Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Economia e Politica, Numero 6 - 16 Novembre 2006 | 0 commenti

Telecomunicazioni e concorrenza – tempo di bilanci

Nel Numero 4 dell'Arengo del Viaggiatore avevamo parlato del processo di liberalizzazione nelle telecomunicazioni.

La liberalizzazione delle telecomunicazioni è avvenuta mediante l'apertura dell'ultimo miglio di rete ad operatori alternativi in grado di offrire servizi in concorrenza con quelli proposti dall'operatore storico. Ora, le Autorità di Regolamentazione, di fronte al delicato problema della liberalizzazione di una essential facility come la rete, si trovarono a compiere una scelta innanzitutto in ordine alla struttura del mercato liberalizzato. Una prima soluzione prevedeva la separazione verticale tra l'essential facility, rappresentata dall'infrastruttura, e l'attività di fornitura di servizi[1]. Una seconda strada, denominata integrazione, prevedeva invece l'attribuzione in capo all'incumbent del duplice ruolo di gestore della rete in situazione di monopolio e di operatore in concorrenza nell'offerta di servizi al dettaglio nel mercato a valle.

La separazione verticale tagliava drasticamente la testa al toro mediante l'attribuzione a due società distinte delle due attività un tempo facenti capo ad un soggetto verticalmente integrato. Ad esclusione di fenomeni collusivi tra l'operatore di rete e l'operatore a valle, la separazione verticale avrebbe consentito alle Autorità di Regolamentazione di disporre di una maggiore chiarezza riguardo ai costi della rete. Nel caso dell'integrazione invece le preoccupazioni per le Autorità aumentavano: esiste infatti il rischio che l'operatore verticalmente integrato possa cercare di metter fuori gioco i propri concorrenti ostacolandone l'operatività attraverso prezzi discriminatori.

In Europa solo la Gran Bretagna ha scelto la strada della separazione. In tutti gli altri paesi è stata privilegiata l'integrazione rispetto alla via drastica e politicamente delicata dello scorporo.

Scorporo o integrazione che sia, al di là della struttura di mercato prescelta, la regolamentazione dei prezzi di accesso e di interconnessione richiedeva un'analisi minuziosa dei costi sostenuti dal detentore della rete.

Per far questo, le Autorità hanno via via elaborato dei modelli di costo, che comprendevano da un lato la tariffa di accesso all'ultimo miglio di rete dell'incumbent (prezzo di affitto della rete) e dall'altro la tariffa di interconnessione per il traffico di chiamate convogliate dalla propria rete verso quella dell'incumbent e viceversa (prezzo di interconnessione). Al fine di implementare il proprio modello di costo l'Autorità doveva quindi essere in grado di stimare i costi sostenuti dall'incumbent per la costruzione e la manutenzione della rete.

E qui nascono i problemi. Le Autorità hanno nel tempo elaborato diversi approcci contabili, ciascuno con i propri vantaggi e svantaggi. Tali modelli possono differenziarsi per quanto riguarda: la base di costo impiegata (costi storici o costi correnti), il tipo di modello prospettico impiegato[2], il costo del capitale impiegato etc……..insomma : una miriade di metodologie che unite alle infinite peculiarità nazionali hanno dato luogo a molteplici modelli di costo e ad un'eterogeneità regolamentare a livello europeo davvero spaventosa. Il processo di regolamentazione è stato talmente ingarbugliato che a posteriori risulta difficile valutarne la reale incidenza sul mercato.

Ora, se è vero che strada facendo le Autorità hanno imparato a spulciare i conti delle aziende ancora meglio di Kpmg e Deloitte, spesso l'impiego di modelli di costo a tal punto complessi sembra aver annacquato il senso della regolamentazione dell'accesso e dell'interconnessione costringendo le Autorità ad una continua rincorsa rispetto agli incumbent sul terreno sconnesso della contabilità[3].

Se quindi è difficile esprimersi su quale sia il modello di costo migliore, certo è che la regolamentazione non è riuscita nell'intento di imprimere uno sviluppo armonico del settore delle telecomunicazioni in seguito alla liberalizzazione.

Gli incumbent hanno visto le proprie quote di mercato erodersi soltanto molto lentamente per effetto dell'apertura dell'ultimo miglio e non è bastata a far sì che tale processo si accelerasse una regolamentazione di tipo asimmetrico che mirasse a sostenere i nuovi entranti.

Un dato preoccupante riguarda la dinamica concorrenziale e l'innovazione. Gli incumbent, forti di quote di mercato schiaccianti, hanno potuto traghettare indisturbati il loro potere di mercato anche sui nuovi servizi derivanti dalla telefonia fissa. Raramente i nuovi entranti innovanti riescono a crescere beneficiando della propria innovazione e ritagliandosi nuove nicchie di mercato: spesso è l'incumbent che, pur arrivando nettamente in ritardo, trae il maggior beneficio dalla commercializzazione di nuovi servizi.

Nel segmento dell'ADSL il fenomeno del leverage è stato imponente. Nel 2006 in Europa, la quota di mercato nell'ADSL residenziale di più di un operatore storico ha addirittura ricominciato a salire. Questo è il quadro allarmante che l'ultimo rapporto del Communications Committee della Commissione Europea ci presenta.

Fonte: Commissione Europea, Communication Committee, “Broadband access in the UE : situation at 1 January 2006”

Inoltre lo stesso rapporto stima attestarsi al 59,7% la quota di mercato media degli incumbent nell'ADSL in Europa. Ci si chiederà: come è possibile tutto ciò? E i modelli di costo? E la regolamentazione asimmetrica? Ad essere ottimisti si può dire che non sono bastate. Ad essere pessimisti si può dire che la regolamentazione non ha minimamente intaccato l'andamento (o meglio l'immobilismo) del mercato, non sapendo bilanciare una situazione di per se' disarmonica come quella derivante da un ex monopolio naturale.

Un dato merita la nostra attenzione: è in Gran Bretagna che si osserva la quota di mercato dell'incumbent più bassa. Pur restando un operatore con significativo potere di mercato, BT detiene ormai “soltanto” il 40% del mercato dell'ADSL residenziale e questo si riflette inevitabilmente sul livello concorrenziale del mercato e sul livello dei prezzi finali.

E' evidente come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, due paesi in cui la cultura della concorrenza è più radicata, attraverso una decisione netta come quella della separazione abbiano cercato di imprimere ai propri mercati delle telecomunicazioni una sterzata in direzione della concorrenza.

Speriamo che accada presto in altri paesi e, perché no, in Italia. In questo senso sembrava andare nel Giugno scorso, il presidente dell'Agcom Corrado Calabro' quando, nella sua relazione annuale, aveva abbozzato l'idea di uno scorporo di Telecom Italia sulla scia del modello inglese. Per ora come è noto, non se ne è fatto nulla.


[1] Tale separazione verticale o scorporo può avvenire in due modi. Può trattarsi di una separazione strutturale o di una separazione contabile. La regolamentazione anglosassone sembra da sempre orientata in questa direzione : nel 1984 la FCC (Federal Communications Commission) impose all'incumbent Americano AT&T una separazione di tipo strutturale mentre in Gran Bretagna l'Ofcom ha imposto nel 2005 all'incumbent inglese British Telecom una separazione di tipo contabile fra le attività legate all'accesso, alla connessione e all'interconnessione e quelle legate alla fornitura di servizi retail.

[2] Due modelli di costo sembrano ormai prevalere: il LRAIC (Long Run Average Incremental Cost) e il FDC (Fully Distributed Costs). Il primo mira ad una ricostruzione dei costi addizionali che un operatore deve sostenere per fornire un servizio (di accesso, di interconnessione etc..). Tale metodologia cerca di ricostruire in pratica i costi complessivi che un operatore deve sostenere per essere operativo e prende in considerazione anche la componente dell' evoluzione tecnologica relativamente costi prospettici. Il secondo metodo cerca invece di allocare l'insieme dei costi dell'operatore tra i vari prodotti e servizi.

[3] Nel 1999 all'interno della “1999 Review” la Commissione Europea si era interrogata sui limiti della regolamentazione ex ante attuata tramite modelli di costo prevedendo un avvicinamento della regolamentazione delle telecomunicazioni alla disciplina antitrust, il cui intervento si verificasse ex post in caso di accertamento dell'esistenza di pratiche anticoncorrenziali. In proposito si veda inoltre la Comunicazione della Commissione del 26 aprile 2000 intitolata “The results of the public consultation on the 1999 Communications Review and Orientations for the new Regulatory Framework”, COM (2000) 239 final. In tale documento, la Commissione auspicò il passaggio ad una light hand regulation basata su un modello antitrust e la rimozione degli obblighi ex ante, indicati come “no longer necessary”.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>