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Scritto da nel Numero 42 - 1 Luglio 2008, Politica | 1 commento

Una poltrona per (P)2, ovvero “il mito della Taverna”.

« …prima ancora di avere rifatto l'abitudine a questa tenebra recente, viene costretto a contendere nei tribunali o in qualunque altra sede discutendo sulle ombre della giustizia o sulle copie che danno luogo a queste ombre, e a battersi sulla interpretazione che di questi problemi dà chi non ha mai veduto la giustizia in sé. »

 

                                                                                                     Platone, La Repubblica[1]

 

 

 

Nessuno ci ha mai spiegato quanto dovesse durare il tentativo dell’uomo liberato di condurre gli altri ancora incatenati alla verità incrollabile delle cose in sé.  14 anni è un tempo ragionevole? Oppure un tempo ragionevole non esiste e la cicuta rimane l’unica ineluttabile fine dello sciagurato e fortunato? E ancora, vi sono illuminati per tutte le stagioni? Esiste l’illuminazione in sé? Chi è l’uomo liberato?

 

Se tutte le certezze crollano, anche la certezza di aver compreso la natura e l’origine delle anomalie del caso Italia, può crollare sotto i colpi del tempo e dello sterile tentare e tentare ancora.

 

Una storia che va avanti da troppo tempo e che ha visto una cospicua fetta di italiani appassionarsi attorno alla missione impossibile, e costruire la propria identità politica e civile come anti-qualcosa, nell’intento, sempre e solo dichiarato, di trascinare verso-qualcosa. Questo sentimento diffuso ha subito nel tempo sensibili trasformazioni, nell’oggetto dei “qualcosa”, preservando la sua identità profonda e le sue forme, le sue modalità di concretizzazione politica, lasciando pensare che la persistenza dell’aggregato abbia sostanzialmente prevalso sull’istinto delle combinazioni.

 

Così può accadere che tanti anni di impegnate e strutturate lotte di effettiva opposizione nel paese si rivelino, agli occhi della storia un chiassoso coro di voci, che dall’esterno richiamano alla ragione gli imprigionati, senza mai osare veramente entrare nella caverna, pardon taverna. Dove si sa, si corre il rischio di dimenticare, per colpa del buio e del buon vino, le proprie ragioni; ma questi, ai forti e ai valorosi, alle volte, corroborano il coraggio e le buone idee.




[1]  Platone non è un editorialista del quotidiano “La Repubblica”, è speranza dell’autore che la precisazione sia del tutto superflua e che, in caso contrario,  contribuisca a fugare qualsivoglia dubbio sull’intento fazioso della citazione.

 

 

 

1 Commento

  1. aspetta che lo rileggo, forse ho perso qualche passaggio. intanto mi sembra abbastanza chiara la natura psichedelica delle sostanze che hanno dato alla luce questo articolo..
    però bello, devo dire, letto due volte, capito poco, ma bello bello bello..è più poetico che politico..una di quelle poetice pessimiste e autolesioniste, ma con ironia…è il mishima che si suicida di fronte alle telecamere, però durante un programma di varietà della domenica pomeriggio, tra una corsa con i sacchi ed il gioco della scopa

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