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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 0 - Estate 2006 | 0 commenti

La “corsa salata” dei tassisti

Il nuovo governo sembra voler dare un segnale chiaro ed inequivocabile che le cose in Italia possono cambiare; non solo si arrestano boss mafiosi e finanziari fraudolenti, vengono a galla le malefatte calcistiche e si vincono pure i mondiali, ma le cose sembrano destinate a cambiare anche nell'economia nazionale.

E così la sinistra al governo, alla luce dei “grandi successi” che le liberalizzazioni stanno avendo in tutta Europa, e sull'onda delle profetiche teorie giavazziane portate in trionfo da Corriere e 24Ore, imbarca la strada che per decenni di opposizione aveva contestato: il libero mercato.

In questa sede non è mio interesse discutere se le liberalizzazioni portano effettivamente un miglioramento in termine di maggiore qualità e minori prezzi; dirò solo che le liberalizzazioni sono un processo delicato da non effettuarsi dal giorno alla notte (altro non porterebbe che il passaggio da un monopolio pubblico, o comunque regolato pubblicamente, ad un monopolio privato legalizzato) e che la qualità degli effetti delle liberalizzazioni è intrinsecamente vincolata alla struttura istituzionale che definisce e regola questi processi.

Sono queste elementari considerazioni che mi portano a dubitare sulla qualità delle iniziative del ministro Bersani le quali, in seguito al rituale tira e molla con unioni sindacali, sembrano sapere più di fumo che di arrosto.

Per chi avesse un minimo di confidenza con quei processi macchinosi e delicati, quali sono le liberalizzazioni, le misure varate da Bersani suonano, usando un eufemismo, per lo meno eterodosse.

Mi soffermo brevemente su alcuni degli interventi significativi che dovrebbero promuovere un'apertura dei mercati necessaria ad aumentare l'offerta e quindi a ridurre i prezzi delle corse in taxi:

  1. di nuove licenze a chi non ne possegga già una, praticamente non se ne parla; in compenso l'aumento dell'offerta dovrebbe essere garantito dall'ampliamento dei turni giornalieri dei tassisti, grazie alla nuova possibilità di avvalersi di dipendenti e collaboratori familiari, giusto giusto per mantenere gli affari “in famiglia”.
  2. il documento prevede la concessione di licenze temporanee in casi stra-ordinari a consorzi o cooperative, riservate però a taxi già operanti. Misura che, anche questa, non va quindi ad intaccare il numero di operatori presenti nel mercato
  3. il documento Bersani prevede inoltre la possibilità di utilizzare un numero limitato di veicoli sostitutivi e aggiuntivi a favore di particolari utenze, avvalendosi di sostituti alla guida, ma in forma sperimentale. Ed infine
  4. Prevede che gli attuali tassisti singoli o associati possano svolgere in forma sperimentale servizi innovativi tipo collegamenti in accordo con scuole e hotel. Possibile anche la tariffa a forfait, cioè predeterminata su specifiche tratte.

Da persona che ha alle spalle anni di studi economici non posso resistere alla tentazione di lasciarmi andare alla deformazione professionale di provare a considerare quali siano i costi e benefici di questa pseudo-riforma e del modo in cui essa sia stata realizzata.

Per quanto riguarda i benefici, mi sembra oneroso riconoscere che queste misure, se effettivamente implementate (non dimentichiamoci infatti che la parola ultima sulla attuazione di questi interventi spetta ai singoli comuni che potenzialmente potrebbero quindi vanificare gli sforzi del ministro), potranno portare ad un lieve aumento dell'offerta e, in ultima istanza, ad un'auspicata riduzione dei prezzi. Questo processo dovrebbe quindi essere favorito da una maggiore flessibilità nel mercato, ma non da un effettivo aumento delle licenze e dei trasporti, come prevedeva l'originale proposta di legge.

Questo è forse il vero paradosso di questa liberalizzazione in quanto, di fatto, il mercato rimarrà chiuso e protetto dalle precedenti barriere all'entrata.

Per quanto riguarda i costi, beh, ne riesco ad individuare principalmente due, ed entrambi mi sembrano difficilmente quantificabili.

Il primo riguarda il rischio di perdita di credibilità riguardo all'effettività politiche del governo (o per lo meno del ministro Bersani) che, per far contenti tutti, alla fine rischia di non far contento nessuno, ad eccezione magari di qualche figlio di taxista che potrà coronare il sogno di guidare in servizio il taxi di papà.

Della proposta originale del ministro, che aveva dato l'impressione di voler andare avanti per la sua strada senza guardare in faccia nessuno, rimane poco o niente ed ancora una volta l'Italia si conferma essere quel paese in cui le contestazioni di massa (in questo caso, diverso da molti altri, portate avanti da particolari interessi privati) sono in grado di immobilizzare il paese e di prevenire l'avanzata di riforme strutturali di mercato.

Il secondo costo è diretta conseguenza del patteggiamento avvenuto tra Bersani e Uri (Unione radiotaxi italiani), che purtroppo va a creare un precedente scomodo al governo. La vittoria dei tassisti mostra chiaramente come il polso di Bersani non sia poi così duro e come sia possibile mantenere le cose quasi inalterate.

D'altronde, se i tassisti alla fine ce l'hanno fatta, cosa dovrebbe prevenire farmacisti ed avvocati dall'adottare atteggiamenti simili. Forse mi sbaglio ma sono proprio curioso di vedere se queste altre due storie avranno un finale tanto diverso da quello appena descritto.

Ormai alla fine dell'articolo mi sento in dovere di spezzare una lancia anche in favore del tanto criticato ministro. Sono convinto che la sua strategia inizialmente adottata sia un segnale di cambiamento sicuramente importante e necessario per il nostro paese,come sono ugualmente convinto che, dal momento che le liberalizzazioni sono un processo che non si esaurisce in poche settimane, questo sia solo un primo passo al quale avranno seguito altri. Tuttavia la recente evoluzione dei fatti mi lascia un forte amaro in bocca e non può portarmi ad interrogarmi, con le parole del grande Ennio Flaiano, sul perché in Italia sia sempre così difficile portare qualche cambiamento e sul perchè gli italiani, “questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati”, sia l'unico popolo al mondo che “tiene famiglia”.

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