Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Il Mondo nel Pallone, Numero 1 - 1 Settembre 2006 | 0 commenti

Un altro calcio all'etica sportiva

“Un'altra occasione persa, l'ennesima[...]Diciamo che non mi stupisco. Lo schema di questa vicenda è tipico dell'Italia e dell'illegalità diffusa che abbiamo nelle vene” Queste parole di Gerardo D'Ambrosio, allo stesso tempo amare e consapevoli, rilasciate in un'intervista al Corriere del 26 luglio, rappresentano l'istantanea di stati d'animo largamente condivisi dall'opinione pubblica: disincanto e rassegnazione.

La vicenda calciopoli e la mitezza evangelica delle condanne, se non fossero reali, potrebbero aspirare all'Olimpo della tragicommedia all'italiana, quasi un omaggio fatto dalla Storia alla genialità dei vari Risi e Monicelli. Anziani signori, perennemente occupati in dissertazioni da bar, tra un bianco fermo e un'esportazione senza filtro, si trasformano improvvisamente in vati infallibili. Il misto d'accuse e luoghi comuni che da tempo accompagnavano avvelenando le domeniche calcistiche, trovano improvvisamente un riscontro concreto sulle prime pagine dei maggiori quotidiani.

Nefandezze venute a galla. La voglia di cambiamento serpeggia ed interessa trasversalmente la società: i volti dei politici s'irrigidiscono e le parole si fanno austere, sembra finalmente di respirare un'aria di rinnovamento lungo la penisola, ed il sacrosanto principio del “chi sbaglia paga”, almeno per una volta, pare sottendere anche i primi della classe.

Fulgide premesse per il classico epilogo all'italiana: Ubi maior minor cessat, insegnavano nei licei.

Basta un caffè per rendersi conto di come la delusione sia cocente ed il disincanto lo stato d'animo principe; tuttavia, essendovi come sempre nella fine un nuovo inizio, occorre guardare avanti e trarre alcune conclusioni da ciò che è stato.

Il primo sconfitto immolato a causa di sentenze quantomeno discutibili, non è come molti immaginano Rossi, ne tanto meno l'incorruttibile Borrelli, me l'etica[1] stessa dello sport, il fondamento necessario di una competizione agonistica ma allo stesso tempo inevitabilmente leale.

Se in ambito sportivo, alla certezza della parità iniziale subentra la concezione machiavellica per cui il fine giustifica i mezzi, non ha più senso utilizzare il termine sport per definire un laido crogiuolo d'interessi economici e monopolistici, e non ha più senso, ritengo, assistere ad avvenimenti dall'esito predeterminato.

L' inversione tra ciò che è, e ciò che dovrebbe essere, implica in modo essenziale la nascita dei fenomeni corruttivi emersi dalle indagini: arbitri a busta paga, compravendita di partite, doping, cessioni miliardarie e manager “invadenti”divengono quindi una necessità logica ed ontologica laddove non esistano contro altari etici.

La famiglia disomogenea di parti isterici e bifronti generati dalla morte del sogno chiamato sport, è una triste icona che porta in dote l'eclissi della meritocrazia. In questo, sono riusciti ad infangare persino l'antichissima e mirabile invenzione che permetteva alla pulsione di primeggiare, fisiologicamente inscritta nell'animo umano, uno sfogo armonico e positivo. La vita di sacrifici e privazioni coraggiosamente scelta da chi voleva eccellere nel proprio ambito, la stessa che da Olimpia in poi ha illuminato il tedoforo come una sorta di semidio votato a qualcosa di superiore, non ha saputo reggere il passo con la mediocrità dei tempi.

Ciò che era in alto, come spesso accade, è stato inquinato dal basso: nobiltà e fierezza sono diventate oggetto di compravendita, e gli acquirenti, hanno forse superato la sottile linea di cesura che separa i mercanti dai bottegai.

All'alba del terzo millennio, in un'epoca in cui la dimensione etica, come la bassa marea si è ritratta verso approdi più remoti, non resta che stare alla finestra ad osservare la quantificazione monetaria di tutto ciò che ci circonda, compresi gli ambiti che costituzionalmente parevano i più refrattari a farsi mettere il cappello da questa logica economica e voracemente onnivora.

Abbiamo perso un'altra occasione…


[1] Mi servo del termine Etica (dal Greco ethos, costume) in modo lievemente generico e semplicistico, intendendola in prima approssimazione, come la ricerca dei principi per cui le azioni, al di là della loro immediata utilità pratica, possono essere coerentemente ricondotte alle intenzioni che le hanno precedentemente determinate. L'etica normativa, quella che in questo caso ci riguarda più da vicino, è appunto l'insieme di norme, che all'interno di una determinata realtà (sportiva, statale, occidentale) vengono assunte come universalmente valide, finendo per sovrapporsi alle leggi stesse (che di queste norme teoriche sono un'emanazione legale e costrittiva).

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>