturale. Piero Aretino si rifugiò allora a Venezia, città realmente libera e aperta, che lui stesso definì sua nuova patria e dove poté pubblicare le sue opere in assoluta libertà. I temi che sfiorano i suoi versi  con grande ironia e malizia, le immagini che rappresenta, i dialoghi che costruisce, parlano apertamente di sessualità in senso lato. Si passa a disquisire dalle dimensioni del pene, alle differenti posizioni, alla fellatio, al sesso anale con assoluta spontaneità. La donna è la protagonista delle sue storie e insieme detiene la conduzione del gioco amoroso. Spesso infatti l’uomo si rivolge a lei come padrona, anche se nella fusione dei corpi non ci sono distinzioni di classe o di genere.  Però sono le donne che confidano le loro fantasie, i loro desideri, cercando il giusto partner che le possa soddisfare. Nel sonetto III l’interesse della donzella si concentra sulle dimensioni di un fallo enorme, e sull’utilizzo dello stesso per provare un più intenso piacere.

Questo cazzo vogl'io, non un tesoro!
Questo è colui, che mi può far felice!
Questo è proprio un cazzo da Imperatrice!
Questa gemma val più ch'un pozzo d'oro
Ohimè, mio cazzo, ajutami, ch'io moro
e trova ben la foia in matrice:
in fin, un cazzo picciol si disdice,
se in potta osservar vuole il decoro.
- Padrona mia, voi dite ben il vero;
che chi ha piccol il cazzo e in potta fotte
meritera d'acqua fredda un cristero.
Chi n'ha poco, in cul fotti dì e notte:
ma chi l'ha come ch'io spietato e fiero,
sbizzarrischisi sempre colle potte.
- Gli è ver, ma noi siam ghiotte
del cazzo tanto, e tanto ci par lieto,
che terrem la guglia tutta drieto.

Il colpo di scena finale è quasi un antecedente dei film pornografici, dove alle parola si sostituiscono le immagini, ma il senso generale non cambia. Uno guarda le scene susseguirsi con trasporto e quando meno se lo aspetta ecco che gli attori passano a vie meno tradizionali. In realtà l’analità ha radici molto profonde, e i versi dell’Aretino ne danno testimonianza. Si potrebbe arrivare a dire che il poeta ha quasi un’adorazione per il culo, come lo chiama egli stesso. Nel sonetto VI si descrive una posizione particolare per poter sfruttare al massimo i piaceri del corpo:

Tu m'hai il cazzo in la potta, e il cul mi vedi
e io veggio il tuo cul com'egli è fatto,
ma tu potresti dir ch'io sono un matto,
perch'io tengo le mani ove stanno i piedi.

Con un poco di immaginazione si può focalizzare un’immagine di grande equilibrio, incentrata sulla libertà di movimento delle mani dell’uomo, disperato per la poca generosità con cui la natura lo ha accessoriato. I sonetti sono una miniera di pornografia e ilarità mescolate insieme, senza porsi problemi morali. Anzi il poeta arriva a trovare una soluzione ingeniosa del peccato insito nella sessualità dai lui raccontata. Nei Dubbi Amorosi si parla di questioni morali e della loro risoluzione, di cosa è peccato e per cosa si può essere perdonati. Il dubbio II è esemplificativo:

Dubbio V
Destossi l'abadessa con gran furia
sognando di mangiar latte e giuncate,
trovossi in bocca il cazzo dell'abbate.
Fu peccato di gola o di lussuria?
Risoluzione V
Non fu gola o lussuria, è risoluto,
perché questo caso accidentario;
ben se l'avesse avuto in tafanario
o in potta dubitar s'avria potuto.

Protagonisti incontrastati di questi scherzi satirici, sono frati e monache, che l’Aretino mette alla berlina, svelandone le perversioni e le abitudini non certo caritatevoli che questi osservavano all’interno delle abbazie. Ma per parlare di pornografia a tema religioso
è meglio aspettare che il clima di chiusura culturale della nuova “ghigna tedesca” si stemperi un po'.

3 Commenti

  1. Gran finale!

  2. VIVA L'EDONISMO

  3. signore e signori, il più grande di tutti…Michele Dessì! di nome e di fatto…

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