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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 6 - 16 Novembre 2006 | 0 commenti

Un problema più grande di noi

Quello del cambiamento climatico è un fenomeno più grande di noi, intesi come esser umani. E' un tema che riguarda essenzialmente la Terra stessa e la sua evoluzione, all'interno del quale ambiente si è sviluppata la nostra vita. Il trascorrere delle ere geologiche ha visto una sostanziale modifica delle caratteristiche climatiche alla quale hanno corrisposto il fiorire e lo spegnersi di dominazioni animali sul pianeta: dapprima gli organismi acquatici più piccoli, poi i dinosauri, infine i mammiferi e l'uomo.

Pur non conoscendo noi direttamente i motivi della scomparsa dei dinosauri, per esempio, l'ipotesi più diffusa è quella di un brusco cambiamento climatico: una glaciazione, si insegna generalmente a scuola.

Nell'Arengo il gusto per una discussione ampia e feconda anche sugli argomenti più delicati ha portato alla creazione di questa sezione, Energia e Ambiente, con l'obiettivo di confrontare sensibilità diverse su questi temi. Oltre all'opinione dell'ortodossia economica, ascoltiamo dunque qualche dubbio di carattere generale.

Il problema di oggi è inverso, rispetto a quello che affrontarono i dinosauri. Si teme che la produzione dei cosiddetti gas serra (di cui l'anidride carbonica è il principale anche se non il solo) stia aumentando la percentuale di radiazioni trattenute nell'atmosfera (la vita sul nostro pianeta esiste proprio grazie al fatto che viviamo appunto in una gigantesca serra, che trattiene il calore del sole): l'effetto potrebbe essere un generalizzato aumento della temperatura, il conseguente scioglimento delle calotte polari, un innalzamento del livello del mare con il rischio per le aree costiere più esposte. Chi invece pensa male ritiene che il surriscaldamento del pianeta sia piacevole e consenta di risparmiare sulla bolletta del gas.

Il punto è che la produzione di questi gas serra è un fenomeno naturale (al quale le piante rimediano attraverso la fotosintesi) al quale l'uomo contribuisce attraverso le sue attività industriali ed i trasporti (oltre che respirando).

Pertanto saremmo naturalmente portati a disinteressarci del problema, che riguarderà generazioni lontane nel futuro e colpirà prima i poveri dei ricchi (intesi in senso geografico, prima i Paesi poveri che quelli sviluppati).

D'altro canto vediamo come le personalità progressiste del nostro tempo (Al Gore, per primo) pongano questo problema come obiettivo principale di una politica riformista. Forse non è un caso che Al Gore sia stato sconfitto, nonostante abbia ottenuto più voti di Gorge W. Bush.

Eccoci, dunque, al concetto che vorrei esprimere in questo articolo.

La scelta Kyoto-sì / kyoto-no rappresenta da una parte il desiderio razionale e progressista di governare e controllare il meta-sistema che ci circonda mentre dall'altra sta la naturale tendenza umana a presentificare la propria vita (bisogna sopravvivere oggi). Il riformismo sta nel mezzo: viene sconfitto quando abbandona il problema dell'individuo rispetto al gruppo e muore se non offre alternative per migliorare l'esistenza umana.

In quest'ottica il problema del cambiamento climatico non può essere affrontato come la missione assoluta del Millennio (non lo è, ci sono problemi più importanti di sopravvivenza quotidiana per ampie fasce di popolazione) ma deve essere compatibile con un complessivo sistema di sviluppo e di mobilità sostenibili.

Le politiche ambientali saranno vincenti se favoriranno lo svecchiamento del parco industriale occidentale e lo sviluppo delle infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo (per il quale obiettivo esistono i cosiddetti meccanismi flessibili); verrà sconfitto se non sarà sostenuto da politiche industriali ma si trasformerà nell'ennesimo balzello per le industrie (con scadenza 2012) e nella creazione di nuove e costose 'sovrastrutture' .

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