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Scritto da nel Itaca, Numero 60 - 1 Giugno 2009 | 1 commento

Itaca – Capitolo Terzo

Itaca

Romanzo a puntate

Nei capitoli precedenti:

Autòlico ruba le vacche a Sisifo, che si vendica ingravidando a tradimento la figlia sua promessa in matrimonio al principe Laerte. Nasce così Cefalo, che passa l'infanzia con suo nonno Autòlico odiato da tutti perché ladrone e ucciso poi da Sisifo davanti agli occhi del nipote.

Capitolo Terzo

Dove Laerte è pieno di sconforto tirannico, Cefalo si fa chiamare Odisseo

e lo scienziato Palamede mette i bastoni nella ruota


Dall'uccisione di Autòlico, il principe di Itaca le giornate le passa da solo, spesso salendo la montagna più alta dell'isola ch'era poi fatta interamente di montagne, e tutto solo gli prende la passione d'inventarsi delle storie e cantarle poi sotto la quercia della piazza, con lo sconforto di Laerte che non può vedere un figlio suo ridotto a fare il poeta, il figlio che avrebbe ereditato il trono a vivere così tanto tempo lontano dalla realtà, fin da bambino: Quando sarà re – diceva Laerte a sua moglie – quando sarà re dovrà occuparsi delle necessità concrete della gente, non servirà a nessuno che si metta a raccontare delle storie quando hanno fame – diceva – sarà uno di quei re come nel continente, che poi non sapendo cosa più inventarsi si mettono loro e la loro gente in delle imprese deliranti… – e lo sapeva bene lui Laerte che aveva partecipato alla spedizione degli Argonauti – …gente che ha perso il contatto con la concretezza, con questi alberi del frutteto, con questi frutti degli alberi del frutteto, col sugo dei frutti degli alberi del frutteto…- dice – tutto per colpa dei poeti, che non cantano la poesia della concretezza e degli uomini che hanno sempre fame e sempre voglia di un letto, poco di più, ma cantano solo quella poesia degli eroi che ci porterà tutti alla rovina… – così è Laerte: non si trattiene niente in bocca, quando qualcosa gli passa per la testa.

Cefalo, ch'è stanco del disprezzo di suo padre, della sua rigidezza, della sua integrità ostentata e della troppa semplicità di spirito e ottusità di cultura, il suo disprezzo di ogni forma di critica e derisione che lo porterà a inchiodare con le sue stesse mani un satiro alla quercia della piazza, Cefalo comincerà a vent'anni una guerra civile del tutto verbale per prendere il comando, cominciando col farsi chiamare Odisseo come si chiamava suo nonno ridendo, e non più Cefalo ch'è un nome che gli puzza addosso, e poi ci sarà quell'idea sua di organizzare meglio il porto naturale di Itaca e costruire navi concave, perché le navi e il porto significano avere più rapporti commerciali con le altre isole del mediterraneo, con il continente, e soprattutto stabilire un'amicizia con la più ricca città d'oriente: Troia, che avrebbe fruttato a Itaca non poco. Aveva una fissazione con Troia, Odisseo, un amore per Troia che gliel'aveva messo in testa il suo unico vero amico dopo suo nonno, ch'è un girovago che non si sa dov'è nato, che con qualche anno in più a Odisseo aveva fatto una decina di volte il giro del mediterraneo, e sempre gli parlava di Troia a Odisseo come della città più ricca e più bella del mondo, una meraviglia.

E in più – diceva Odisseo in piazza – non è più sopportabile l'autoritarismo e la repressione quotidiana, forse il re è diventato troppo vecchio – diceva – ma noi siamo uomini liberi e vogliamo vivere da uomini liberi! – così diceva, e tutti gli itacensi gridavano deliranti contro il loro re e fondatore frasi sconnesse sulla libertà. Insomma era pieno di idee rivoluzionarie, Odisseo, Viva Odisseo! – cominciava a dire la gente, entusiasta per le visioni di una nuova vita con l'intensificazione marittima, lo chiamava ormai Odisseo anche sua madre, a maggior ragione sapendo che di Cefalo l'amante dell'Aurora, il nonno di Laerte, Odisseo non aveva nemmeno una goccia di sangue in corpo. Tu sei un teppista! – gli diceva nel mentre Laerte, quasi ogni giorno. Cercava di acciuffarlo per punirlo con una vergata, ma Odisseo gli sgattaiola sempre di tra le mani. Tu sei la rovina del tuo stesso sangue! – non si perdeva un'occasione di dirgli così, e di maledirlo, e di piangere il giorno che l'ha fatto nascere. Avrebbe dovuto fare – gli dice – come per quell'altra nata dopo di lui, una figlia bastarda concepita da sua madre, che com'è venuta al mondo lui l'ha presa e l'ha buttata nel fiume e non se ne parla più – così gli dice Laerte a Odisseo che crede essere suo figlio invece legittimo.

Però questo a Odisseo gli fa un baffo. L'unico che davvero gli mette i bastoni nella ruota è questo Palamede, uno studioso delle scienze naturali e grande amico di Laerte, che con Laerte conivide un amore ossessivo per la verità senza compromessi, per l'integrità e la nobiltà, e che odia Odisseo dai giorni che lo ha visto rubare con il nonno Autòlico le vacche della sua famiglia e dall'infanzia sempre l'ha ostacolato a ogni occasione. Palamede lui non si limita a maledirlo come fa Laerte, ma proprio ce la mette tutta per intralciarlo concretamente, gli fa un'opposizione serrata in tutto e per tutto, che se Odisseo parla di navi Palamede invece deve dire che per costruire tutte le navi che Odisseo sogna avrebbero dovuto disboscare l'isola intera; se Odisseo parla di Troia come della più bella città del mondo allora Palamede subito gli chiede pubblicamente se c'è mai stato, a Troia, anche un giorno solo, e Odisseo gli spiega del suo amico, Chi? – dice in piazza Palamede – quel Zenone?…il “filosofo” che ci tormentava con i suoi paradossi e le sue assurdità che inventava apposta per non lasciarci vivere in pace e tranquilli? – alle volte si arriva con questi dialoghi pubblici tra Odisseo e Palamede ai confini della realtà: Navigando potremo portare a Itaca le sirene, che con il loro canto attireranno i mercanti all'isola e Itaca diventerà il centro della prosperità mediterranea – e Palamede: Ma non ci hai raccontato tu stesso, quando da ragazzo t'è presa la passione del canto e cantavi in questa stessa piazza, che Orfeo quand'era con tuo padre Laerte, il nostro re, e gli altri Argonauti gareggiò con le sirene in una gara di canto e vinse, e le sirene si gettarono in mare sconsolate trasformandosi in sassi e non ne rimane viva nemmeno una? Non ce l'hai raccontato proprio tu? – e qui una risata tuonante di Odisseo, che a tutti ricorda la risata del suo nonno ladrone: Quella è una storia, mio caro Palamede, non essere ingenuo: i miti esagerano sempre – ma insomma questo Palamede non lo lascia fare, ce la mette tutta perché il re dell'isola rimanga Laerte com'è giusto che sia, ch'è un uomo saggio – dice – onesto, e che ha fondato Itaca e per questo l'ha a cuore più della sua vita, mentre Odisseo è allergico alla verità – dice spesso Palamede, Ma – risponde Odisseo – fra tutti noi chi vi sta parlando è il primo nato qui, a Itaca, e che Itaca l'ha a cuore perciò dalla nascita – e la gente comincia a credere ch'è meglio Odisseo come re invece di Laerte che oltre ch'esser vecchio è anche troppo ingenuo per tener testa a tutte le vicende complicate che – come gli aveva spiegato dettagliatamente Odisseo – succedono nel mediterraneo e che avrebbero reso indispensabile un uomo forte al comando, o ci si poteva aspettare un futuro certo di schiavi, anche perché lì vicino c'è un re che si chiama Sisifo ch'è spietato e che sembra essere così furbo da aver vinto anche la morte.

Sì – dice Odisseo – una volta l'hanno ucciso, ma lui prima ha incatenato lo stesso guardiano dell'inferno con un trucchetto dei suoi, e infatti quel giorno è stato un giorno che non moriva nessuno, e poi s'è inventato un altro stratagemma, ma già da prima d'esser morto, e cioè di convincere la moglie a non seppellirlo, così Sisifo il re di Corinto ha convinto il guardiano dell'inferno a lasciarlo uscire nel mondo per punirla di quella mancanza di rispetto, poi una volta uscito non è più tornato indietro, è ancora lì a Corinto a spadroneggiare contro il volere degli dei, e potrebbe da un giorno a un altro voler prendere la nostra isola, tagliare un po' di teste e gli altri farci schiavi, e mio padre è troppo vecchio e troppo buono per resistergli – raccontava Odisseo alla gente queste favole inventate negli anni di solitudine, ribollendo di odio per quell'uomo che ha ucciso suo nonno davanti ai suoi occhi.

Sisifo nel mentre sente raccontare questi discorsi da un rapsodo che viaggiava da un posto a un altro e raccontava le storie in versi di quello che vede e sente come un radiogiornale, e sentendo così decide di fare un'ultima visita al suo figlio bastardo dopo quasi vent'anni per svergognarlo davanti alla sua gente. Questa volta però non riuscirà nemmeno a mettere piede a terra: cadrà sulla nave che lo trasporta, ucciso con una freccia solitaria che gli trapassa la gola.

(continua…)

1 Commento

  1. bellezza! meglio di lupin!
    aspettiamo le prossime puntate

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