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Scritto da nel Numero 83 - 1 Ottobre 2011, Politica | 0 commenti

Ogni maledetto Comune

I Comuni italiani sono più di 8.000. Come le nuvole vanno e vengono, dipendendo la loro formazione dall'articolo 133 della Costituzione, essendo il medesimo esercizio tipico di autonomia territoriale. Davvero, in tempi in cui si fanno le finanziarie sciacquandosi la bocca con alcune paroline magiche (alle quali si risponde con le medesime, quasi fossero formule da sancire con il tono più serio possibile) tra cui l'abolizione delle Province. Maledette. Infami. Ladre. Basterebbe cancellarle con un tratto di penna e non si pagherebbe più l'Iva. Neanche l'Irap. Mannaggia alla casta.

Un punto imperterrito divide l'antipolitica dalla realtà: la Costituzione italiana.
Così come non è riuscito a Berlusconi di abbattere il maledetto teatrino della politica, che lo ha invece assunto come attore protagonista viste le sue innate doti di animale da palcoscenico, altrettanto non riuscirà ai vari anticasta di oggi di abbattere quel feticcio rappresentato dalle Province. E sapete perchè?

L'Articolo 133 della Carta recita che “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione. La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.”

Mannaggia. Anche se i rivoluzionari de noantri riuscissero ad espugnare il Palazzo d'Inverno e a ghigliottinare l'Ancien Regime, dovrebbero passare dai Comuni interessati, sentire le Regioni, approvare le leggi. Che lungaggini questa democrazia.
Questo nell'ipotesi che ritengano di difenderla la nostra Costituzione, e che non preferiscano continuare ad affondare il paese nella spirale dell'antipolitica che dai tempi gloriosi del primo berlusconismo ammorba il nostro Paese e impedisce al dibattito politico di svilupparsi.

E allora qual è la soluzione? Parafrasando Travaglio, noi giornalisti potremmo completamente disinteressarci di dare una risposta. O parafrasando l'Economist, potremmo invocare privatizzazione e liberalizzazioni. E invece il sottoscritto ritiene che l'unico modo per rendere il nostro Paese più efficiente, sia proprio quello di avviare un lunghissimo iter, che coinvolga tutti i Comuni, comprese le centinaia di comuni piemontesi scesi in piazza a difendere la propria esistenza, e non per raggiungere chissà quali risparmi di spesa, ma per avere una struttura snella ed efficiente. Che ne so, 1000 comuni invece di 8000, in modo da evitare di inventarsi consorzi ed enti metropolitani.
Richiederebbe di capire a che cosa serve il comune, qual è la dimensione ottimale che tenga insieme rappresentanza ed efficienza. Per farlo si potrebbe coinvolgere una società di consulenza alla quale imporre che almeno metà dei suoi dipendenti coinvolti siano neolaureati col massimo dei voti. E che invece che essere pagati a co.co.pro, lo siano secondo contratto nazionale

Perchè una pubblica amministrazione che spende bene investe nel futuro del Paese e non crea debito ma sviluppo.

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