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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 8 - 16 Dicembre 2006 | 0 commenti

Fare i conti con le parole: Riflessioni sulla scrittura aforistica

L'aforisma è una forma letteraria breve, di norma una prosa di riflessione che si esplicita in molti modelli. A partire dal primo novecento, a livello europeo, questa forma è andata inglobando tutte le altre forme brevi storiche, assumendo così sfumature diverse e soprattutto acquisendo molte varianti.

L'aforisma, da forma definitiva ha mutato verso forme improprie[1].

E' per questo che nel '900 si parla di scrittura aforistica e non più solo di aforisma, tenendo presente che la caratteristica portante di questa definizione è la sua provenienza etimologica che viene dal greco Horìzo, delimitare.

In questo modo entriamo nel vivo della riflessione sulla scrittura aforistica, un'operazione importante per capire meglio se stessi e il peso dei rapporti interpersonali in un'epoca dominata da facili slogan e forti immaginari comuni, ma anche per rivalutare il silenzio e le sue poetiche in un'epoca di caos e inquinamenti e relazionarsi all'impegno e alla responsabilità: parole oggi metabolizzate atte ad eleggere paladini e miti inesistenti.

La scrittura aforistica è un reportage dell'esperienza che cerca di rincorrere il presente e saggiare le cose nel tempo. Ecco allora che la sua provenienza etimologica ci aiuta a capire come essa sia una cesura del pensiero, una scelta, una pausa in mezzo al flusso di parole.

Se l'aforisma è una decisione, lo è, in maniera altamente responsabile. Storicamente è una scrittura impegnata; ma questo aggettivo non è usato nell'accezione comune proveniente dagli anni '60, come engagement; si tratta, piuttosto, di una responsabilità verso l'esattezza nell'esprimere un pensiero e nell'indicare una propria strada, un proprio sentiero.

Una responsabilità, spesso, come attitudine individualista che ingloba quella sociale e comunitaria, in quanto l'aforista è propriamente un self-opinionated, ovvero, un artigiano del pensiero, dei giudizi e soprattutto della conoscenza del sapere.

La responsabilità dell'aforista si avvicina, dunque, molto di più non all'accezione coeva del termine ma a quella data da Aristotele con il termine “politica”: scienza dell'agire umano.

Con queste caratteristiche, l'aforista propone una realtà ad uno strato e livello diversa da quella dell'immaginario comune, egli, cerca e saggia la realtà relazionale dell'entropia e della dispersione, sapendo che “un cenno può esprimere tutta una vita”[2] e che, come riporta Leo Longanesi, : “

Esiste un mondo sotterraneo, meschino, pietoso, ridicolo, tragico ed eroico che si nasconde agli occhi di tutti: vizi, retoriche, sciagure, sogni e abitudini muovono una folla anonima che nessuno osserva.”[3]

L'aforista riscrive l'esperienza ridandole il dovuto, propone costantemente la giustizia e la giustezza quotidiana definendo l'io di fronte ai rapporti interpersonali e alla “molteplicità di causali contingenti”[4], come afferma Alda Merini: “L'aforisma è il sogno di una vendetta sottile.”[5]Queste caratteristiche pongono l'aforisma e le forme aforistiche vicino ad un ipotetica poetica dell'essenza: formule epifaniche che si fanno scrittura fortemente motivata dalla ricerca interiore e assimilabile al concetto di creazione pari a quello di scultura per Michelangelo “quella che si fa per forza di levare”.Lo scrittore di aforismi segue un percorso in cui l'espressione deve liberare la realtà da “materia” superflua, arrivando così a forza di levare all'essenza concettuale e formale. Come afferma l'aforista e poeta Cesare Viviani: “L'aforisma si muove su di un'altra strada: quella di mantenersi il più possibile in contatto con la percezione che l'ha preceduto e di accostarsi il più possibile, in quanto parola, alla materia vivente, ai corpi, alle materie.”[6] Una scrittura del sé che si fa discorso sul mondo seguendo le movenze segrete dei particolari e dei gesti. Ma la scrittura aforistica si pone anche vicino alla poetica del silenzio. Uno per la sua costruzione testuale legata alla discontinuità: spazi bianchi che separano frasi concise. L'altro, per i motivi qui esposti dall'abate Dinoaurt: “Mai l'uomo è padrone di sé come quando tace: quando parla sembra, per così dire, effondersi e dissolversi nel discorso, così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri”[7]. Se il silenzio è, appunto, dominio di sé, contenimento di fronte al flusso di parole e pensieri che sfuggono inesorabilmente, l'aforisma è la scrittura più misuratamente avanzata nel raccontare l'esperienza, attraverso la concisione, la brevitas: dire meno per significare di più. Ma l'aforisma è bifronte, oltre o tramite al silenzio e all'essenza come conservazione scomoda, esprime anche una profonda ricerca. Questa lezione ci è data da Francis Bacon nei primi anni del '600, il quale afferma che “aphorisms do invite men to inquire further”. Soluzione ripresa nell'800 dai saggisti romantici inglesi che contrapposero essay a system. Il saggio, come sviluppo dell'aforisma, è la loro forma letteraria che trasmette più autenticamente il tentativo di capire, di saggiare la realtà in modo non sistematico.Il cammino dell'aforista non può essere che la scorciatoia, coma la definisce Saba: “Sono -dice il dizionario- vie più brevi per andare da un luogo ad un altro. Sono, a volte, difficili; veri e propri sentieri per capre. Possono dare la nostalgia delle strade lunghe, piane, diritte, provinciali.”[8]. E' la strada personale, originale, tra verità ed errori, la strada che si percorre con pudore e responsabilità per evitare daltonismi di ogni tipo.


[1] Una rassegna delle tendenze della scrittura aforistica europea è data dal volume: La scrittura aforistica, a cura di Giulia Cantarutti, Il Mulino, Bologna, 2000, che ha aperto la collana “Scorciatoie” del Dipartimento di Lingue e letterature straniere dell'Università di Bologna. Oggi la collana conta cinque titoli e interventi di importanti studiosi nel panorama della brevità letteraria come la Prof.ssa Giulia Cantarutti per la germanistica e il Prof. Gino Ruozzi per l'italianistica.

[2] Niccolò Tommaseo, Pensieri Morali, a cura di Gino Ruozzi, Il Mulino, Bologna, 2001, p.214.

[3] G. Appella, P.Longanesi, M.Vallora, (a cura di ), Leo Longanesi, 1905-1957, Editore, Scrittore e Artista, Longanesi, Milano, 1996

[4] C.E.Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti, 2000, p.2.

[5] Alda Merini, Aforismi e magie, Bur, Milano, 1999.

[6] Cesare Viviani, “L'aforisma, gli intellettuali e i poeti” in Teoria e storia dell'aforisma, a cura di Gino Ruozzi, Mondadori, Milano, 2004, pp. 149-150.

[7] Abate Dinouart, L'arte di tacere, Sellerio, Palermo, 1989, p.19.

[8] Umberto Saba, “Scorciatoie e raccontini” in Tutte le opere, a cura di Arrigo Stara, Meridiani Mondadori, Milano, 2001, p. 7.

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