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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 4 - 16 Ottobre 2006 | 0 commenti

Contrastare il cambiamento climatico: un problema di costo opportunità

Il problema dell'economia è quello dell'allocazione di risorse scarse fra bisogni alternativi ed è quindi fondamentalmente un problema di scelta. Il modello di scelta adottato è quello razionale, che richiede un'analisi di tutti i costi e benefici collegati alla decisione.

Nel compiere questa operazione, un errore tipico è quello di non considerare i costi opportunità. Nei problemi di scelta ci si trova di fronte a diverse alternative e, quando se ne seleziona una, automaticamente si rinuncia alle altre. Il costo opportunità è il costo che si affronta quando, compiendo una scelta, non si possono impiegare le risorse a disposizione in alternative ugualmente disponibili.

Se vogliamo compiere un'analisi costi-benefici di iniziative come il Protocollo di Kyoto, occorre tenere a mente tre caratteristiche peculiari del cambiamento climatico:

  1. Tratta la popolazione terrestre in modo iniquo. Un riscaldamento di un paio di gradi non causerebbe all´Europa settentrionale e al Nord America (insieme alla Cina i maggiori produttori di gas serra) danni rilevanti. Grosse parti della Russia, oggi inabitabili a causa del freddo, diventerebbero posti confortevoli in cui vivere. La Groenlandia, o Greenland, tornerebbe ad essere quella “terra verde” da cui prende il nome. I modelli prevedono invece per altre zone del mondo, come l´Africa e l´India, danni nell´ordine di 4 o 5 punti percentuali di PIL. Il motivo è che questi paesi dipendono fortemente dall´agricoltura, il settore economico più vulnerabile ai cambiamenti di temperatura.
  2. Si compie in un lasso di tempo molto ampio. Nell'analisi costi-benefici, un euro speso oggi vale leggermente di più di un euro speso domani, e questa differenza è data dal tasso di sconto. I danni economici che prevediamo tra 100 anni entrano nelle decisioni di oggi con valori più o meno bassi a seconda del tasso di sconto utilizzato. Applicando un tasso standard, per esempio del 4,5%, 100 euro tra un secolo rappresentano circa 1 euro oggi.
  3. I suoi effetti sono incerti. La commissione Intergovernmental Panel on Climate Change dell'ONU ha previsto cinque anni fa un innalzamento della temperatura compreso tra 1,4°C e 5,8°C per la fine di questo secolo. Dato che si tratta di un intervallo molto ampio, le cui conseguenze vanno da un mero riscaldamento dell'atmosfera a una profonda modificazione del clima terrestre, l'entità di un eventuale intervento dipende da quanto peso diamo alla probabilità di eventi estremi.

Da quanto detto finora se ne deduce che, se rimaniamo nel campo delle decisioni razionali, solamente un agente dotato di caratteristiche ben precise deciderà di intervenire. Queste caratteristiche sono:

  1. altruismo nello spazio, nel senso di attribuire importanza al benessere dei paesi più poveri;
  2. altruismo nel tempo, nel senso di attribuire importanza al benessere delle generazioni future;
  3. avversione al rischio, nel senso di dare un peso agli eventi estremi più che proporzionale rispetto alla probabilità che si verifichino.

A questo punto sorge un dubbio: se davvero i leader mondiali sono decisori altruisti e avversi al rischio, perché non hanno risolto anche tanti altri problemi? Il dubbio è legittimo e Bjørn Lomborg, autore danese del libro “L'Ambientalista Scettico”, si è rivolto a 8 illustri economisti, tra cui 4 premi Nobel, per discuterne. Il progetto, che ha preso il nome di Copenaghen Consensus, prevedeva l´analisi di dieci importanti questioni globali e la risposta alla seguente domanda: “Quale sarebbe il modo migliore per aumentare il benessere mondiale avendo a disposizione 50 miliardi di dollari?” La classifica finale ha visto al primo posto la battaglia contro le malattie, in particolare contro l'Aids; al secondo posto la lotta alla malnutrizione e sul gradino più basso del podio l'abbattimento dei dazi nel commercio internazionale. Le questioni collegate al cambiamento climatico erano in fondo alla classifica, in quanto caratterizzate dal peggiore rapporto costi-benefici.

Se guardiamo ai numeri tale ordinamento di priorità non stupisce. Malattie come l'Aids e la malaria causano 15 milioni di vittime all'anno. La malnutrizione colpisce metà della popolazione mondiale. 800 milioni di persone non hanno un'istruzione di base e un miliardo non dispone di acqua potabile.

Anche se implementato in pieno, il protocollo di Kyoto porterebbe a una riduzione di temperatura entro il 2050 compresa tra i 0,02°C e i 0,28°C (stima della rivista Nature). Secondo Bjørn Lomborg, il costo di una tale implementazione si aggira intorno ai 150 miliardi di dollari. Per metà della cifra si potrebbe fornire acqua pulita, assistenza sanitaria di base e istruzione a ogni singolo essere umano della Terra (stima ONU).

Questo non implica che il problema climatico vada dimenticato. Significa solamente che l'imposizione dall'alto di vincoli all'attività economica è, dal punto di vista razionale, una soluzione inefficiente, oltre che inefficace. Meglio focalizzare l'attenzione della comunità internazionale su altre questioni perché, come ha detto qualcuno, “tante priorità significano quasi sempre nessuna priorità”.

Se un paese come il Bangladesh è cosí vulnerabile nei confronti di un innalzamento del livello del mare, non è per la sua bassissima altitudine (un problema condiviso anche dall'Olanda), ma a causa della sua povertà. La povertà è infatti il motivo per cui milioni di persone dipendono dall'agricoltura e vivono in aree pericolose e sovraaffolate. La migliore protezione per paesi come il Bangladesh non si chiama dunque protocollo di Kyoto, si chiama sviluppo economico.

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