Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Internazionale, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 0 commenti

Sharia

Viaggio nel significato della legge divina islamica

Quante volte avete sentito parlare in televisione o sui giornali della “Sharia”?
Moltissime volte questa parola è legata, purtroppo in maniera negativa, alla pena di morte che subiscono, nel mondo musulmano, le donne adultere oppure gli uomini omosessuali tramite lapidazione e impiccagione.
Viene alla mente la morte di quei giovani ragazzi, uccisi dal governo teocratico iraniano il 19 luglio 2005, dopo che un tribunale religioso li ha trovati colpevoli di essere omosessuali.
I due sono stati tenuti in prigioni per quattordici mesi, maltrattati con ripetuti pestaggi, fustigati pubblicamente 228 volte per aver utilizzato alcolici, disturbato la quiete e aver rubato.
Secondo, la legge religiosa della “Sharia” anche la vittima di violenze sessuali deve essere condannata a morte.
“Questa è solo l'ultima barbarie degli Islamo-fascisti in Iran” ha detto Peter Tatchell del gruppo di diritti umani OutRage di Londra. Gli attivisti dei diritti umani in Iran stimano che 100.000 iraniani sono stati messi a morte negli ultimi ventisei anni di governo clericale (salito al potere nel 1979) tra cui oltre 4.000 omosessuali e lesbiche, donne che hanno avuto rapporti fuori dal matrimonio e avversari politici.
Che cosa vuol dire “Sharia”?
“Sharia” indica, alla lettera, “la via da seguire”, ma si può anche tradurre con “Legge divina” poiché il suo significato reale è il complesso di tutte le norme religiose, giuridiche e sociali che direttamente si fondano sulla dottrina del Corano.
Nel libro sacro ai musulmani convivono regole teologiche, morali, rituali, di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali e processuali.
La “Sharia” disciplina e regola tutte le attività riguardanti la vita sociale e civile di un islamico.
Quali sono i reati che questa perseguita?
Questi si dividono in tre grandi categorie:
alla prima appartengono i reati espressamente puniti dal Corano. Prendono il nome di “hudud”, quelli più gravi come ad esempio: l'apostasia (cioè l'abbandono formale della propria religione) , la bestemmia, l'adulterio, la diffamazione, il brigantaggio, l' uso di bevande alcoliche, il furto e la ribellione che sono tutti punibili con la pena di morte. Il giudice ha, nei loro riguardi, un potere discrezionale molto limitato e vengono sempre perseguiti d'ufficio, perché sono rivolti contro Dio.
Invece, alla seconda categoria appartengono i delitti di sangue detti “qisas” ovvero: l' omicidio volontario con un'arma, il delitto volontario, l'uccisione per fatto involontario, l' omicidio indiretto, la lesione corporale volontaria e quella involontaria.
Le pene sono tutte determinate dal Corano, attraverso la “legge del taglione”, la quale – a discrezione della vittima o della sua famiglia – può essere sostituita dal prezzo del sangue o del perdono. Anche in questo caso la discrezionalità del giudice è molto limitata.
Infine nella terza categoria, vi sono tutti quei comportamenti che sono stati considerati nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali il Corano non prevede pene specifiche. Questi, definiti “tazir”, sono: la sodomia; l' importazione; l'esportazione, il trasporto, la produzione o la vendita di vino; i reati minori ovvero la disobbedienza al marito e gli insulti a terzi; la diserzione; l' appropriazione indebita; la falsa testimonianza; l' evasione fiscale; l' usura; la corruzione e la violazione dei doveri derivanti da negozi fiduciari.
In questo caso specifico la pena ricade nella discrezionalità del giudice.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>