La vita non è reato
Ammetto che proprio non capisco come ospitare nel proprio grembo una vita umana possa essere un reato: è forse un reato accogliere un progetto d’amore e dare ad esso una casa dove impiantarsi e crescere, una vita umana che altrimenti non avrebbe mai messo piede sul nostro pianeta nel fluire del tempo, frutto di un seme e un ovulo e attesa dai suoi genitori, da chi vorrà alzarsi la notte per nutrirlo, guardarlo giocare ai giardinetti e insegnargli ad andare in bici?
Capiamoci, lo zigote impiantato per volontà di due incalliti omosessuali (magari maschi, e pure brutti oltre che testardi) nell’utero di una donna, magari bella e giovane, è un progetto di vita che altrimenti non sarebbe mai stato concepito. Non capisco come si possa non vedere che ciò che la tecnica consente non è altro che un concepimento in assenza di peccato, che questo bambino è un nostro fratello e che la sua vita di fronte a Dio e agli uomini non avrà meno valore di chi viene concepito in costanza di matrimonio eterosessuale e che le sue difficoltà a districarvisi saranno ben minori di un figlio concepito magari per caso, magari in un Paese povero, messo al mondo dove mancano i diritti sociali, quelli politici o quelli alla salute.
Trovo che ritenere che una donna non abbia diritto di disporre del proprio utero per mettere al mondo un progetto di vita e che a tale donna si contesti il diritto di affidare questo bambino alle cure dei genitori che lo hanno voluto sia degno di un Medioevo oscurantista, di un feroce regime che non considera la donna come titolare del suo utero o di un orwelliano programmatore sociale. La prostituzione non è reato e tanto meno può esserlo quello di disporre del proprio utero a fini procreativi. Tanto che tale pratica esiste al di là della tecnologia moderna ma è semplicemente possibile grazie all’uso dei propri organi genitali e che è bene poterlo fare in assenza di ipocrisia, abbandoni nei cassonetti e in cambio di una somma monetaria a titolo di rimborso spese, tipicamente esentasse.
A chi contesta l’utero in affitto come violenza di classe, mi viene da chiedere quando mai il mercato abbia meglio remunerato il valore del proletariato. E lo inviterei a verificare come succeda che alle famiglie dei Paesi poveri possa essere di sollievo la morte di un figlio quando si trasforma in un indennizzo di un’assicurazione occidentale.
Davvero non capisco le posizione di chi combina la difesa strenua della vita dei feti malati con la contestazione del diritto di nascere di un bambino sano con due genitori che lo aspettano, perché di questo e di nient’altro si tratta.
Non sono esperto di cose religiose, ma il consenso generale che il clima stantio del politicamente corretto di questo nostro Paese provinciale e retrogrado contro l’utero in affitto mi ha convinto che Dio prediliga la frontiera occidentale, il sole della California e una moltitudine di bambini sorridenti che corrono e giocano con gli arcobaleni sulle spiagge dell’oceano Pacifico, una moltitudine di Tobia Antonio con le carte in regole per diventare il primo Presidente omo-genitoriale degli Stati Uniti d’America.