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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 133 - 1 Ottobre 2016 | 0 commenti

La Costituzione, il referendum e un piccolo disertore: lettera aperta al presidente Sergio Mattarella

La Costituzione, il referendum e un piccolo disertore: lettera aperta al presidente Sergio Mattarella

“In piena facoltà, egregio presidente, le scrivo la presente che spero leggerà”. Inizia così la versione che Ivano Fossati fece di una stupenda canzone contro la guerra scritta da Boris Vian. Il titolo è Il disertore; il cantante immagina di leggere una lettera scritta per annunciare una defezione che non è solo personale ma ideale perché motivata da un’umanità che esprime la sua bellezza nel non accettare una socialità violenta fin dall’imposizione che di essa fa lo stato.

Del referendum indetto per il prossimo 4 dicembre non convince pressoché nulla, e ciò fa sì che non piaccia pressoché nulla. La riforma in sé appare per certi versi debole, per altri eccessiva; giuristi d’altisonante firma s’alternano a parlare di riforma finta che non valeva nemmeno la pena fare e di riforma pericolosa che condurrà il nostro sistema democratico verso un’espressione oligarchica del governo. Se non c’è spazio qui per argomentare l’effettiva funzionalità democratica delle nostre istituzioni, una prima riflessione può riguardare l’opportunità di toccare una Costituzione che il paese si è dato con gran fatica e a seguito di un dibattito di straordinaria apertura politica, coinvolgendo tutte le forze politiche antifasciste. Così si scrive una carta fondamentale per un popolo intiero; e così, con un approccio di forma che genera una precisa sostanza, bisognerebbe operare per modificarla in maniera inclusiva. Ossia, tenendo presente che ci sono due figure che devono beneficiare dell’abbraccio sociale di uno stato in cui s’intende migliorare le condizioni di vita dei cittadini: la singola persona e il popolo, inteso come insieme di singoli a cui si garantiscono determinate tutele e come insieme di singoli che offrono agli altri gli strumenti necessari per farlo.

Di tante vecchiezze che si potevano rivedere della nostra Costituzione – abrogare l’articolo 7, ad esempio, anacronistico e illiberale – le modifiche proposte sono a tratti inutili e a tratti rischiose, e se l’inutilità è sempre dannosa il rischio non può che preoccupare; ma più forte ancora sorge una domanda. È opportuno che di questioni tanto tecniche il corpo elettorale si debba rendere responsabile? Secondo l’ordinamento di una repubblica parlamentare, in effetti, sono proprio le camere a dover elaborare le leggi. Un referendum confermativo su provvedimenti poco chiari e slegati fra loro (sulla legge elettorale, addirittura, non sappiamo nulla; e dalla maggioranza arrivano voci discordanti), in cui il quesito è scritto in forma maliziosa e il cui risultato genererà (per bocca dello stesso presidente del consiglio) una reazione politica; ebbene, un referendum del genere non ha il diritto di riguardare e di andare a scalzare il senso alto di una Costituzione che ha preso forma con il contributo di sangue e di passione di tutti gli antifascisti.

Data l’oscena congerie di bassezze politiche di cui siamo spettatori attoniti, il voto si svela sterile perché non produce né l’effetto voluto né un atto democratico, ma quale che sarà il risultato partecipare a questo referendum è offrire la spada alla tenzone imposta dal governo, contribuendo dunque all’imbarbarimento della socialità e della politica di questo paese. Ed è per questo che mi rivolgo a lei, signor presidente: come capo dello stato ed emblema dell’unità nazionale lei dovrebbe cavarci di quest’impiccio e farsi primo garante di quella Costituzione che si va a schiaffeggiare con questo referendum. Io non ce l’ho con lei, sia detto per inciso; ma sento che ho deciso, e che diserterò.

https://youtu.be/rya6935J-u0

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