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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 0 - Estate 2006 | 0 commenti

Taxi: di che cosa stiamo parlando

La questione 'taxi' è tra le più calde, in questa estate italiana. Soprattutto, anzi forse solo, nelle grandi città i tassisti si sono fermati, hanno bloccato il traffico ed hanno scandito cori contro la riforma di Bersani. Proviamo a capire un po' di che si sta parlando esattamente: tecnicamente ci troviamo di fronte ad un emendamento alla legge 15 gennaio 1992, n° 21, 'Legge quadro per il trasporto mediante autoservizi pubblici non di linea'.

Non occorre però essere giuristi di chiara fama o abituali frequentatori di New York per salire su un taxi. E' capitato a molti di mettersi in coda, magari di notte e con le valigie, ad attendere un auto per raggiungere casa propria e per sentirsi dire, al momento del conto, che bisogna pagare qualche euro in più per la tariffa notturna, per la valigia e perchè siamo stati un po' troppo ad aspettare che quel semaforo rosso diventasse verde. Ma tant'è. Nessuno discute che fare il tassista sia un lavoraccio, ma proprio dire che siamo soddisfatti del servizio non è corretto.

La legge dice che spetta al Parlamento fare le leggi quadro in materia, alle Regioni stabilire il quadro integrato del trasporto, ai Comuni entrare nel merito del numero dei veicoli, delle modalità di svolgimento del servizio, dei criteri per stabilire le tariffe e per rilasciare le licenze. Questo sta scritto sulla Legge del 1992. E non è oggi in discussione.
Se quello dei taxi è un servizio pubblico, e questa è l'opinione di chi scrive (ed anche della legge che offre ad essi particolari tutele, come la possibilità di entrare nei centri storici e di percorre le corsie preferenziali ed i 2 punti di penalità per la patente di chi parcheggia su una striscia gialla con la scritta Taxi), allora 'liberalizzare' non è sufficiente. Certo, nella misura in cui il mercato è bloccato e corporativo (cioè un sistema ereditario e oligopolistico nel quale il consumatore non è tutelato) allora occorre liberalizzarlo. Forse è proprio per questo che, in questo caso, si è tanto parlato di liberalizzazione. Non è infatti libero il mercato delle licenze, perchè per rispondere ai criteri di servizio pubblico è stato normato e dettagliato in maniera tale da tutelare i lavoratori del settore a spese di chi usufruisce del servizio. In Italia succede normalmente così: libertà per chi c'è già di fare ciò che fa. E chi è fuori fuori. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato.
Ma, domani, ha senso andare avanti così? Servizio pubblico vuol dire tutele per il servizio, ma anche doveri verso il pubblico. Doveri di etica professionale, difficilmente controllabili, come l'impegno ad efettuare il tragitto più breve e scorrevole. Ma i regolamenti, se esistono, ocorrerà farli funzionare.

Il vero problema che blocca l'offerta di taxi è stata la crescita incontrollata del mercato nero delle licenze, nel quale le licenze sono state compravendute, nonostante fossero inizialmente gratuite, a cifre crescenti e superiori a 100.000 euro per via della diffusa convinzione del fatto che il mercato avrebbe generato una duratura rendita di posizione. Così sul mercato delle licenze si è formata quella che l'economia chiama 'bolla', ma che perde tutta la sua astrattezza quando esplode nelle strade delle nostre città e si fa sentire. Che fare, dunque?
Oggetto della discussione è la possibilità di aumentare l'offerta di taxi, pur essendo chiaro che le tariffe ed anche il numero delle licenze sono e rimangono un compito comunale. Ma il problema economico – ecco, appunto – è quello che genera il problema politico che nell'Arengo proviamo a discutere.
Se i taxi sono pochi e le tariffe sono alte, l'uso del taxi è e rimane un fatto elitario o limitato a casi di estrema necessità. Il mercato è poco liquido, la gente usa il proprio mezzo privato o sale sugli autobus.
Se i taxi fossero molti la teoria economica suggerisce che potrebbe avvenire un fatto miracoloso: tanti taxi avrebbero bisogno di tanti utenti, per cui si abbasserebbero le tariffe/migliorerebbe il servizio e gli utenti sarebbero incentivati ad utilizzare un servizio che comodo lo è. Il mercato, ampliandosi, sarebbe in grado di remunerare un numero maggiore di autisti. Bingo, ma che bella questa teoria economica?!?! Tutti economisti siamo, vero?, fin dalla scuola elementare.
Pur non essendo il mercato dei farmaci, occorre leggere attentamente le avvertenze. Il problema è come passare da una situazione all'altra. Non sarebbe cosa buona e giusta quella di trasferire il potere di mercato da un soggetto ad un altro, magari ad un oligopolio di capitalisti con tanti dipendenti al proprio servizio. Su questo punto il Ministro ha fatto un passo indietro, aprendo una inea di credito verso le organizzazioni dei taxisti. Vedremo se sarà stata una fiducia ben riposta quando verrà ricambiata da un passo in avanti verso le legittime domande dell'utenza.

La concertazione non vale solo con le categorie amiche.
Al suggerimento del Governo di dividere gli incassi delle nuove licenze tra gli attuali autisti, ad esempio, la risposta non potrà essere solo un no. Tale proposta in effetti riflette un po' il concetto di derivata, ove ad un'unità in più di X corrisponde uno spostamento un po' in su del valore di Y. Se X è il numero dei taxi ed Y il valore delle licenze, la perdita di valore della licenza generata a una licenza in più viene compensata pronta cassa da una quota del prezzo della stessa. Certo che spiegare il concetto di derivata ai tassisti ed all'opinione pubblica non è cosa immediata: occorre confrontarsi, al tavolo al Ministero e nell'Arengo. Vedremo se tra sei mesi questo Paese lo avrà capito un po' meglio e riuscirà a fare, anch'esso, un piccolo passo in avanti.
E questo è argomento da sfera di cristallo.

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