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Scritto da nel Bologna, Numero 11 - 16 Febbraio 2007 | 0 commenti

Metropoli di Provincia

Bologna sembra sempre più una città immobile, stanca e disillusa. Ubriaca delle glorie passate, non riesce a guardare avanti e non ha il coraggio di scommettere sul proprio futuro, rinnovandosi e individuando nuove ambizioni da perseguire. Il declino non è cominciato ieri, ma procede ormai da un ventennio. A chi ci ha vissuto e poi se n'è andato, per chi da qui è transitato o semplicemente ci vive ed ha mente libera per osservarla con occhio critico, la “grassa” sembra sempre uguale.

Il tutto nasce da una profonda contraddizione che per molti anni ha caratterizzato questa “metropoli di provincia” grande e piccola allo stesso tempo: il limitato orizzonte di analisi.

Un centrostorico abbruttito dagli egoismi e dagli individualismi, circondato da zone residenziali senza vita, un centrostorico vecchio, afflitto da problemi sociali e di sicurezza, nel quale è sempre più difficile scorgere i segni di bellezze antiche, associato all'incapacità di spingersi oltre in una città molto più ampio del suo centro.

A bassa voce in questi anni si è cercato di ragionare su come riqualificare e rilanciare questa importante parte della città, che bene o male rappresenta la vita di tutta la comunità. L'idea era quella di scaricarla del peso dell'Università – costruendo campus al di fuori delle mura e nei paesi della provincia – e del peso delle strutture del governo dell'amministrazione e della giustizia. Lentamente questo processo sta compiendo i suoi passi – lo spostamento di alcuni poli universitari e la costruzione della sede unica del Comune poco fuori porta – ma ciò non accade con la convinzione e la celerità che si dovrebbero ad un progetto ampio che investe nel profondo il futuro di Bologna. Si tratta di cambiare radicalmente lo spirito che ha animato decenni di scelte, partendo dall'allargamento dei confini con i quali siamo abituati a pensare la città, sempre stretta tra Porta S.Mamolo e Porta Galliera e tra Porta S.Isaia e Porta Mazzini.

A mio parere sarebbe opportuno convincersi del fatto che le strutture nelle quali operano oggi gli uffici pubblici e dell'Università non sono più adeguato al volume e alla tipologia dei servizi richiesti dal cittadino\studente fruitore. Edifici vecchi, costosi da mantenere, difficili da gestire, logisticamente inadeguati ad ospitare uffici ed aule di lezione oltre a presentare oggettive difficoltà nell'ospitare strutture tecnologiche oggi indispensabili. Conseguenza di questa analisi sarebbe quella di scegliere alcune strutture da mantenere, riqualificare ed utilizzare per alcune attività adeguate a dette strutture. Le altre risorse immobiliari dovrebbero essere vendute o date in gestione a privati in grado di rigualificarle e metterle a disposizione di grandi aziende, che li potrebbero utilizzare come uffici di rappresentanza, oppure di trasformarli in abitativo. In questo modo si raggiungerebbero alcuni importanti obbiettivi come riqualificare le strutture pubbliche, rilanciare una zona vasta dove problemi sociali e di sicurezza si sono ormai mescolati ed incancreniti, ripopolare il Centro svuotato da anni di politiche abitative sbagliate che hanno dato vita ad una massiccia fuga in provincia da parte dei residenti, ampliare gli spazi della città – a maggior ragione ora che si parla più concretamente di città metropolitana – oltre ad avviare una proficua collaborazione pubblico-privato sulla quale basare il rilancio di tutto il territorio comunale.

La sfida per mantenere Bologna ad alti livelli e per preservare il suo bene più grande – l'Università – passa dalla consapevolezza che le cose così come stanno non vanno bene. I problemi sono esplosi e purtroppo oggi in molti pensano che non si possa fare altro che convivere con essi in silenzio. Le scelte dovranno essere radicali e anti-popolari, ma ne va del futuro della nostra città.

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