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Scritto da nel Numero 91 - 1 Luglio 2012, Politica | 0 commenti

L'inganno delle riforme

In nome del bene del Paese, dicono i membri del governo. In nome del bene del Paese, dicono i parlamentari che sostengono questo governo. In nome del bene del Paese, raccontano i giornalisti che pubblicizzano come unica soluzione possibile l'unica soluzione proposta dai banchieri prestati alla politica e accettata dai venduti prestati alla politica. In sostanza, in nome del bene del Paese si può continuare a togliere finché ce n'è. Togliere soldi dalle tasche, togliere lavoro dalle giornate, togliere diritti dalle dignità. Togliere vita, usando sempre la stessa giustificazione: il bene del Paese.
Le riforme sono il bene del Paese, dicono questi signori. Sono necessarie, anzi indispensabili. Senza le riforme tutto crolla. Non se ne può più di ascoltare queste baggianate: senza le riforme crollerebbe un sistema che nessuno di noi ha voluto, ma che di fatto ci siamo ritrovati fra capo e collo, imposto. Oggi, per accondiscendere a una forma spietata di neocapitalismo, facciamo i compitini a casa per un'Unione Europea ben lontana dall'essere l'unione di popoli che auspicavano i suoi fondatori. Ma l'equivoco è chiaro: non si può pensare che alla base dei rapporti fra stati ci sia l'economia, perché ci sono i popoli. D'altronde – anche passando dalla sfera generale a quella particolare – alla base dei rapporti umani non c'è l'economia: ci sono i rapporti umani. Si assiste tuttavia a una strenua difesa del concetto opposto, per cui addirittura nella Costituzione viene inserito il pareggio di bilancio. Una follia che si spiega solo con l'arrogante bisogno di giustificare le gravose imposizioni fiscali italiane a fronte di uno sperpero massiccio dei fondi pubblici. Una pesca di beneficenza accettabile solo se servisse a scuole, ospedali e laboratori di ricerca, vero motore dell'innovazione e della salvezza, che invece vedono tagliati continuamente i fondi a loro destinati per continuare a pagare frodi internazionali che per giunta intendono essere avallate dal corpo elettorale come innovative e salvifiche.
Le immonde operazioni di scempio sociale (l'ultimo caso è la recente riforma del lavoro, argomento ampiamente trattato nei giorni scorsi) che continuano a essere compiute al danno del Paese non fanno che aumentare il divario fra ricchi e poveri, distruggendo le classi medie che vedono il loro potere economico livellarsi in basso e creando così una nuova forma di sottoborghesia. Questa nuova grande classe sociale è composta di persone che, non potendo far leva sul proprio livello culturale o sulle proprie abilità di mestiere, non sono in grado di aspirare ai posti di lavoro a cui in realtà dovrebbero ambire e raggiungono dunque nell'arco delle loro esistenze un grado di realizzazione inferiore a quello che meriterebbero; questo comporta inoltre che sviluppino una capacità d'acquisto più bassa, cosa che oltretutto mette nuovamente, e quindi ciclicamente, in crisi un'economia che non fa affidamento su quelle menti e su quelle mani.
“Il riformismo è l'inganno borghese per i lavoratori che, nonostante i parziali miglioramenti, restano sempre schiavi salariati finché esiste il dominio del capitale. La borghesia liberale, porgendo con una mano le riforme, con l'altra mano le ritira sempre, le riduce a nulla, se ne serve per asservire gli operai, per dividerli in gruppi isolati, per perpetuare la schiavitù salariata dei lavoratori. Il riformismo, perfino quando è del tutto sincero, si trasforma quindi di fatto in uno strumento di corruzione borghese”. Quest'ultima frase è stata scritta dal signor Vladimir Ilič Uljanov nel 1913. Mi pare che a novantanove anni di distanza nulla sia cambiato, e che quindi si possa serenamente affermare che – almeno in Europa – il capitalismo e il liberismo hanno fallito. Ma si continua a riformare perché il capitalismo sopravviva a sé stesso: e siccome apparentemente i signori ministri del governo Monti intendono continuare a scrivere provvedimenti fallimentari e la maggioranza degli onorevoli parlamentari della sedicesima legislatura della Repubblica Italiana continuano a sostenerli, probabilmente non abbiamo ancora toccato il fondo. Tanti italiani che compongono la sottoborghesia continueranno di seguito a pagare con le loro tasse l'istruzione dei ragazzi, le cure mediche di chi sta male e, purtroppo, le truppe di esportazione democratica, le crisi di liquidità delle banche, gli appalti truffaldini e in ultimo anche i ricchi stipendi dei personaggi di cui sopra.
Il polso del Paese non batte nelle auto blu dei banchieri o negli attici dei parlamentari. Non aprendo i finestrini e non affacciandosi alla finestra è impossibile immaginare cosa succede nell'Italia reale. Quella che non va in vacanza perché non se lo può permettere. Quella che paga la benzina delle auto blu e il gas dei condizionatori negli attici.

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