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Scritto da nel Internazionale, Numero 70 - 1 Giugno 2010 | 1 commento

L'esempio della Bielorussia: Libertà e Sfortuna

Il 15 maggio scorso, a Minsk, capitale della Bielorussia, si è svolta la prima parata nella storia del paese per i diritti degli omosessuali, evento noto in tutto il mondo come Gay Pride.
Non molti i partecipanti ma uniti e determinati. Il Governo ha cercato di opporsi in ogni modo allo svolgimento dell'evento. Prima senza dare motivazioni serie. Poi le autorità si sono appellate a un'assurda legge che vieterebbe di celebrare manifestazioni pubbliche a una distanza inferiore ai 200 metri da passaggi sotterranei ed entrate di metropolitane. Gli organizzatori dell'Orgoglio Baltico (questo è il nome che il pride ha preso nei territori baltici), lungi dal farsi scoraggiare da questi tentativi di sabotaggio, hanno ridisegnato il tragitto della parata e hanno manifestato comunque portando con loro la determinazione e l'allegria tipica di questo evento. Le loro uniche armi erano slogan, bandiere della pace e canti orecchiabili. Armi spaventose. Forse proprio per questo devono aver fatto paura alle autorità che non hanno esitato due volte a mobilitare le unità speciali della polizia e a disperdere il corteo a colpi di manganello. L'intervento della polizia ha creato un panico generale cui poi è seguito l'inseguimento e l'arresto forzato di una decina di partecipanti al corteo.
Questo è solo l'ultimo di una lunga serie di episodi vergognosi avvenuti in Bielorussia, un paese di cui tutti abbiamo sentito parlare ma che pochi conosco veramente.

I Bielorussi sono un popolo molto fiero delle proprie origini. In tutte le scuole dell'obbligo viene studiata accuratamente la storia e la lingua bielorussa, anche se quest'ultima ormai è usata solo dagli anziani e le nuove generazioni la studiano come nei nostri licei si studia il latino. Nelle facoltà universitarie a indirizzo umanistico c'è l'esame obbligatorio di storia bielorussa e in tutte c'è l'esame obbligatorio d'ideologia della nazione bielorussa. I Bielorussi furono tra i primi popoli dell'Impero zarista a ribellarsi e ad abolire la servitù della gleba, nel 1861. Durante le guerre mondiali questi territori furono teatro di numerosissime battaglie e le città maggiori vennero ripetutamente rase al suolo dai bombardamenti.
Dal 1921 la Bielorussia era entrata a far parte dell'URSS, dalla quale uscirà solo nel 1990. Uno degli episodi più importanti e tristemente celebri nella storia di questo paese è senz'altro l'incidente avvenuto nel 26 aprile del 1986 in territorio ucraino, nella centrale nucleare di Chernobyl. La nube radioattiva che fuoriuscì dal reattore n°4 della centrale nucleare coprì una ventina di paesi europei, ma è in Bielorussia che fece i danni maggiori. È su questi territori che precipitò oltre il 70% delle sostanze radioattive espulse, inquinando con radionuclidi il 23% dell'estensione territoriale dell'intero paese. Furono resi incoltivabili più di 2000 km2 di terreno agricolo. Sessanta aziende agricole furono costrette a chiudere i battenti e ventidue giacimenti minerari vennero abbandonati. Migliaia di persone si ritrovarono improvvisamente senza lavoro, in un territorio malsano, insalubre, inospitale e inutilizzabile. Molti persero la propria abitazione. Ma la conseguenza peggiore fu senza dubbio il vertiginoso aumento dei tassi di mortalità infantile e del numero di casi di linfomi e malattie genetiche che subito dopo la deposizione del materiale radioattivo ha cominciato a opprimere la popolazione. L'inutilità dei territori contaminati inoltre, ha fatto si che si creasse un progressivo spostamento della popolazione dai villaggi alle città, in cerca di lavoro e di sicurezza. I villaggi sono diventati sempre più delle baraccopoli, molte delle quali non hanno nemmeno acqua corrente o luce. Le città, sovraffollate, non sempre hanno avuto la possibilità di offrire lavoro a tutti e la disoccupazione è schizzata alle stelle, portando con sé un aumento dell'alcolismo e dell'abbandono di bambini. Il governo bielorusso, a dire il vero, fu estremamente efficiente e promulgò subito diverse leggi “speciali” per i territori colpiti dalla calamità, riuscendo parzialmente ad arginare i danni e a rendere possibile una futura ripresa.

Dopo l'uscita dall'URSS, nel 1994 la Bielorussia elesse il suo primo, e da quel momento in poi unico, presidente: Aleksandr Lukašenko. Lukašenko riveste la sua carica da quasi 16 anni, ininterrottamente. Iniziò la sua carriera presentandosi al popolo come ultimo paladino del comunismo sovietico, sostenendo di essere stato l'unico ad aver votato contro lo scioglimento dell'Unione Sovietica e schierandosi apertamente contro le riforme di mercato e privatizzazione e contro la corruzione della vecchia classe dirigente del governo bielorusso. Con questa immagine accattivante, non poteva non fare breccia nei cuori e nell'immaginazione dei Bielorussi che in quel periodo vedevano molto da vicino la profonda crisi economica e l'imbarazzo che la Russia di Boris Eltsin stava vivendo. Lukašenko venne così eletto con una maggioranza schiacciante. Nel 1996, accusato dalla maggioranza dei membri del parlamento di violazione della costituzione, grazie all'aiuto di alcuni mediatori russi, organizzò un referendum con il quale riuscì ad ottenere il prolungamento della sua carica da 4 a 7 anni e un notevole aumento di potere che gli consentì letteralmente di “epurare” il parlamento da 89 membri ritenuti sleali. Negli anni successivi, sempre grazie a opportuni referendum guardati con molto sospetto dall'Unione Europea e dal Dipartimento di Stato statunitense, Lukašenko riuscì a eliminare i limiti dei termini presidenziali e quindi a essere rieletto (sempre in maniera non totalmente chiara) nel 2006. Inutili gli appelli alla Corte Costituzionale presentati dagli oppositori. Grazie alla sua carriera politica, al suo spregiudicato uso dei mezzi di comunicazione di massa, della censura e della polizia, Lukašenko è considerato uno degli ultimi dittatori europei. La repressione del GayPride è solo l'ultima di una lunga serie di repressioni che il suo governo ha perpetrato nei confronti di ogni forma di manifestazione di libero pensiero. Prendendo in esame i soprusi compiuti anche solo in questi primi mesi del 2010 si potrebbero riempire almeno dieci pagine di un quotidiano.

Il 13 gennaio il vice-ministro della Giustizia ha pronunciato un discorso di avvertimento contro la BAJ (associazione bielorussa dei giornalisti) con il quale ha dichiarato che l'associazione non è un mass media (quindi per la legge bielorussa non ha il diritto di fornire informazioni) e ha dichiar
ato illegale il centro di assistenza legale che la BAJ mette a disposizione dei giornalisti (centro tra l'altro perfettamente legale in quanto previsto dagli statuti della BAJ approvati dal ministero della giustizia da più di sette anni). Il 3 febbraio la polizia ha tentato 2 volte di fare irruzione nell'abitazione privata di un giornalista di Belsat TV, un canale satellitare privato, assediando l'appartamento per due ore e staccando anche la corrente. Il 4 febbraio un tribunale di Minsk ha condannato un altro giornalista di Belsat TV per “hooliganismo minore” a dieci giorni di prigione. Sempre a febbraio inoltre è stato promulgato un decreto grazie al quale internet viene messo sotto stretta sorveglianza, obbligando tutti i clienti degli internet café, di provider web o di altri servizi di telecomunicazione bielorussi a farsi riconoscere prima di accedere alla rete, registrando nome, cognome, ID e ora di inizio e di fine della sessione web. A marzo, due testate giornalistiche, Nash Dom e Viterbsky Kurier, si sono viste confiscare i numeri del 25 in una città a est del paese, per un totale di quasi 34'000 riviste ritirate. Sempre in marzo la Corte Suprema ha assecondato la richiesta del ministero degli interni di impedire alla BAJ di concedere il cartellino di “addetto stampa” ai giornalisti indipendenti, rendendo così i giornalisti free lance stranieri dei criminali e quindi passibili di pene detentive. Per chiudere in bellezza, citiamo anche le intimidazioni ad una giornalista investigativa, Maryna Koktysh, che il 17 febbraio si è vista confiscare il computer e molti dei suoi documenti dalla polizia.


L'organizzazione Reporters Sans Frontières si occupa da anni della situazione dei media bielorussi e pubblica in continuazione articoli di denuncia per aiutare i giornalisti vittime di soprusi a far sentire la propria voce e a sfuggire alla morsa della censura.
Dopo un primo periodo in cui Lukašenko aveva sottolineato l'importanza di un'alleanza economica tra Russia e Bielorussia, recentemente, anche a causa del raffreddamento dei rapporti tra i due paesi, dovuto per lo più al controllo dei gasdotti che attraversano la Bielorussia, il governo di Minsk ha intrapreso un processo di graduale avvicinamento alla Comunità Europea, inaugurato da una serie di viaggi di Lukašenko in vari paesi. Fino al 2008 al “padre della patria” (è così che a Lukašenko piace farsi chiamare) veniva vietato il visto di ingresso per tutti i paesi dell'UE. Non si capisce perché ora invece sia così ben accetto. Il presidente bielorusso è stato accolto a braccia aperte anche dal papa, al quale si è presentato come grande paladino del cristianesimo nell'Europa dell'est. Il primo capo di stato a fargli visita è stato proprio il nostro presidente del consiglio, ironia della sorte anche lui non proprio in buoni rapporti con chi dimostra attaccamento alla libertà di parola. Non si può resistere alla tentazione di concludere con le parole che Berlusconi ha ritenuto necessario pronunciare durante la conferenza stampa tenutasi a Minsk in occasione della sua visita. Rivolto a Lukašenko: “Tanti auguri a lei, al suo governo e alla sua gente, che so che la ama e questo è dimostrato da tutti i risultati delle elezioni che sono di fronte agli occhi di tutti e che tutti noi conosciamo e APPREZZIAMO.”

1 Commento

  1. quante cose accadono sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo!!viene spontaneo chiedersi: noi dove eravamo?

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