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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 0 commenti

Il muro Mediterraneo

Il mar Mediterraneo fu il luogo intorno al quale, migliaia di anni fa, ebbero origine le prime grandi civiltà umane, quelle popolazioni di cui Socrate parlò come di “tante rane intorno ad uno stesso stagno”. Il “Mare Nostrum”, come amavano definirlo i romani, fu luogo di scambio, ma soprattutto luogo di scontro, di conflitto, di guerra tra le varie “rane” che ne popolavano le rive.

Dopo il ritrovamento del continente americano e di altri territori sconosciuti, il Mediterraneo perse il ruolo centrale nella politica e nell'economia mondiale, ma questo, comunque, non lo privò del suo antico fascino di tempio delle civiltà, che portò migliaia di uomini a solcarne le acque per esplorarne le ricchezze.

Anche oggi, nella società in cui viviamo, il Mediterraneo rimane uno “stagno” incredibilmente ricco: sul suo mare si affacciano oltre 23 nazioni, gran parte delle quali eterogenee l'una dall'altra. Non ho viaggiato abbastanza per affermarlo, ma credo che non esista al mondo un luogo dove in un raggio di mezzo migliaio di chilometri si concentrino culture così diverse tra di loro. Si rimane sconcertati quando si passa da una sponda all'altra di questo mare: tra le coste di Almeria e quelle di Nador, tra Ancona e Durazzo, vi sono enormi differenze, per non parlare di quelle che vi sono tra la Grecia e le vicine Turchia, Libano, Israele, Egitto.

In questi giorni l'Europa libera si prepara alla celebrazione della caduta del “Muro di Berlino”. Ma quella stessa Europa non si rende conto che oggi esiste un muro ben peggiore di quello che venne abbattuto da mani e picconi di migliaia di persone. Un muro trasparente, ma invalicabile che divide in due la sponda settentrionale del Mediterraneo da quella meridionale.

Chi scrive, è nato e cresciuto in un luogo di confine: la mia isola, Pantelleria, si trova ad appena 70 chilometri dalla Kelibia. In estate, con il mare calmo e il cielo sereno, ho visto quelle coste innumerevoli volte. La cultura, il dialetto, l'architettura, la cucina della mia terra rivelano evidenti radici magrebine; eppure tra Pantelleria e la Tunisia o la Libia, non vi è nessun collegamento, nessuno scambio commerciale e culturale. Il nome della contrada dove abito è arabo, mia nonna era una maestra nella preparazione del cuscus, vivo in una casa con il tetto a cupola, eppure non c'è nessuno scambio con la cultura che ha portato queste cose nella mia isola. Come un cordone ombelicale tagliato.

Un muro, appunto. Una barriera mentale, immaginaria tra le due sponde.

Il muro è prima di tutto culturale, le due sponde non si conoscono tra di loro. Le conseguenze di questo, sono sotto gli occhi di tutti: si riflettono nella paura collettiva nei confronti dell'arabo e della religione islamica, ma soprattutto nell'indifferenza dei cittadini nei confronti di politiche vergognose come quelle adottate di questi tempi dai governi di Italia e Malta. Altra conseguenza sono le vittime dell'immigrazione clandestina: sotto questo muro vi sono migliaia di morti. Secondo la Caritas italiana, il Mar Mediterraneo si è trasformato negli ultimi dieci anni in “un cimitero senza lapidi”: tredici mila sono i cadaveri recuperati, sconosciuto il numero dei dispersi.

L'Europa si prepara a celebrare la caduta del muro… ma qual'è il senso di una celebrazione? Perché è importante ricordare un avvenimento? Come impedire che questo avvenimento, diventi irrimediabilmente parte di un passato lontano e ignorato, se non pensando ai muri e alle barriere che rimangono da abbattere?!?

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