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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 1 - 1 Settembre 2006 | 0 commenti

Appunti sul revisionismo

Il fascismo non è definito dal numero delle sue vittime, ma dal modo con cui le uccide J.P. Sartre

Un esercizio particolarmente in voga nell'ultimo quinquennio, è consistito nel tentare un'improbabile equiparazione tra diversi simboli latori d'ideologie radicalmente contrapposte, specificamente nazismo e comunismo.

Le proposte avanzate da alcuni esponenti di centro destra[1], riguardanti l'abolizione legislativa dell'odiato simbolismo inerente a falce e martello, si muovevano per l'appunto in questa direzione. Giocoforza in una ri-lettura storica vagamente farneticante, era il conteggio numerico delle vittime causate dal terrore staliniano, paragonabile per ordine di grandezza al delirio antisemita che animò il Terzo Reich.

Purtroppo per baloccarsi con la Storia e col suo vorticoso fluire, è opportuna una preparazione specialistica e giova conoscere, almeno a grandi linee, lo svelamento del pensiero che ha dato vita a questi movimenti epocali. Anche volendo tralasciare Stalingrado ed altri episodi “marginali”della Seconda Guerra Mondiale, per altro facilmente consultabili sui manuali delle scuole medie, non bisogna perdere di vista gli aspetti focali che danno vita a questo equivoco velato d'ignoranza storiografica e filosofica.

In primo luogo occorre tracciare una linea di demarcazione netta, tra una concezione finalizzata ad una più equa distribuzione del benessere, ed una dottrina costituzionalmente aggressiva in quanto vitalisticamente incentrata sulla supremazia nei confronti del nemico(il diverso).

Su questa dicotomia tra essenzialità della violenza[2](dover essere e non poter non essere) ed accidentalità (poter essere e non essere) insiste il primo errore interpretativo degli abolizionisti.

Nonostante le premesse, resta ovvio che laddove la perfezione geometricamente asettica delle teorie fissate su carta si scontra con la contingenza del reale, i meandri in cui può diramarsi l'estrinsecazione fisica della speculazione siano molteplici: in questo senso, la violenza, che non apparteneva in modo necessario alla concezione comunistica[3], è stata purtroppo una piaga in molti regimi asiatici e dell'Est Europa.

Giova rimarcare ulteriormente, come, al contrario, nel nazi-fascimo la brutalità sia un elemento essenziale strettamente connesso al genoma stesso della dottrina: la sopraffazione del diverso non può per definizione manifestarsi attraverso forme pacifiche.

L'immaterialità delle dottrine non deve essere sminuita e fraintesa con erudizione libresca: il flusso degli accadimenti storici viene in discreta misura indirizzato e plasmato proprio dalle idee che lo sottendono. Non dimentichiamo, ad esempio, come la rivoluzione francese fu anticipata e favorita dalla filosofia cartesiana. Idee ipostatizzate fattesi di carne e sangue.

Un secondo e grossolano fraintendimento, anch'esso commesso dal partito degli abolizionisti, consisterebbe nel confondere in una rocambolesca uguaglianza, le idee con gli uomini che le hanno incarnate.

Sarebbe semplicistico, oltre che storicamente infondato ricondurre tout-court il nazismo al personaggio storico Hitler: gli eventi epocali sono determinati da concause storiche, materiali ed immateriali, ripercorribili o inevitabilmente sconosciute, ma comunque, in una certa misura sempre, almeno in filigrana, osservabili.

Il revanscismo tedesco, ad esempio, che sapientemente manipolato, prese forma e consistenza dopo la pace umiliante di Versailles ed il fallimento della Repubblica di Weimar, giocò un ruolo fondamentale nell'ascesa del Terzo Reich. L'ex imbianchino, servendosi di un innegabile carisma personale, sì “limitò” a tratteggiare con tratti semitici il volto del nemico immaginario, protetto dalle plutocrazie europee. La guerra era alle porte.

In un diverso continente, Pol Pot e i suoi khmer rossi non furono l'incarnazione dell'ideologia comunista, ma una delle dittature più sanguinarie partorite da un secolo, di per sè, particolarmente fecondo in materia di totalitarismi.

Gli uomini possono cavalcare gli avvenimenti e servirsi delle ideologie, ma la storia non consente di divenirne incarnazioni materialmente definite: laddove si determini violenza, utilizzando un sistema teorico che non la implichi come ingrediente essenziale, la colpa è ascrivibile all'individuo, non alla dottrina.

Voler rinverdire antichi fasti, o squalificare quanto non è stato condannato dall'ombra lunga del passato, è sempre un esercizio moralmente ambiguo e storicamente pericoloso. In queste acrobazie del pensiero, non v'è romanticismo, ma soltanto incoscienza: come il vento di scirocco possono far perdere l'orientamento, anche quando la censura non intacca direttamente i valori in cui si crede.

Le brame malsane che percorrono il mio paese di santi e navigatori attualizzano in modo preoccupante uno dei grandi moniti Voltairiani. Questo avvertimento, urgente e tristemente polveroso, vergato da una penna intrisa di relativismo storico e filosofico, merita nuove attenzioni in un'epoca che vuole riscrivere i libri e bandire nuove crociate, infatti, non sono d'accordo con la tua opinione, ma darei la vita affinché tu possa esprimerle liberamente.


[1] La falce e il martello sono gli emblemi di una dittatura sanguinaria e liberticida che ha sulla coscienza milioni di morti in tutto il mondo”- Isabella Bertolini, coordinatrice di Forza Italia in Emilia Romagna.

“Bene ha fatto Frattini a dimostrare la disponibilità sulla iniziativa di bando europeo di quei simboli atroci”, concorda il centrista Luca Volonté. “Noi la condividiamo appieno ed è indecorosa la difesa che fanno della falce e il martello i tipi di Rifondazione”. Alessandra Mussolini si associa: “E' un dovere morale intervenire su falce e martello”- Repubblica 9 febbraio 2005-

[2] Chi non è convinto di questo, può tranquillamente tentare una lettura comparata tra gli scritti gramsciani e quelli, ad esempio, del futurismo dove nel manifesto si scorge “Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo…il militarismo, il pattriottismo, il gesto distruttore dei liberatori…”

[3] Gli antropologi insieme agli storici insegnano come esistano, e siano sempre esistite, forme aggregative di matrice comunistica in grado di rispondere adeguatamente al fabbisogno della comunità, conducendo un'esistenza totalmente scevra da violenza.

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