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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 1 commento

Made in the USA

E fu così che, il 17 Febbraio 2009, Barack Obama firmò il pacchetto fiscale da 787 miliardi1 di dollari , nell'intento di resuscitare la moribonda economia americana, ravvivare la domanda interna, riaccendere i consumi, far ripartire gli investimenti, creare impiego, e blablabla. E tra il blablabla, non dimentichiamoci la legittima speranza del malcapitato neoeletto di far durare questa recessione il meno possibile e poter verosimilmente ambire ad un secondo mandato.

Il beneamati economisti di tutto il mondo, meglio noti al grande pubblico per aver previsto quattro delle ultime tre recessioni, delle quali (aggiungo io) cinque erano depressioni, rimangono divisi sul verdetto. Ad ogni modo, nel rispettabile e ormai consueto intento di far sembrare l'astrologia una scienza esatta, i suddetti non hanno perso l'occasione per dar di matto con le loro verità assolute. Di nuovo.

Ed è quindi iniziata l'ennesima fiera di chi la spara più grossa. Lo stimolo non è sufficiente di qua. Il pacchetto è eccessivo di la. Non si possono usare soldi pubblici per salvare aziende private di su. L'ingerenza pubblica non servirà a ravvivare l'economia di giù. Lasciamo l'aggiustamento ai mercati a destra. Non serve più regolamentazione bensì una regolamentazione diversa a sinistra. E c'è da capirli, 'sti poveri economisti. Non saprei nemmeno io dove sbattere la testa.

Ma tralasciamo per un secondo l'estrazione dei numeri del lotto, che non è il punto (anche se l'arroganza degli economisti riesce veramente a meravigliarmi). Piuttosto, ci tenevo a soffermarmi su un aspetto specifico dello stimolo fiscale statunitense; la poco nota sezione 1605 del testo di legge che vara il pacchetto fiscale. Ribattezzata la clausola “Buy American”, questa sezione specifica come i fondi resi disponibili dal pacchetto fiscale non potranno essere spesi per finanziare opere pubbliche che utilizzino materie prime acquistate al di fuori degli Stati Uniti2.

Ora. Premetto che è totalmente legittimo per un governo sovrano decidere come utilizzare le proprie risorse e i soldi dei contribuenti. Premetto che posso pure credere che il pacchetto aiuti a creare un po' di occupazione nel medio periodo e che la clausola “Buy American” sia il prezzo da pagare a sindacati ed elettori/lavoratori meno specializzati. Ma è veramente nell'interesse degli Stati Uniti intraprendere un tale sentiero?

No. Per diversi motivi.

Punto primo, i benefici del “Buy American” per gli Stati Uniti stessi sono quantomeno limitati anche in un'ottica di breve periodo. Se, da una parte, la clausola contribuirà presumibilmente a creare qualche lavoro (e tralasciamo per ora la questione della sostenibilità di questi impieghi), dall'altra avrà come effetto quello di alzare i prezzi delle materie prime utilizzate, diminuendo quindi profitti delle aziende (e quindi deprimendo gli effetti sull'impiego) oppure alzando il costo delle opere pubbliche previste a scapito di usi alternativi e più efficienti delle risorse pubbliche.

Punto secondo, la clausola manda un pessimo segnale da parte della potenza statunitense verso il resto del mondo in un momento critico. Dopo anni e anni passati a convincere i paesi in via di sviluppo dei benefici del libero scambio, che gli USA si rifugino in misure protezionistiche non appena il gioco si fa duro, non è esattamente un buon esempio per paesi “commercio-scettici”. Inoltre, nell'imporre restrizioni a importazioni di beni essenzialmente manufatturieri (che arrivano perlopiù da paesi in via di sviluppo), l'amministrazione americana ha deciso di inziare un pericoloso gioco noto in economichese come “beggar-thy-neighbor” (ovvero, la pratica dello scarica-barile). Ognuno fa i propri interessi (o almeno pensa) e lascia i partner commericali fuori al freddo; buy american e addio Africa3. Purtroppo, alla lunga, se io proteggo, tu proteggi, ed egli protegge, noi non commerciamo, voi non commerciate, essi esasperano la recessione, iniziano a litigare e perdiamo tutti.

Punto terzo, strettamente legato al secondo, l'ultima volta che abbiamo assistito ad un shock economico simile a quello odierno era il 1929. Negli Stati Uniti, alla grande depressione seguì lo Hawley Smoot Tariff Act, che diede origine all'onda protezionistica degli anni Trenta e risultò in una vera e propria guerra doganale, che esasperarò la crisi economica e, in ultima istanza, degenerò nella Seconda Guerra Mondiale.

So che aspettarsi un po' di sincerità da parte di un politico qualsiasi è un speranza irrealizzabile. Basti pensare che il recente budget statunitense si basa su proiezioni che vogliono il tasso di crescita al 3.2% nel 2010, al 4% nell 2011 e, udite udite, 4.6% nel 2012. Io non sono un veggente e magari quei numeri si materializzeranno veramente; ad oggi però fare previsioni del genere (e parliamo degli USA, non dello Zimbabwe) mi sembra alquanto irresponsabile.

So anche che spesso e volentieri i politici non hanno a cuore l'interesse di lungo periodo del proprio elettorato ma, piuttosto, fanno fredde considerazioni elettorali scarsamente lungimiranti (chi ci guadagna, se non il governo, a fare previsioni di crescita al 4% quando il mondo sta crollando?). Ammetto però che da Barack Obama mi aspettavo di più. Che in momenti come questi, fosse anche nel suo interesse fare scelte impopolari ma benefiche nel lungo periodo e dire verità sconvenienti. Invece, la vicenda mostra in modo abbastanza evidente come Barack Obama, lungi dall'essere il tanto atteso salvatore del mondo, sia in fin dei conti un politico che risponde ai più semplici e universali incentivi di bassa lega.

Sai che scoperta, direte voi.

[1] Tanto per contestualizzare la cifra, il PIL Italiano era circa 1.500 miliardi di dollari nel 2007, quello statunitense oltre 13,000 miliardi. Il pacchetto Obama rappresenta quindi il 45% del PIL italiano, e il 5% del PIL statunitense.

[2] SEC.1605. USE OF AMERICAN IRON, STEEL, AND MANUFACTURED GOODS

(a) None of the funds appropriated or otherwise made available by this Act may be used for a project for the construction, alteration, maintenance, or repair of a public building or public work unless all of the iron, steel, and manufactured goods used in the project are produced in the United States.

(b) Subsection (a) shall not apply in any case or category of cases in which the head of the Federal department or agency involved finds that—(1) applying subsection (a) would be inconsistent with the public interest;(2) iron, steel, and the relevant manufactured goods are not produced in the United States in sufficient and reasonably available quantities and of a satisfactory quality; or(3) inclusion of iron, steel, and manufactured goods produced in the United States will increase the cost of the overall project by more than 25 percent.

(c) If the head of a Federal department or agency determines that it is necessary to waive the application of subsection (a) based on a finding under subsection (b), the head of the department or agency shall publish in the Federal Register a detailed written justification as to why the provision is being waived.

(d) This section shall be applied in a manner consistent with obligations under international agreements.

[3] Per un resoconto di come la crisi stia colpendo in maniera drammatica i paesi in via di sviluppo si veda un recente paper della Banca Mondiale intitolato “Swimming against the tide: How developing countries are coping with the global crisis”.

1 Commento

  1. questo Michele Zini migliora sem,pre più..devo dire che questo articolo è scritto veramente bene..ed io i complimenti pubblici a MIchele Zini non è che li faccia molto spesso

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