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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 6 - 16 Novembre 2006 | 0 commenti

Branson e l'ambientalismo ritrovato

New York – Clinton Global Initiative: a fianco dell' ex-presidente americano e del suo vice Al Gore, Sir Richard Branson annuncia alla platea newyorkese che per i prossimi dieci anni tutti i profitti della Virgin, settore trasporti (aviazione e ferroviario), saranno destinati alla ricerca contro il Global Warming, per un ammontare stimato intorno ai tre miliardi di dollari.

Non più il rosso del marchio Virgin, ma verde sarà il nuovo colore d'ora in poi da associare alla figura di Sir Branson. Rimane tuttavia ancora da chiarire se il verde di cui stiamo parlando sia quello dell'ambiente o, piuttosto, quello dei dollari.

Anche a chi avesse memoria corta non dovrebbe sfuggire che il Richard Branson oggi schieratosi finanziariamente contro il Global Warming sia lo stesso miliardario arricchitosi in un settore, quello dell'aviazione, che dal 1990 al 2004 ha fatto registrare un aumento delle emissioni di CO2 pari all'85%, quello dell'aviazione. Un settore che in Gran Bretagna e' responsabile per il 5,5% delle emissioni di gas serra.

Ed e' proprio dalla Gran Bretagna che nasce la proposta di voler includere anche l'aviazione nell'Emissions Trading Scheme o, alternativamente, di imporre un aviation tax sui combustibili per frenare la crescita di emissioni provenienti da questo settore.

In questo scenario politico deciso a far pagar anche alle compagnie aeree la loro quota di inquinamento, la magnanimità di Sir Branson potrebbe quindi essere mossa, oltre che da un ambientalismo ritrovato, anche da razionalità economica. I tre miliardi di cui sopra saranno infatti investiti nella ricerca e sviluppo di fonti alternative, in particolare nella produzione di nuovi bio-combustibili (prima delle iniziative un programma triennale da 400 milioni di dollari per lo sviluppo di un carburante avio di origine vegetale).

Anche se l'intuito ora ci suggerisce che dietro la nuova strategia della Virgin si possano nascondere laute opportunità di profitto, tuttavia la profittabilità di questo investimento e' ancora tutta da dimostrare[1] e pertanto non possiamo escludere a priori la possibilità che l'operazione finanziaria di Branson rechi maggiori benefici all'ambiente che non alle tasche della sua compagnia aerea.

A favore di questa ipotesi constatiamo che, di fatto, l'iniziativa filantropica promossa da Branson non rimane un evento isolato nel panorama economico mondiale; al contrario, essa conferma una tendenza sempre maggiore che vede le grandi multinazionali spingersi oltre i requisiti minimi imposti dalla legge e promuovere finanziariamente cause socialmente desiderabili, anche se apparentemente non profittevoli (CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY – CSR).

Di fronte a questa nuova tendenza, due sono le domande che mi sembra opportuno sollevare:

  1. Cosa spinge le varie imprese a promuovere operazioni socialmente responsabili ma (apparentemente) non economicamente fruttuose?
    Le corporation, in qualità di soggetti a responsabilità giuridica, dovrebbero essere agenti economici razionali senza preferenze, passioni o sentimenti, che mirano alla semplice massimizzazione dei profitti (e non della propria utilità). Il fenomeno della CSR sembra quindi contraddire i fondamentali della teoria economica industriale secondo cui “l'unica responsabilità sociale delle imprese e' quella di utilizzare risorse scarse ed intraprendere quelle attività che ne aumentino i profitti”[2].
    Potremmo osservare che oggigiorno nessuna impresa vorrebbe trovarsi nel gradino più alto del podio nella classifica delle industrie più inquinanti al mondo; è chiaro che l'immagine della compagnia ne risentirebbe con il rischio di una contrazione delle vendite.
    Perché tuttavia spingersi oltre gli standard di qualità definiti dalla legge e donare/investire miliardi su miliardi a fin di bene?
    È vero che di fronte ad un recente orientamento della domanda (o meglio, parte di essa) verso prodotti e processi di produzione socialmente sostenibili, le imprese che investono in responsabilità sociale di fatto si affacciano per prime verso nuovi mercati oggi ancora di nicchia e, assicurandosi contro rischi di boicottaggio da parte dei consumatori, potrebbero quindi ottenere nel lungo periodo anche dei benefici economici (in termini di maggiori profitti o di mancate perdite), ma e' altrettanto vero che fino ad ora non esiste alcuno studio che sia stato in grado di dimostrare in via definitiva una relazione positiva statisticamente significativa tra CSR e performance economica dell'impresa.
  2. In che misura questa nuova tendenza e' socialmente desiderabile?
    Con i tutti i problemi di questo mondo, l'opinione pubblica tende ad accogliere piacevolmente i comportamenti socialmente responsabili delle imprese, esattamente come ha fatto la platea newyorkese davanti a Sir Branson; ma siamo davvero sicuri che questo sia il meccanismo migliore e più trasparente per affrontare e risolvere problemi sociali o ambientali?
    Vale la pena ricordare che, nei casi di public corporation ad azionariato diffuso, iniziative di CSR sono (il più delle volte) finanziate con i soldi dell'impresa (e degli azionisti) e non con i profitti personali di chi prende queste decisioni. È la separazione societaria tra proprietà e controllo che dà quindi ai manager la libertà di regalare i dividendi potenziali degli azionisti in operazioni non profittevoli per far bella la propria reputazione di fronte al mondo intero[3].
    Si discute se sia più desiderabile che le imprese si dedichino ad attivita' socialmente responsabili o piuttosto che si concentrino nella loro attività economica, limitandosi a portare il loro contributo alla società attraverso la creazione di ricchezza e di posti di lavoro.

    Un'alternativa alla CSR?
    Assicurarsi che le imprese paghino alla fonte per i danni che causano (ad esempio attraverso l'imposizione di una tassa per investire poi il gettito in azioni socialmente responsabili) anziché affidarsi alla magnanimità di plurimiliardari che, alla fine della fiera, passano pure per santi.
    Certo che, di fronte ai fallimenti internazionali della politica e del diritto[4], quello delle CSR, pur non essendo il migliore dei mondi possibili, non sembra essere nemmeno il peggiore.


[1] Se la convenienza ad investire in questo campo fosse così lampante allora anche le altre compagnie aeree dovrebbero essere incentivate ad adottare la stessa strategia;

[2] Friedman Milton, “The Social Responsibility of Business Is to Increase Its Profits”, The New York Times Magazine, September 13, 1970. La teoria economica afferma che, in assenza di esternalità o monopoli, il benessere sociale sia massimizzato quando ogni impresa opera per massimizzare il proprio valore di mercato

[3] questo rischio, riconducibile alla presenza di asimmetrie informative del tipo “principal agent”, e' assente nei casi in cui proprieta' e controllo di impresa siano riconducibili ad una stessa figura, come nel caso di Branson per la Virgin. Nel caso di corporation con azionisti di maggioranza il problema e' osservabile nel rapporto tra azionisti di maggioranza e di minoranza. Nelle public corporation ad azionariato diffuso il rischio che chi controlla l'impresa la gestisca per propri interessi personali (si parla di “private benefits of control”) riguarda invece il rapporto tra managers e azionisti.

[4] Se una cosa le ultime elezioni politiche nazionali ci hanno insegnato e' che parlare di tasse e' la maniera piu' efficace per perdere consenso. Per fallimento della politica mi riferisco quindi alla difficolta' di portare avanti riforme che rechino benefici solo nel lungo periodo a fronte di costi nel (tasse per la societa' e perdita di consenso per il governo ). Per fallimento del diritto mi riferisco invece ai limiti del diritto internazionale. Per saperne di piu' vedi l'articolo “The limits of international law” pubblicato nel numero zero dell'arengo.

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