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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 5 - 1 Novembre 2006 | 0 commenti

Amarcord Barolo – Terza Parte

Primi contatti con l'estero e i Falletti

Insieme alla tecniche di vinificazione si evolvevano anche le tecniche agricole: dall'alteno si passò gradualmente a delle potature più basse, con appoggio della vite a ad un palo di sostegno. Nel nord del Piemonte tale metodologia prendeva il nome di “spanna”, e tutt'oggi il Nebbiolo in alcune terre viene chiamato con tale nome.

Intanto la fama del nebbiolo stava iniziando a varcare i confini nazionali.

I continui contatti con la Francia, la stabilità politica del Piemonte che permise le prime “forme di turismo” (celebre il viaggio per la Francia ed il nord Italia di Thomas Jefferson, in seguito Presidente degli Stati Uniti, il quale giunto in Piemonte per studiare il riso piemontese che intendeva esportare nella Carolina del Sud, rimase molto colpito da un vino rosso di Nebbiolo “quasi amabile come il morbido Madeira, secco al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne”[1], il che sta ad indicare come all'epoca il Nebbiolo fosse servito sotto diverse forme tra cui anche quella di spumante), la pubblicità che i Savoia riuscivano a fare al loro vino attraverso la diplomazia grazie allo strumento della “regalia ” portarono al nebbiolo fama internazionale. Si può affermare che i Savoia sono stati tra i primi ad utilizzare il “Marketing” nel mondo del vino.

A metà del XVIII secolo, sfruttando la crisi d'approvvigionamento che colpì la Gran Bretagna a causa della guerra con la Francia, sua principale fornitrice, si iniziarono a studiare le possibilità di effettuare le prime esportazioni e, come risulta da documenti dell'Archivio di Stato di Torino, si parla soprattutto di vini pregiati provenienti da Barolo, Serralunga e Verduno.

Alcuni diplomatici piemontesi che avevano contatti a Londra, fondarono nel 1751 una società per l'importazione del vino piemontese in Inghilterra. Nonostante i naturali problemi logistici che si affrontarono durante il primo viaggio finanziato da Re Carlo Emanuele III in persona, una prima partita di “Barol” giunse a destinazione e fu ritenuto vino di valore pari al Bordeaux; è la prima volta che compare il nome del Barolo. Buona parte del vino andò a male durante la spedizione, ma il primo passo verso la conquista di nuovi mercati e appassionati era stato fatto.

Questo ed altri tentativi poco fortunati portarono alla ribalta il problema del trasporto del vino. I vini fino ad allora erano conservati in botti di legno o damigiane e trasportati in botticelle più piccole, di cui fa parte la tipica “carrà” piemontese, una botte della capacità di 476 litri dalla forma allungata affinché potesse trovar posto su un normale carro da trasporto. Le bottiglie di vetro soffiato fecero capolino solo verso la fine del secolo, le quali però si diffusero molto lentamente a causa del loro costo e della loro fragilità.

A questo punto la storia di questo nobile vino si lega in maniera indissolubile con alcune delle più importanti casate piemontesi di cui in parte si è già parlato: la famiglia reale, la famiglia Cavour attraverso la figura prestigiosa del conte Camillo Benso Conte di Cavour e la famiglia Falletti.

Tale famiglia dominò le Langhe fin dal medioevo. Le loro vicende ebbero inizio con Pietro Falletti che ottenne il feudo di La Morra nel 1340 per i servigi resi.

Col passare dei secoli il loro dominio si è ampliato annettendo il feudo di Barolo, i territori di Serralunga e Rodello. Dal XVI secolo la loro ascesa ebbe un'ulteriore spinta per i stretti rapporti con i Savoia. L'ultimo discendente di tale casata fu Carlo Tancredi, sindaco di Torino nel 1826, il quale convolò a nozze con la parigina Giulia Vittorina Colbert di Maulevrier.

A loro si deve un'altra delle prime forme di marketing della storia applicata al vino e sicuramente una delle prime nella ancor giovane storia del Barolo: regalare il vino delle proprie tenute alla casata reale, in modo da far diventare il proprio vino un prodotto ricercato e di nicchia.

Celebre la leggenda che narra della richiesta del Re Carlo Alberto alla Marchesa di poter assaggiare il loro stimato vino, richiesta alla quale fece seguito pochi giorni dopo l'arrivo a palazzo reale di una lunghissima fila di carri carichi ognuno con una carrà, 325 in tutto, una per ogni giorno dell'anno esclusa la quaresima.


[1] Rosso Maurizio e Chris Meier, “Barolo. Personaggi e mito”, pagina 18.

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