Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Economia e Politica, Numero 4 - 16 Ottobre 2006 | 0 commenti

Generazione 620€ – parte II

Assioma del mercato del lavoro: “Il mercato del lavoro è rigido”.

Corollario dell'Assioma del mercato del lavoro: “Bisogna flessibilizzare il mercato del lavoro”.

Volete essere un economista? Bene. Prima regola: lodare la flessibilità del lavoro.

E fu così che nacquero il Pacchetto Treu e il Libro Bianco, e tutti vissero felici, contenti e flessibili.

Non sono qui per dirvi che la flessibilità non serve, tutt'altro. Però prima di parlare bisognerebbe contare fino a tre. Prima di fare le riforme, poi, almeno fino a dieci.

Cosa sarà poi esattamente questa benedetta “flessibilità”?

Senza entrare troppo nello specifico, ci sono tre tipi fondamentali di flessibilità: chiamiamoli flessibilità “interna”, “esterna” e “strutturale”. Quella interna si riferisce all'abilità di muovere forza lavoro in modo domanda ed offerta si incontrino sempre nel punto di equilibrio. In altre parole, in un mercato internamente flessibile, assumere lavoratori nei periodi di espansione e licenziarli nei momenti grigi è relativamente semplice ed economico.

La flessibilità esterna riguarda la capacità di includere nella forza lavoro un numero sempre maggiore di cittadini attivi (tra i 15 e i 64 anni). In parole povere, un mercato del lavoro esternamente flessibile mostra tassi di disoccupazione decrescenti e tassi di partecipazione in aumento.

La flessibilità strutturale, infine, riguarda la forza lavoro in toto. Una forza lavoro è strutturalmente flessibile quando il livello medio di istruzione è elevato e i lavoratori hanno accesso a tecnologie d'avanguardia; quando, come sistema-paese, si investe in maniera consistente e proficua in ricerca, sviluppo, brevetti, centri di eccellenza e via dicendo.

A livello macroeconomico, un mercato del lavoro non rigido presenta elementi di tutti e tre i tipi di flessibilità; una non sostituisce l'altra, sia chiaro. Stiamo parlando di caratteristiche complementari e non mutualmente esclusive.

Un paese civile lavora per costruire una forza lavoro e un mercato occupazionale flessibili a trecentosessanta gradi senza tuttavia dimenticarsi di costruire un sistema di welfare efficiente. Se i lavoratori possono essere licenziti facilmente, allora si costruisce un sistema di sussidi appropriato e un rete di assistenza che faciliti il re-ingresso nel mondo del lavoro (le cosiddette politiche attive del lavoro). Flessibilità interna ed esterna, per non essere controproducenti, richiedono reti di protezione sociale resistenti senno' il tutto si riduce a mero sfruttamento.

In linea di massima, ci preoccupiamo tanto di questa ormai celebre “flessibilità” per raggiungere due obiettivi, strettamente collegati l'un l'altro: diminuire gradualmente la disoccupazione (e, in modo parallelo, aumentare la porzione di individui occupati), e aumentare la produttività del lavoro.

L'Italia ha uno dei tassi di partecipazione più bassi tra i paesi sviluppati (specialmente per quanto riguarda la forza lavoro femminile e quella giovanile), un tasso di disoccupazione storicamente alto e maldistribuito, e una produttività stagnante.

Non c'è ombra di dubbio che le rigidità che affliggono il mercato del lavoro italiano contribuiscano in misura determinante ad esasperare questi problemi.

Come si collocano il Pacchetto Treu e la Riforma Biagi in tutto questo? Malino, tutto sommato, anche se fior fiore di economisti si ostinano a sostenere il contrario.

Le legislazioni sovracitate, rendendo meno costoso per le imprese assumere lavoratori a tempo determinato o part-timers, hanno senz'altro il merito di indirizzare la questione della flessibilità esterna. Non a caso, infatti, negli ultimi anni, la disoccupazione italiana è apparentemente in calo e sempre più persone partecipano alla forza lavoro.

Purtroppo, quando viene il momento di valutare l'impatto delle riforme su flessibilità interna e strutturale, o sulla produttività del lavoro, i risultati sono a dir poco deludenti.

Perchè le riforme non stanno esibendo i risultati che ci si aspettava?

Per diversi motivi, per lo più politici.

Per prima cosa, le riforme ignorano totalmente l'aspetto strutturale. Questo non è da imputare alle riforme stesse ma piuttosto alla miopia delle istituzioni. Prima di mettere un elefante in sala è meglio rivestire muri e proteggere i cristalli. Gli interventi sul mercato del lavoro andavano collocati all'interno di un progetto di lungo periodo più ampio che intervenisse sulla struttura del sistema economico Italiano. Prima di mettere un elefante in sala è meglio rivestire muri e proteggere i cristalli.

Così non è stato per carenza di risorse e coraggio politico. Si è finito così per scegliere la via più conveniente e meno gravosa, concentrandosi sugli obiettivi di breve periodo, quelli politicamente più “profittevoli”, come la riduzione della disoccupazione.

In secondo luogo, le riforme recenti trascurano la questione della flessibilita' interna.

Prendete il signor Rossi per esempio. Provate a licenziarlo, se ne siete capaci.

E, guardate bene, il fatto che Rossi sia un impegato statale e' pressoche' irrilevante qui. Rossi rappresenta solamente l'uomo di mezza eta' con lavoro sicuro, moglie e figli e carico, e trent'anni di anzianita'. Pietro Ichino ha proposto di recente di licenziare ogni anno l'1% dei dipendenti pubblici meno produttivi. Apriti cielo.

Io invece dico: perche' solo quelli pubblici? A scuola se non studi ti bocciano. Un posto di lavoro fisso, in alcuni casi, ti permette di rubare lo stipendio ed escludere un potenziale lavoratore dal prendere il tuo posto. E non ci si puo' fare nulla.

I conti non tornano.

Il legislatore ha fatto finta di non sapere dove risiedesse la vera causa della scarsa produttività italiana. Ha colpito un bersaglio facile guardandosene bene dall'attaccare Rossi.

Perchè Rossi se l'è cavata anche questa volta?

Perchè l'Italia è, come dicono gli accademici, un sistema di welfare Cristiano-Democratico in cui il padre di famiglia è storicamente colui che mette il pane in tavola e per questo deve godere di eccezionali protezioni lavorative.

Perchè Rossi ha la tessera del sindacato e il sindacato, per definizione, è creato da persone dentro al mercato del lavoro per persone in piena occupazione. Ne consegue che i sindacati non si proccupano dell'interesse generale del paese (ne' tantomeno di giovani neolaureati o disoccupati) ma, piuttosto, di Rossi.

Perchè la produttività non aumenta nonostante le riforme?

Per una questione di incentivi. Il giovane precario non ha diritti ne prospettive e funge da capro espiatorio. Se viene licenziato non ha una struttura d'appoggio ed viene lasciato solo a se stesso. Perchè dovrebbe aumentare la propria produttività lavorativa?

Rossi, d'altra parte, con le riforme recenti, non può che constatare come il suo contratto a tempo indeterminato lo renda sempre più intoccabile. Tanto vale andare al mare.

Come al solito, in Italia, è stato fatto tanto rumore per nulla. Costruire un mercato flessibile richiede coraggio, costa soldi, tempo e, più importante, voti.

Mi sa che qualcuno ha fatto confusione. Uno ha detto flessibilità e l'altro ha capito precarietà.

I co.co.co sono molto più semplici e meno costosi da implementare, toccano elettori spendibili e danno risultati concreti nel breve periodo.

Per quanto ne so, una maggiore flessibilità esterna, leggi la libertà di ridurre al rango di schiavi il futuro del paese, ha solo avuto l'effetto di distribuire lo stesso lavoro tra più persone. Le riforme non funzionano perche' possono essere definite tali a stento. Diciamo che abbiamo assistito ai primi passi di una riforma e, come in ogni cammino accidentato, fermarsi a metà strada non puo' che aumentare i pericoli.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>