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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 5 - 1 Novembre 2006 | 0 commenti

Contrastare il cambiamento climatico: un problema di esternalità

Sulle misure economiche definite per contrastare il cambiamento climatico è stato scritto in questa rivista che “l'imposizione dall'alto di vincoli all'attività economica è, dal punto di vista razionale, una soluzione inefficiente, oltre che inefficace”[1]. All'origine di questa inefficienza l'autore individua la mancata considerazione dei costi opportunità: i costi necessari per mitigare il cambiamento climatico attraverso il Protocollo di Kyoto assicurerebbero alla società dei benefici maggiori e più sicuri qualora venissero investiti in altri campi, tra cui sanità, educazione o potenziamento delle infrastrutture[2].

Da queste considerazioni la conclusione che la miglior strategia per affrontare il cambiamento climatico non e' l'imposizione di tetti e costi sulle imprese ma, al contrario, la promozione dello sviluppo economico a livello globale.

Questa affermazione si fonda su due importanti verità, ma ne trascura una terza che vale la pena portare alla luce in questa sede.

  1. I paesi sviluppati dispongono di tecnologie più efficienti e meno inquinanti. A parità di unità di produzione gli Stati Uniti inquinano meno di quanto non inquini un qualunque paese in via di sviluppo, la Cina per esempio.
  2. I paesi sviluppati sono in grado di fronteggiare eventuali catastrofi naturali (o di adattarsi ad esse) meglio dei paesi non sviluppati; basti pensare al Giappone, in grado di costruire grattacieli antiterremoto. E' altrettanto vero, come si osserva nel precedente articolo, che il Bangladesh risulterebbe più vulnerabile di fronte ad un innalzamento del livello del mare di quanto non sia l'Olanda.

Ma il punto e' un altro: il cambiamento climatico e le sue potenziali conseguenze (come l'innalzamento del livello del mare) differiscono da altre calamità naturali (come i terremoti) in quanto e' causato dall'attività umana. Da qui la terza “verità” fino ad ora omessa.

  1. Di fronte al cambiamento climatico i paesi sottosviluppati, tra cui il Bangladesh, rischiano di dover sostenere ingenti costi per dei danni ambientali causati da terzi, ovvero dall'attività economica dei paesi sviluppati, senza che questi ultimi siano tenuti a pagare alcun tipo di compensazione per il danno provocato.

Il cambiamento climatico e' in sintesi riconducibile ad un problema di esternalità negative[3].

Se è vero che l'inquinamento è un costo per la società, allora questo costo dovrebbe essere pagato da chi lo provoca e da chi trae beneficio da quelle attività che generano inquinamento. Questo e' vero tanto da un punto di vista ecologico ed etico (altruismo nel tempo e nello spazio), quanto secondo criterio di efficienza economica.

Non a caso la teoria economica considera le esternalità come una delle principali cause di fallimento dei mercati. Trasformare l'inquinamento in un costo monetario vero e proprio da far pagare a chi produce e da chi consuma è un'operazione necessaria per garantire efficienza nei mercati, oltre che per mitigare il cambiamento climatico.

Abbiamo precedentemente affermato che lo sviluppo economico ha consentito agli Stati Uniti di poter disporre di tecnologie più efficienti con un minor impatto ambientale: l'energia rappresenta un costo, quindi in un mercato competitivo e' nell'interesse delle imprese sviluppare processi che garantiscano un maggior rendimento ed un minor spreco di energia. Per la stessa ragione i consumatori dovrebbero preferire prodotti che, a parità di prestazione, consumino meno energia. Ciononostante, le forze di mercato tendono a fornire incentivi insufficienti a sviluppare tecnologie “pulite” quando i prezzi degli input energetici non riflettono propriamente il loro vero costo sociale comprensivo dei costi ambientali.

Senza un'esplicita politica ambientale le imprese non avranno alcun incentivo a ridurre le proprie emissioni di gas serra oltre la convenienza a ridurre i propri costi energetici.

Conseguentemente le migliori tecnologie di cui gli U.S.A. dispongono non sono sufficienti ad evitare al paese a stelle e strisce il triste primato di piu' grande inquinatore al mondo.

CO2 emissions
(in thousands of metric tons)

GDP per Emissions
(in thousands of US Dollars per metric ton)

Metric tons of CO2 per capita (2003)

Stati Uniti

5872278

2.118

19.8

Cina

3513103

0.525

3.2

Olanda

162739

3.867

8.7

Bangladesh

34540

1.793

0.3

Fonte ,
http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_carbon_dioxide_emissions_per_capita

Il primo passo da compiere per affrontare il cambiamento climatico e' assicurarsi che l'inquinamento, inteso come costo ambientale, venga pagato non tanto dalla società globale (il Bangladesh ne supporta solo i costi ma non i benefici) ma da chi lo produce (e lo consuma); un intervento pubblico è necessario per applicare il principio economico secondo cui “chi inquina paga”.

Questo punto e' cruciale per capire il trade-off tra crescita economica e protezione ambientale: una volta che i costi ambientali vengono contabilizzati nei bilanci aziendali e nelle bollette familiari, produzione e consumo diminuiranno provocando due effetti: riduzione dell'inquinamento da un lato e riduzione della crescita economica dall'altro[4].

Quale governo e' disposto a sacrificare la crescita economica del proprio paese e delle imprese nazionali in nome dell'ambiente? Sicuramente non Cina ed India, ne' tanto meno gli Stati Uniti che rischierebbero di perdere terreno nella grande corsa alla competizione internazionale. Tuttavia, gli Stati che sembrano potersi permettere il lusso di prendere seriamente in considerazione le problematiche ambientali non sono pochi[5], e la ratificazione del protocollo di Kyoto è un passo in questa direzione (ma non lasciamoci ingannare dalle apparenze, ratificare il protocollo e' una cosa, rispettarlo e' un altro).

Stabilendo un tetto al livello globale di emissioni di gas serra e definendo dei permessi ad emettere CO2 che le imprese possono commerciare in un apposito mercato di scambio (Emissions Trading Scheme) il protocollo di Kyoto si propone di internalizzare l'esternalità ambientale teoricamente nella maniera più efficiente, ossia minimizzando i costi di implementazione.

Ma il protocollo di Kyoto e' davvero la migliore delle soluzioni possibili alla problematica ambientale? Per rispondere a questa domanda sarà necessario guardare con più attenzione l'obiettivo che Kyoto si prefigge, come questo obiettivo e' stato ripartito tra i diversi paesi ed analizzare i meccanismi di mercato che Kyoto ha definito per perseguire tale obiettivo.


[1] “Contrastare il cambiamento climatico: un problema di costo opportunità” Philippe Bracke, Arengo del Viaggiatore numero 4.

[2] Nell'articolo si evidenzia che sulla terra un miliardo di persone non hanno accesso ad acqua potabile

[3] Il concetto di esternalità e' stato ampiamente discusso all'interno dell'Arengo. Per una sua definizione puntuale si rimanda al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Esternalit%C3%A0 o agli articoli precedenti pubblicati nell'Arengo nella sezione Energia & Ambiente.

[4] Questa affermazione non è valida quando investimenti in R&D risultano nell'innovazione di “Win-win technologies”, tecnologie che sono allo stesso tempo più efficienti e meno inquinanti

[5] Un bene e' di lusso quando solo gli acquirenti più ricchi se lo possono permettere. La letteratura economica definisce paradossalmente l'ambiente come un “luxury good” perchè la domanda sociale per una maggiore protezione ambientale in effetti risulta maggiore nei paesi sviluppati, Stati Uniti compresi, che non altrove.

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