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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

Lupin III

Qualche mese fa, in un numero dedicato all'Asia, mi occupai di Hayao Miyazaki e dei suoi mondi fantastici. In questo numero torno ad occuparmi dell'immaginario, e questa volta, visto che si parla di criminalità, lo faccio ancor più volentieri. Insomma diciamo la verità, tutti, ripeto tutti, senza distinzioni di professione, bagaglio culturale, acceso ai mezzi di comunicazione o interesse nei fatti di attualità, tutti sappiamo che il potere della nazione, è in mano a dei criminali, lo hanno detto mille volte Travaglio e Grillo. E cosa facciamo noi? Sono stati versati fiumi d'inchiostro sui rapporti tra criminalità e politica, e nulla è cambiato. Alla criminalità reale, io preferisco la criminalità immaginaria e divertente di Lupen III.

Per tutta una generazione, quella cresciuta negli anni ottanta (che in questi duri tempi di crisi economica si ritrova a superare anche un'altra di crisi, quella esistenziale, quando vive l'esperienza di compiere i 30 anni) per tanti di noi, Lupen III è stato sempre un idolo e un simbolo di disobbedienza civile.
Tutto ebbe inizio dal nonno: Lupen III era il discendente di Arsène Lupin, un elegante ladro francese che apparve per la prima volta nella rivista “Je Sais Tout” nel 1905, dalla mano dello scrittore francese Maurice Leblanc. Arsène dominava le arti marziali e lo Jiu-Jitsu, la cultura classica, il latino, il greco, era esperto in medicina e giurisprudenza e conosceva i segreti della prestidigitazione. Mai venne espressa meglio l'idea “mens sana, in corpore sano”. Degno rappresentante della Belle Epoque Francese.
Lupin III ci da una immagine rinnovata. Possiede un carattere simpatico e spensierato, giocherellone e birichino, non rinuncia all'eleganza e conserva certi valori che oggi sono ormai considerarti di altri tempi. Lealtà e amicizia, veri, che dimostra nel rapporto verso gli altri personaggi:
Jigen Daisuke e la sua Colt calibro 38, capace di sparare a una velocità di 0,3 secondo. La sua figura ha l'aura dei grandi signori del West ritratti da Sergio Leone, uno di quegli uomini maledetti che però seguono un codice di dignità, uno di quegli uomini ai quali puoi girare le spalle sapendo che non sparerebbero mai senza guardarti negli occhi.
Goemon Ishikawa XIII, samurai esperto nell'arte della spada. Le risorse della sua spada sono innumerevoli, come infinita sembra essere la saggezza contenuta nei proverbi che recita, ogni volta, nel momento immediatamente successivo alla sconfitta del nemico quando rimette la spada nella guaina senza aver versato una goccia di sudore.
Fujiko Mine, cattiva e dolce, seducente, indipendente. Una donna fatale che appare e scompare misteriosamente. Le sua bellezza, la sue curve, abbinate alla sua intelligenza, la rendono semplicemente superlativa.
E non poteva mancare uno Yang per il nostro Ying: la rappresentazione dell'autorità che dà caccia al malvagio: l'ispettore dell'Interpol Koichi Zenigata, che sul manga viene rappresentato come un uomo intelligente e capace, mentre sullo schermo ricorda attori come Jerry Lewis, o Peter Sellers nella “Pantera Rosa”.
Viaggi affascinanti per tutto il mondo, mosse imprevedibili, azioni impossibili, intelligenza e furbizia. Nonostante siano passati oltre 40 anni dalla prima serie (uscita nel 1967), ogni puntata continua ad essere divertente nella sua semplicità.
Uno spettacolo senza dubbio molto più ricco e interessante dell'assurda e patetica commedia offerta dai nostri politici al telegiornale, ogni santo giorno!

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