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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 1 - 1 Settembre 2006 | 0 commenti

Mai dire trucioli

C'è un po' di fermento oggi in cantina. Grida di indignazione, toni accesi oltre ogni limite, bicchieri e sedie sbattute. Ma che succede? L'oste inizia a perdere la pazienza…

Da mesi c'è un vivace dibattito nel mondo del vino in Italia, come d'altronde in tutta Europa, in merito alle nuove normative comunitarie che permettono l'utilizzo dei chips, in gergo i trucioli.

È un dibattito che gioca molto sulla scarsa informazione e su prese di posizione figlie di un'ortodossia vitivinicola fuori luogo.

Sinceramente, l'impressione che ho avuto è che nel mondo del vino si era stanchi di dibattere in merito all'utilizzo di botti grandi o di barrique (nel mondo del Barolo per fare un esempio tale dibattito è ancora vivo), e i chips hanno offerto terreno fertile. Verso l'inizio degli anni '80 la barrique è diventato uno strumento enologico di gran moda, tanto che tutti i vini per poter avere mercato dovevano sostenere il passaggio in questa piccola botte, fenomeno che stava portando ad una globalizzazione del gusto. A questa moda si contrapponeva una piccola schiera di produttori che della tipicità dei propri vini si faceva bandiera. Al che seguivano levate di scudi, discorsi sull'eticità del vino e sulle ragioni di mercato, fino a quando il sangue, finalmente, ha smesso di dare alla testa facendo intuire che la barrique dev'essere semplicemente uno strumento per ottenere determinate qualità e non uno strumento per rendere il vino una Coca Cola indifferenziata e non come il male da distruggere.

Sempre di legno si parla. Infatti i trucioli sono pezzi di legno tostati, spesso di rovere, che generalmente chiusi in sacchetto di stoffa vengono immersi nel vino per dare determinati aromi, profumi e sapori. Il concetto di fondo è molto semplice: al posto di mettere il vino in mezzo al legno, si mette il legno in mezzo al vino. Gli effetti sono simili, ovviamente l'invecchiamento in botte (siano le botti tradizionali, i tonneaux o le barrique) da risultati qualitativamente superiori, però l'invecchiamento da truciolato da un prezzo notevolmente inferiore alla bottiglia.

La critica che si muove ai chips è la solita: distruggere le differenze tra i vini rendendo i vini tutti uguali, uniformandoli al gusto imposto da determinate riviste o colossi industriali.

Il problema è che da anni il cosiddetto nuovo mondo ha invaso i mercati di tutto il mondo con prodotti dai requisiti omologati, fatti per piacere ai più grazie anche a prezzi decisamente competitivi. Vini che non hanno mai nascosto di utilizzare tale tecnica enologica. Al che la comunità europea per venire incontro ai produttori ha deciso di rendere legale tale tecnica di vinificazione, detto tra noi legalizzando un fenomeno già presente in Italia come in Francia e negli altri paesi produttori Europei.

I puristi e i produttori di vino di qualità si sono indignati, sostenendo che il vecchio mondo deve rispondere con la qualità e non abbassando il proprio livello qualitativo per ragioni di mercato.

Indubbiamente vi è da sperare che un Amarone o un Brunello non siano vinificati con i chips, e nessuno mette in dubbio una qualità superiore di tali vini nei confronti della stragrande (non totalità!) maggioranza dei vini del nuovo mondo. Ma non si può pensare che tutti i giorni una famiglia media italiana possa pasteggiare con una bottiglia da 20 euro e oltre (e per fortuna la cara vecchia abitudine di avere una bottiglia di vino in tavola è ancora viva). Ne si può pensare che chiunque si avvicini al mondo del vino sia già pronto per capire le varie sfumature di un grande Barolo.

Inoltre non tutte le aziende hanno come obiettivo produrre vino da sogno (non dimentichiamoci che si tratta di una nicchia di mercato) e si deve dare l'opportunità a tali aziende di combattere ad armi pari. La nuova legge permette alle aziende di utilizzare tali pratiche, non le obbliga.

Il vero grande difetto di tale legge è quello di vietare al produttore di riportare in etichetta l'utilizzo di tale pratica. Sinceramente ne ignoro il motivo in quanto, nell'epoca in cui la tracciabilità sta diventando un imperativo categorico nella ricerca di una trasparenza produttiva che ha la funzione di garanzia per il consumatore, si tratta di un autentico autogol.

Cose da dire in merito a tale argomento ce ne sarebbero ancora un'infinità ma mi fermo per evitare di diventare troppo prolisso; prendete questo articolo come un'introduzione sull'argomento. Vi rimando ai prossimi numeri per darvi ulteriori informazioni e notizie, cercando di sapere qualcosa in più dal punto di vista tecnico e, perchè no, medico.

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