Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Numero 6 - 16 Novembre 2006, Scienza | 0 commenti

Ecce algebra

Ancora oggi, all'angolo tra via Guerrazzi e via San Petronio Vecchio, a Bologna, una targa su un muro indica quella che fu la residenza di Scipione Dal Ferro, uno dei padri dell'algebra moderna e, se vogliamo, il nonno della soluzione alle equazioni di terzo grado. Per capirne il motivo, tuttavia, bisogna partire da molto lontano.

La parola algebra deriva la sua etimologia da un'opera di Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, nel cui titolo (Al-gebr we'l mukabala) compariva, appunto, la parola al-jabr (completamento, restaurazione): questo testo rappresentò per secoli un riferimento fisso per i matematici di mezzo mondo. La nascita dell'algebra moderna, tuttavia, si deve in grande misura ad alcuni matematici italiani vissuti tra il XV e il XVI secolo.

Iniziamo a ricostruire le vicende che seguono citando Luca Pacioli, matematico e trattatista, il quale alla fine del 1400 concludeva un trattato con le parole “non è stato finora possibile formulare regole generali”. Il riferimento è alle equazioni di grado superiore al secondo, più esattamente a quelle di terzo grado. Pacioli, scrivendo il suo Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita in volgare, seppur con contaminazioni greche e latine, fece un grosso piacere alla matematica. Il volgare ne favorì, infatti, la divulgazione anche presso quanti non conoscessero il latino, facendo in modo che la “sfida” delle equazioni di terzo grado divenisse una tra le occupazioni più in voga tra i matematici del '500.

I primi importanti progressi in questo senso si devono a Scipione Dal Ferro, titolare della cattedra di matematica presso l'Università di Bologna, che nel 1515 riuscì a trovare la soluzione per le equazioni del tipo ax3+bx=c, ove non compare il termine quadratico.

All'epoca era uso comune mantenere segrete siffatte scoperte, e Dal Ferro non rese pubblica questa soluzione, limitandosi a confessarla al genero, studioso di matematica, Annibale Della Nave e ad un suo studente: Antonio Maria Del Fiore.

Del Fiore, in particolare, era un matematico tanto mediocre quanto ambizioso, e dopo la morte del suo maestro si sentì in diritto di usare a proprio vantaggio la formula. L'occasione si presentò nel 1535, allorché questi decise di sfidare in duello nella risoluzione di problemi di matematica il suo collega Niccolò Fontana da Brescia, noto col soprannome di Tartaglia. Nel 1500 questo tipo di duelli era molto diffuso e tanto importante da influenzare le sorti di una carriera scientifica.

Spesso questi alterchi si svolgevano nelle piazze, e ad assistere accorrevano persone e personalità di tutte le estrazioni sociali; tra gli spettatori potevano stare mecenati e personalità politiche di rilievo, che avrebbero fatto cadere le proprie grazie più volentieri su un vincitore che su un vinto. Tartaglia in qualche occasione si era vantato, seppur molto vagamente, di esser riuscito a risolvere equazioni di terzo grado, ma Del Fiore dovette credere che si trattasse di un bluff. Suo malgrado, il matematico bresciano non solo era riuscito a risolvere l'equazione ax3+bx=c (quella di Dal Ferro), ma anche quelle delle forme x3+ax=b e ax+b=x3, così per batterlo ed umiliarlo in pubblico non ebbe bisogno che di un paio d'ore.

Notiamo come all'epoca non fosse nota la possibilità di trattare queste diverse forme come casi particolari dell'equazione più generale ax3+bx2+cx+d =0, e si considerasse ogni caso (in totale i casi possibili sono dunque 13) come a sé stante. Tartaglia fu per un certo periodo di tempo il massimo esperto mondiale di equazioni, ma questo non lo convinse a pubblicare i suoi studi. Le voci tuttavia si susseguivano negli ambienti, e di bocca in bocca giunsero alle orecchie attente di un eccentrico studioso.

Medico, matematico, astrologo, filosofo e giocatore d'azzardo, Gerolamo Cardano decise di strappare dalle labbra, fino ad allora serrate, di Tartaglia, le sue soluzioni. Questo, sembra, gli fu possibile semplicemente invitandolo nella propria lussuosa casa e riempiendolo d'attenzioni e lusinghe: in circostanze non troppo chiare Tartaglia rivelò la soluzione (ma non la dimostrazione[1]) a Cardano e al suo allievo, un brillante matematico che rispondeva al nome di Ludovico Ferrari. Dopo diversi studi, durante i quali Ferrari riuscì, persino, a risolvere l'equazione di quarto grado x4+ax2+b=cx, e prima che Tartaglia si decidesse a pubblicare alcunché, Cardano venne a conoscenza anche della soluzione di Dal Ferro, precedente rispetto a quella di Tartaglia. Quest'ultima scoperta, appresa direttamente dal genero del defunto matematico bolognese, convinse Cardano a pubblicare la sua opera, l'Artis magnae sive de regulis algebraicis liber unus, nella quale erano mostrate, con estrema chiarezza, le soluzioni (e le dimostrazioni) di tutte le equazioni di grado superiore al secondo conosciute fino ad allora.

L'opera secondo molti segna l'inizio dell'algebra moderna, ma la sua pubblicazione, suscitando le ire di Tartaglia, diede inizio ad una delle vicende più dibattute della storia della matematica. Questo nonostante i contributi di Tartaglia fossero stati puntualmente citati e Cardano avesse speso per il collega parole di amicizia e gratitudine.

Cardano non alimentò la polemica, e non rispose mai alle ripetute critiche pubbliche di Tartaglia, il quale alla fine, non ricevendo risposta dal rivale, dovette accontentarsi di sfidare il giovane e brillante Ferrari, rimediando, pare, una cocente sconfitta. Oggi le formule risolutive per l'equazione di terzo grado portano il nome di Cardano.

Benché mancasse ancora una teoria generale vera e propria, Dal Ferro, Tartaglia, Cardano e Ferrari offrirono senz'altro un contributo inestimabile alla moderna algebra, aprendo le porte agli studi sull'equazione di quinto grado che hanno portato, non senza erramenti e difficoltà, alla moderna teoria dei gruppi.


[1] Secondo alcuni, invece, Tartaglia rivelò anche la dimostrazione a Cardano, tuttavia le sue accuse riguardavano esclusivamente la formula risolutiva a causa di una diversa concezione di “dimostrazione” in uso in questo periodo, che sembra dovesse necessariamente coinvolgere elementi di geometria, e non limitarsi all'algebra. I soli passaggi algebrici, in sostanza, non potevano esser considerati come una dimostrazione vera e propria.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>