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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 6 - 16 Novembre 2006 | 0 commenti

Telepopulismo

Il telepopulista, è un leader atipico che nell'era della videopolitica, espressione introdotta da Giovanni Sartori nella prima metà degli anni novanta, si colloca al di fuori del sistema dei partiti con la pretesa di parlare direttamente in nome del popolo e per il popolo.

Questo nuovo tipo di demagogo si distingue innanzitutto per la sua insistenza a celebrare la propria “diversità”, per il fatto di “venire dal popolo” o per le promesse impossibili da mantenere.

Questo tipo di leader populista è quasi sempre un uomo d'affari o un imprenditore che ha avuto successo e che si presenta come portatore della possibilità di forti identificazioni immaginarie: Ross Perot negli Stati Uniti, Silvio Berlusconi in Italia, Stanislaw Tyminski in Polonia, Fernando Collor de Mello in Brasile, Bernard Tapie in Francia. Il demagogo populist “classico” si accontentava di essere acclamato da una folla entusiasta, il ricorso sistematico allo strumento televisivo, invece, fa nascere un nuovo tipo di demagogia, legato alla crescente influenza del marketing sulla politica.

Prendiamo ad esempio l'analisi della figura di Ross Perot. Meteora del neopopulismo mediatico all'americana, il miliardario texano nell'estate del 1992 trionfava nei sondaggi prelettorali: il 36% degli elettori democratici e il 42% dei repubblicani affemavano che in California avrebbero votato Perot. Espressione trasversale del democraticismo nordamericano, sostenuto dall'associazione “Noi Siamo Uniti”, l'uomo d'affari mediatico riuscirà ad ottenere diciannove milioni di voti. Nel corso della sua campagna, riattivando la vecchia accusa d'inefficenza contro il governo, Perot proclamava : “Abbiamo un governo che viene da Washington. Il popolo vuole un governo che venga dal popolo”. O anche mettendo in scena se stesso come eroe e salvatore:

“poiché il poolo non può pagarsi il governo, glielo offrirò io”.

Il leader telepopulista propone una terza via, definita per negazione: né repubblicani né democratici. Sulla stessa linea possono essere citati altri esempi. In Perù, il pragmatico e autoritario Alberto Fuijmori, che incarnava la via del “liberal – populismo”, eletto presidente della Repubblica nel luglio del 1990, è stato poi rieletto a stragrande maggioranza dal 64,42% degli elettori il 9 aprile del 1995. Fuijmori può essere accostato all'uomo di fascino che ha guidato lo stato argentino negli anni novanta, Carlo Menem, leader neoperista eletto nel 1989 e poi nuovamente il 14maggio 1995.

Né Carl I. Hagen, leader del Partito del Progresso norvegese (Fremskristts-èartiet), né Christoph Blicher, leader dell'Unione democratica del centro (UdC) in Svizzera, avrebbero potuto imporsi nei rispettivi spazi politici senza ricorrere alla televisione, di cui hanno abilmente sfruttato le risorse simboliche. Nel telepopulismo il leader trae l'essenziale della sua efficacia simbolica dalle risorse proprie dello spazio mediatico e dalla capacità telegenica. Il suo messaggio centrale consiste semplicemente nel fare eco al desiderio di rompere con il sistema politico costituito, le élite politiche tradizionali o il gioco classico dei partiti. Questa strategia di seduzione sovversione è seguita da nuovi attori politici che l'antropologo Marc Augé chiama gli “eroi teleculturali”. Il telepopulismo emerge nel nuovo spazio delle reti di trasmissione e comunicazione cche rapresntano la faccia più visibile della mondializzazione. Questa ipotesi, corrisponde a una situazione di surmodernità caratterizzata da un triplice effetto: eccesso degli eventi, legato all'influenza dei media, eccesso di immagini, soggetto alla stessa influenza, eccesso di individualizzazione legato all'affossamento delle cosmologie collettive. Il processo di globalizzazione comunicazionale costituisce quindi un fattore di accelerazione del passaggio da una democrazia dei partiti di massa a una democrazia di opinione o, per dirla in maniera più rigorosa, a una democrazia del pubblico.

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