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Scritto da nel Internazionale, Numero 87 - 1 Marzo 2012 | 1 commento

I Beduini del Sinai

A pochi chilometri dalla frequentatissima località di Sharm el Sheik, con le sue baie ricche di coralli colorati e turisti ustionati, è possibile addentrarsi nella Penisola del Sinai, un deserto aspro e roccioso, tra il Golfo di Suez e quello di Aqaba, abitato unicamente da tribù beduine. Dal satellite il chiarore delle rocce della penisola si contrappone al grande triangolo verde del vicino delta del Nilo.
Già a pochi chilometri dalla costa, laddove terminano centro abitato e scheletri dei resort in costruzione, ciuffi di piante crescono incredibilmente tra rocce polverose a testimonianza della propria resistenza alla siccità estrema, e rari alberi di acacia affondano le proprie poderose radici nel terreno più profondo alla disperata ricerca di una riserva idrica. Carcasse d'animali abbandonate ai lati dei sentieri generati dal passaggio delle jeep si lasciano divorare dal sole vorace, che spolpa rapidamente le carni lasciando ossa bianchissime e impolverate.
Si incontrano i primi insediamenti beduini: ovini e cammelli pascolano disordinatamente, da umili baracche maleodoranti fatte di lamiere e cemento escono bambini scalzi e malvestiti che salutano i turisti chiedendo monete e regali.
Lungo il tragitto si incontrano grandi tende destinate ai visitatori: “caratteristiche” cene beduine, tè nel deserto, punti di partenza per escursioni in cammello. All'ombra della tenda, sopra tappeti colorati, un beduino vestito con la tipica tunica bianca offre agli ospiti le proprie merci: braccialetti, collane e cavigliere, perline assemblate dalle mani delle donne invisibili della tribù. E infine i frutti del deserto: le foglie di tè beduino profumate e dissetanti dall'aroma vagamente mentolato, gli unguenti ottenuti dai coloquintidi – frutti simili a palline da tennis che crescono sparsi tra le rocce – utili per combattere reumatismi e infiammazioni, rose del deserto essiccate per uso ornamentale. Lì vicino una latrina inavvicinabile lordata da deiezioni secolari, a rappresentare in alternativa al deserto l'unico disperato rifugio per turisti colti da inarrestabili sconquassi intestinali.

Nella penisola sono presenti molteplici tribù beduine, la maggior parte delle quali ancora oggi dedite al nomadismo con l'allevamento di cammelli, capre e pecore come unica fonte di sostentamento. Nonostante le asperità del deserto, si tratta di comunità spesso autosufficienti, clan tanto ristretti e chiusi – guidati dagli anziani e saggi shaykh - che i matrimoni tra consanguinei sono la prassi.

Negli ultimi decenni, lo sviluppo del turismo a Sharm e lungo tutta la costa, ha rappresentato un'opportunità anche per i Beduini: molti di loro si sono spostati nei pressi dei centri abitati offrendo la propria cultura ed esperienza, proponendosi come guide e vendendo i propri prodotti tipici. Con gli anni i fuoristrada hanno sostituito, per chi se l'è potuto permettere, i resistenti cammelli.
Nonostante negli anni lo stesso Governo egiziano abbia tentato di civilizzare e assimilare i Beduini, attraverso la costruzione di insediamenti abitativi, ospedali e strutture scolastiche ad hoc, queste popolazioni si sono sempre mostrate piuttosto resistenti al cambiamento.

Nelle zone più irraggiungibili del deserto, lontano dagli Starbucks e i piano-bar di Sharm resistono ancora i nomadi, fedeli alle proprie tradizioni e al loro duro ma prezioso isolamento.

1 Commento

  1. Posti affascinanti,e grande ammirazione da parte mia per la pacatezza e la disponibilità degli indigeni!

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