Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Internazionale, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

L'immigrazione al tempo dei Casalesi

La criminalità organizzata agisce come un'impresa diversificando risorse e investimenti, si specializza in attività economiche illegali per rispondere ai bisogni non soddisfatti dell'economia e del consumismo, sa rispondere rapidamente e con abilità alle mobilitazioni politiche e legislative messe in campo per contrastarla, affina il suo know-how per migliorare i suoi traffici illeciti, con il fine ultimo di accumulare capitale e ricchezza. Ma non solo. La criminalità organizzata interviene per delega implicita dello Stato e lo sostituisce laddove l'autorità non può o non vuole agire, o agisce male. In buona sostanza, un'applicazione creativa del principio di sussidiarietà! E allora diventa forma parastatale di giurisdizione e di controllo del territorio: all'occasione, si trasforma in banca per imprenditori in difficoltà, in agenzia di lavoro per i disoccupati, in scuola di formazione per i ragazzi non scolarizzati, in modello culturale e comportamentale per chi non accede alla offerta culturale tradizionale, in coffeeshop per chi non può recarsi in Olanda. E in agenzia di viaggi organizzati per chi è in fuga dalla miseria. Parlano chiaro i dati del Ministero dell'Interno – confortati dall'UNDOC – l'ufficio antidroga e anticrimine delle Nazioni Unite:il traffico di immigrati clandestini è al secondo posto nel fatturato delle organizzazioni criminali dopo quello della droga e appena prima di armi e prostituzione. Eccoli qui, i bisogni non soddisfatti dell'economia e del consumismo: droga, prostituzione, lavoro.

Il rapporto fra immigrazione irregolare e criminalità organizzata che si è consolidato negli ultimi dieci anni è il frutto della combinazione di diversi fattori – mancato sviluppo economico nelle regioni di provenienza, domanda di lavoro in Europa, domanda di emigrazione crescente – e non ultimo, la legislazione in materia di immigrazione.

Quanto pesano le scelte politiche sul consolidamento di questo rapporto?

In primo luogo, il codice criminale si è sostituito alla legge nella fase di accesso degli immigrati in territorio europeo: in Italia, infatti, le uniche fattispecie legali di accesso sono rappresentate da un contratto di lavoro già accordato prima della partenza da un datore di lavoro nel Paese di destinazione, l'ottenimento dello status di rifugiato oppure il ricongiungimento famigliare. La sostanziale assenza di vie legali per la penetrazione nel territorio europeo favorisce il ricorso alle vie illegali, come gli sbarchi sulle coste mediterranee, che diventano l'unica – costosissima – alternativa per i migranti, anche dei potenziali richiedenti asilo che possono presentare domanda solo una volta arrivati in territorio europeo.

Quindi se la criminalità organizzata transnazionale – sempre più potente e ramificata – sta facendo affari d'oro con la gestione dei flussi di migranti clandestini, evidentemente qualcosa non funziona, e non solo nei meccanismi di controllo – che dovrebbero essere l'appendice di un sistema – ma a monte, ovvero nelle politiche sull'immigrazione legale, sostanzialmente snobbate anche dal nuovo Trattato di Lisbona, che lascia agli Stati Membri la facoltà di determinare le quote di ingresso, a fronte invece di una vigorosa battaglia contro l'immigrazione irregolare, che trova il consenso di tutti gli Stati Membri.

E qui c'è il secondo aspetto del problema, ovvero l'allocazione dei migranti sul mercato del lavoro. Il modello è molto semplice: lo Stato fissa delle quote che rispondano ad una domanda di lavoro, la forza lavoro arriva legalmente e il rapporto offerta legale/domanda legale è soddisfatto. Ma se la domanda del mercato è di lavoro sommerso, allora entra in gioco l'organizzazione criminale, in collaborazione con le reti transnazionali del suo network: forza lavoro irregolare – quindi più fragile ed esposta a ricatti e sfruttamento – viene immessa su un mercato che chiede manodopera a basso costo e manovalanza criminosa (spaccio di droga e piccola criminalità). In sostanza, si delegano alla 'ndrangheta calabrese e ai camorristi del casertano le rimanenti “quote di mercato”, alimentando la spirale perversa di domanda illegale/offerta illegale e che – restando confinata nella dimensione sommersa – causa anche svalutazione sociale del lavoro.

Il fenomeno dello sfruttamento di migliaia di immigrati irregolari da parte delle cosche criminali sta assumendo proporzioni allarmanti, trasformandosi in un rapporto che va ben al di là del “traghettamento” in Europa, ma che si configura piuttosto come un assoggettamento di tipo forzato – si parla di nuovi schiavi – di migliaia di immigrati. L'organizzazione criminale pensa a tutto: all'arrivo, all'inserimento lavorativo, alla fornitura di documenti falsi e di protezione, in cambio loro diventano il serbatoio umano inesauribile al servizio della nuova fetta del mercato di Mafia S.p.A., immischiata negli appalti edilizi del nord così come nei campi agricoli pugliesi e campani, una forza lavoro invisibile ai controlli fiscali e immune da fluttuazioni imprenditoriali, esposta alle condizioni di lavoro più degradanti e ad abusi di ogni tipo. Il Parlamento europeo è corso ai ripari con la Direttiva “Sanzioni” contro le nuove forme di caporalato ma – iniettata di emendamenti Popolari e di correzioni del Consiglio – ha perso le ambizioni iniziali e ora prevede controlli una tantum e sanzioni amministrative irrisorie (nonché l'espulsione degli immigrati assunti irregolarmente).

E' giusto attribuire solo a leggi inadeguate e alla dialettica politica da “catastrofismo migratorio” la responsabilità del modello civile così violentemente antisolidale? “Lo Stato non può processare se stesso” avrebbe risposto amaramente Leonardo Sciascia. E infatti non si tratta solo di leggi sbagliate, o di un impegno anticrimine non adeguato: se questo meccanismo si sta affermando con tali proporzioni, è evidente che il problema risieda anche nella domanda di lavoro, ovvero nella malafede e nell'ipocrisia di caporali pugliesi, imprenditori veneti, costruttori lombardi. Insomma, italiani che salgono sul carro(ccio) dei facili slogan anti-immigrati, ma che sono il carburante che alimenta la spirale perversa dell'immigrazione irregolare, delle organizzazioni criminali nonché del mercato nero del lavoro con pesanti conseguenze non solo morali ma anche economiche e per tutta la società.

Ma anche l'opinione pubblica fa la sua parte, accontentandosi di una informazione semplicistica e sbrigativa per formare le proprie opinioni, come avvenne nel caso della strage di Castelvolturno del 18 settembre del 2008 quando un gruppo scissionista dei Casalesi uccise in un agguato sei ragazzi africani, che sebbene innocenti ed estranei ad attività criminose, diventarono invece i protagonisti di un dibattito sulla sicurezza nelle nostre città.

La manifestazione contro i clan spontaneamente organizzata all'indomani della strage dalla comunità africana – anello debole della piramide di potere camorrista e duramente colpita da quel messaggio intimidatorio – verrà ricordata come la prima rivolta dal basso nella storia della criminalità organizzata in Italia. Ci volevano gli africani di Castelvolturno a rinfrescarci la memoria sui concetti di schiavismo e di sopraffazione – in terra di camorra.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>