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Scritto da nel Internazionale, Numero 64 - 1 Novembre 2009 | 3 commenti

Sulla fine della Guerra Fredda: il fallimento dell'idealismo di Gorbačëv e la conseguente salita di Putin

Con la fine della Guerra Fredda il mondo ha mutato faccia per l’ennesima volta nell’arco del XXI secolo. Quale volto ha assunto? Bé, pensando all’ultimo decennio del Novecento verrebbe da associarlo a quello degli Stati Uniti, ma sono troppo pochi dieci anni per poter vederci chiaro. Tante cose sono già cambiate con l’inizio del nuovo millennio. Sono tanti gli attori nel palcoscenico mondiale rispetto ai due che si giocavano la Guerra Fredda. Ci sono la Cina, l’Unione Europea, il Brasile e l’India, e poi la Russia, che è tornata grande sotto il controllo dell’uomo forte Putin, che proprio l’ultimo giorno del vecchio millennio si è presentato al mondo come capo guida del popolo russo. Sono tante le fratture ed i muri ancora esistenti e forse, tutto sommato, la fine della Guerra Fredda poteva essere gestita meglio.

Sono gli anni di Michail Sergeevič Gorbačëv i più delicati e suscettibili a diverse interpretazioni. In quegli anni si decideva quale sarebbe stato il nuovo ordine mondiale. Gorbačëv aveva una visione moderna e lungimirante delle relazioni internazionali che lo portava a intendere la Guerra Fredda come anacronistica e non più sostenibile non solo per il blocco sovietico, ma a livello globale.

Secondo lui, infatti, le relazioni tra Stati erano caratterizzate sempre più da una progressiva interdipendenza che andava ricoprendo vari ambiti, dall’economia al pericolo di catastrofi nucleari (non solo militare, ma anche civile come Chernobyl nel 1986 paleserà al mondo) e che rendeva impossibile la volontà di creare, o mantenere, un sistema isolato.

È proprio questa nuova visione dell’attualità che lo porta a concepire quel new thinking con il quale avrebbe tentato di ridefinire le relazioni internazionali. Ma a quel punto modificare un tassello avrebbe significato modificare l’intero mosaico, e questo Gorbačëv lo sapeva. Un vero cambiamento non si sarebbe potuto verificare senza prima una ridefinizione interna all’URSS e al blocco sovietico. Tutto era collegato.

Gorbačëv avvia quindi un cammino step by step che parte dalla rinnovazione del sistema sovietico, guidata dalle celebri parole d’ordine Glasnost (trasparenza) e Perestroika (ristrutturazione), per poi ricercare un nuovo modus vivendi interno al campo sovietico sulla base di uguaglianza e mutuo sostegno tra i paesi secondo quella che verrà denominata dottrina Sinatra, in quanto i paesi del blocco potevano seguire la “loro strada”, e che andava a scalzare la precedente dottrina Brezhnev che esigeva conformità ed era stata annunciata dopo la primavera di Praga nel 1968.

In questo contesto di generale rinnovamento ha grandissima rilevanza per Michail il desiderio di superare la divisione presente in Europa. La proposta è lanciata a Strasburgo in sede del Consiglio d’Europa, ritenuto da lui luogo più idoneo dove ricercare istituzioni comuni, il 6 luglio 1989 attraverso un suggestivo discorso intitolato “A common European Home” dove afferma che i paesi europei condividono un destino comune di interdipendenza. A suo avviso, la presenza in Europa di due sistemi sociali differenti non era ostacolo insormontabile al superamento delle divisioni e che anzi la presenza di più sistemi poteva creare una tensione positiva verso il benessere comune. Di fatto, secondo lui, ogni paese aveva diritto a scegliersi il proprio sistema sociale, e questo doveva essere prerequisito fondamentale nella ricerca di una normale convivenza a livello europeo. In questa comune casa europea che andava dall’Atlantico agli Urali, Gorbačëv vedeva come parte naturale della sua struttura politica gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, in quanto la loro partecipazione nell’evoluzione del continente era storicamente determinata.

Forse Gorbačëv era un po’ troppo idealista. Pensava che l’Unione Sovietica si sarebbe potuta ristrutturare, ricomponendo quella frattura tra popolo e classe politica e risanando l’economia. Pensava che il superamento della Guerra Fredda potesse essere una vittoria per tutti e non un gioco a somma zero. Poi però, dall’89, con le elezioni libere in Polonia e la caduta del muro, gli eventi hanno subito un’incredibile accelerazione e la situazione non ha fatto che sfuggirgli di mano fino a quando Eltsin non lo ha definitivamente tagliato fuori proclamando il dissolvimento dell’Unione.

Gorbačëv voleva mantenere grande l’Unione Sovietica, ma in un contesto globale migliore, senza bisogno di muri. La Storia non gli ha teso la mano e fratture nel mondo sono ancora presenti.

In Europa, ad esempio, nonostante il grande avanzamento dell’Unione – Europea questa volta – sono ben visibili i limiti della cooperazione, sia interna che esterna. Palese è il caso dei difficili rapporti che molti paesi hanno con la Russia di Putin, che ha preso le redini del gigante ferito all’inizio del nuovo millennio proprio con l’intento di curarlo e risollevarlo.

All’indomani del crollo dell’Unione, l’occidentalista Eltsin alla guida della neonata Federazione Russa aveva tentato di integrare il paese nella Comunità Internazionale ricercando sostegno Occidentale per il proprio sviluppo e mantenendo al contempo un ruolo importante a livello internazionale. Le aspettative erano alte. Le politiche di Michail erano state tese verso l’Occidente, e anche quelle di Boris andavano nella stessa direzione, inoltre lui aveva posto la fine effettiva dell’Unione e si credeva che l’aver concesso la libertà e la democrazia ai paesi del blocco fosse cosa meritevole di un riconoscimento.

Ma le aspettative non si realizzano, il sostegno occidentale al recupero e allo sviluppo del paese è minimo e le politiche di Eltsin falliscono. Il gigante era stato degradato da superpotenza a paese di medio-bassa rilevanza internazionale e il non essere stati consultati dagli americani prima dell’intervento in Kosovo ne era riprova nonché incredibile smacco. Inoltre il paese stava affrontando un periodo di crisi che andò peggiorando fino all’apice raggiunto nel 1998 con il crollo della borsa. 

Tutto ciò non ha fatto che generare e diffondere un senso di frustrazione nel popolo russo che ha trovato sfogo nella politica di rivincita di Putin, che ha promesso il ritorno a uno Stato forte, consono con i valori russi e datato di un’economia efficiente. Insomma, il tornare a essere la grande potenza che il destino ha riservato al paese. Una volontà che non incontra altre priorità e che ovviamente può incontrare intralci nelle volontà di altri paesi, come è capitato quest’estate con la Georgia.

Pensando alle prospettive che aveva Gorbačëv e all'attuale situazione europea nei rapporti con quella Russia che Michail voleva parte di una comune casa europea, vien da pensare che forse la fine della Guerra Fredda poteva essere gestita meglio, senza vincitori e vinti, ma soltanto vincitori.

3 Commenti

  1. …Visto anche che i russi sono proporzionalmente più poveri rispetto a vent'anni fa.

  2. Pippo ma che vuol dire “la salita di Putin”? vuol dire “l'ascesa di Putin”? “l'uscita di Putin”?a parte ciò l'articolo è molto interessante..

  3. Per salita intendo ascesa…. effettivamente potevo anche utilizzare un altro termine, ma agli spagnolismi non ci sono ancora arrivato!”!!

    Grazie Pres, a presto

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