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Scritto da nel Internazionale, Numero 1 - 1 Settembre 2006 | 0 commenti

Libano – Israele

Come se già non fossero sufficienti i progetti nucleari dell'Iran, la guerra civile fuori controllo in Iraq, gli scontri in Palestina e attentati terroristici vari, si è aggiunto nelle cronache estive di politica internazionale un nuovo fronte di guerra (in realtà uno vecchio che si riapre) a rendere ancora più critica l'esplosiva situazione mediorientale; e così, reciproci scambi d'artiglieria tra Hezbollah libanesi e Israele hanno caratterizzato i notiziari degli ultimi mesi.

Ma quali sono i motivi che hanno portato all'accendersi di questa nuova crisi? Vediamo di scoprirli partendo dalla storia recente del Libano.

-Le origini-
Il 20 settembre 1982, Elaine Carey, corrispondente del quotidiano Daily Mail, scriveva:”Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L'odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l'uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore”[1].

Questo lo scenario lasciato dalle milizie cristiano-falangiste, appoggiate da Israele, nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila della zona Ovest di Beirut; massacro per il quale l'allora Ministro della Difesa Ariel Sharon fu dichiarato indirettamente responsabile per negligenza dalla commissione di inchiesta interna israeliana.

Il massacro di Sabra e Shatila è uno degli eventi simbolo della guerra civile libanese, iniziata nel 1975 tra la comunità cristiano-maronita e quella arabo-musulmana, e conclusasi con la “pax syriana” del 1991, che ridistribuì il potere a favore dei musulmani rendendo il paese un protettorato siriano di fatto, esclusa una fascia di sicurezza meridionale occupata da Israele.

La situazione socio-politica del Libano nei primi Anni '70 era paragonabile ad una bomba ad orologeria: in seguito alla guerra arabo-israeliana dei sei giorni, nel Paese si riversarono più di 300.000 Palestinesi, tra profughi e guerriglieri in fuga che, costituendo un vero e proprio stato nello stato, determinarono la fine del debole equilibrio socio-religioso che si era faticosamente costituito.

La bomba esplose nell'aprile del 1975: dapprima si fronteggiarono le milizie dei cristiani maroniti e falangisti (intenzionati a costituire uno stato confessionale) contro quella di Palestinesi, Sunniti e Drusi (per una repubblica islamica), con gli appoggi dei maggiori stati dell'area. Tra il '76 e il '78 Siria e Israele invasero progressivamente il Libano, spartendosi di fatto il paese, dando vita però ad una zona altamente instabile che favorì il diffondersi del terrorismo in tutta la regione portando ad un drastico riassetto etnico.

Malgrado l'invio di forze multinazionali di pace, la guerra si trascinò in maniera endemica per anni, agevolando l'egemonia siriana sulla vita politica del paese.

-La Rivoluzione dei Cedri-
L'assassinio dell'ex primo ministro Hariri nel febbraio 2005 scuote i Libanesi che scendono in piazza: la Rivoluzione dei Cedri, atto finale di una rivoluzione latente già in corso da alcuni anni, sancisce la fine dell'egemonia politica e militare della Siria sul Libano, a conferma di un processo politico che, nell'ultimo decennio, ha trasformato la capitale, Beirut, in uno degli emergenti centri finanziari e turistici della regione, nonostante il persistere di rilevanti problemi economici e di bilancio. Una nuova indipendenza ribadita dalle elezioni legislative nel maggio-giugno 2005, le prime a svolgersi senza le interferenze di paesi stranieri dalla fine della guerra civile nel 1991.

Fino a pochi mesi fa il Libano viveva quindi nella convinzione di essersi finalmente liberato dal controllo siriano, scegliendo come modello di riferimento l'Occidente.

-La nuova guerra e i suoi interrogativi-
Siamo alla cronaca di oggi, il 12 luglio 2006 il sogno del Libano si infrange: Israele risponde prontamente al rapimento di due soldati per opera del gruppo sciita Hezbollah (sostenuto dall'Iran), bombardando le principali infrastrutture civili del paese.

Per un mese, fino alla risoluzione ONU dell'11 agosto, il confine israelo-libanese è teatro di continui bombardamenti, con la presa da parte dell'esercito di Tel Aviv dei villaggi meridionali (ed una lenta avanzata verso Beirut supportata da bombardamenti aerei) nell'intenzione di ricreare una fascia di sicurezza, e la risposta dell'artiglieria hezbollah nel Nord di Israele e Galilea.

Gli strascichi di questa nuova guerra (la cui attuale tregua è più fragile che mai) sugli equilibri mediorientali sono imprevedibili.

Hezbollah, guidato da Hassan Nasrallah, si è rivelato più organizzato del previsto riacquistando un sostegno popolare in flessione negli ultimi anni. L'agguerrita struttura militare ha retto all'urto della macchina da guerra israeliana, di fatto un vero e proprio successo, tanto da indurre The Economist a titolare in copertina del 19 agosto “Nasrallah wins the war”; rimangono però le incognite per la strategia di lungo termine praticamente inesistente.

Da parte sua, lo Stato di Israele deve fare i conti con una nuova realtà: in seguito al ritiro dalla fascia di sicurezza nel sud del Libano nel 2001, abbandonando quegli avamposti di fatto in fuga dalla pressione degli stessi Hezbollah, ed in seguito al recente ritiro dalla Striscia di Gaza, la sua estensione territoriale è al minimo storico, sempre più stretto tra nemici agguerriti ed organizzati. La campagna del Libano ha inoltre messo in evidenza la scarsa lucidità del suo esercito, fomentando ancora di più gli animi degli avversari.

Il Libano, invece, così come la Palestina, si è ritrovato solo, vittima dell'aiuto di falsi amici (Iran e Siria), delle feroci reazioni di Israele, di un'Unione Europea insicura nelle scelte di politica estera e dei ritardi dell'ONU ricattata dai veti statunitensi; ma soprattutto si conferma essere ancora una volta l'arena di una guerra non sua combattuta da paesi stranieri.

La risoluzione 1701 sulla cessazione delle ostilità del Consiglio di Sicurezza ONU, nonostante i buoni propositi, ha confermato in un primo momento l'immobilismo e l'incertezza della comunità internazionale, orfana di incisive iniziative (e di un adeguato supporto militare) delle due potenze Stati Uniti e Francia più titubanti che mai, terrorizzate dalla prospettiva di un nuovo fallimento, possibile replica di quello disastroso avvenuto in Libano ventitre anni fa.

Ma soprattutto sorprende come l'Italia, con il ministro degli esteri D'Alema protagonista, sia riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella diplomazia internazionale, coinvolgendo in primo luogo (e giustamente) l'ONU e l'Unione Europea, alla ricerca di concrete soluzioni per l'invio di una forza di pace sul confine israelo-libanese, nel tentativo di condividere la missione con il maggior numero di paesi possibile, Francia in testa.


[1] da Wikipedia.org “Sabra e Chatila”, giugno 2006

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