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Scritto da nel Numero 9 - 16 Gennaio 2007, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Il tramonto del “Padrino del Soul”

Si sarebbe dovuto esibire sabato sera nel New Jersey e per l'ultimo dell'anno al B.B.King's night club di New York; certo, aveva dovuto disdire un paio di date in settimana, ma per il weekend aveva persino ricevuto l'ok dal medico che l'aveva in cura; a sfregio dell'età James Brown aveva ancora grinta ed energia da vendere, ma non ce l'ha fatta. Ce l'ha portato via una polmonite, aggravata da una crisi cardiaca, all'età di 73 anni.

Sembrava davvero intramontabile, tutto rifatto, col suo storico parrucchino di pessimo gusto e la dentiera a trentotto perle d'avorio, i mocassini ortopedici e la panciera stretta in vita a smussare via i segni del tempo. Un dinosauro, ma quando saliva sul palco era ancora capace di sputare fuoco e infuocare le folle.

Una carriera durata oltre mezzo secolo, trascinando il pubblico, incalzando le hit parade di tutto l'occidente a ritmo di Funk e Soul. La sua inesauribile energia gli aveva valso la nomea di “the hardest working man in the show business”; e lo era. Lavorava come un matto, suonava di continuo, era impresario di se stesso, cosa alquanto rara per un artista; alla fine degli anni '60 possedeva tre stazioni radio ed era proprietario della sua stessa agenzia pubblicitaria. Rigido e severo datore di lavoro, pretendeva perfezione dai musicisti, al punto da multare chi sbagliava una nota o non s'annodava bene il papillon o non aveva le scarpe perfettamente lustrate, cinquanta dollari.

Conosciuto anche come “Fratello Soul No. 1″, “Ministro del super heavy funk”, “Mr. Dinamite”, “Padrino del soul”, James Brown ha insegnato qualcosa a tutti. In un'intervista dichiarò, “ho insegnato loro tutto quel che sanno, ma non tutto quel che so…”. Il suo ritmo sfrenato e le sue movenze sul palco sono stati imitati dai più grandi, Michael Jackson, Mick Jagger, immortalato, quest'ultimo, nel '65 durante le riprese di uno show televisivo mentre scimmiottava i passi del maestro. Memorabile il suo ingresso in scena, sempre quello da trent'anni, con il lancio del mantello.

Una vita turbolenta, nasce il 3 maggio 1933 in una baracca nel Sud Carolina in condizioni di estrema miseria. Ben presto si trova a dover fare i conti con una realtà che lo vede raccogliere cotone nei campi, lustrare le scarpe per strada e attirare clienti nel bordello gestito da sua zia. Il suo primo e di certo non ultimo incontro con la giustizia all'età di sedici anni. Arrestato per rapina a mano armata, passa tre anni in riformatorio, dove si unisce al coro gospel della cappella ed incontra Bobby Byrd, dal quale non si separerà per almeno una trentina d'anni, sua seconda voce sia in studio che dal vivo.

Ottenuta la libertà sulla parola, una volta fuori tenta la strada dello sport, boxe e baseball, ma un infortunio gli tarpa le ali sul nascere. Decide così di dedicarsi alla musica ed entra a far parte come batterista della band di Byrd, ribattezzata presto “The Flames”. Il suo talento esplosivo di frontman non tarda affatto a manifestarsi. Una danza sfrenata ed una voce portentosa ben presto gli valgono la leadership della band.

Stilisticamente parlando la vita di James Brown può essere divisa in due tempi. Il periodo dei “The Flames”, che va dal 1952 al 1964, è prettamente Rhythm & Blues e vede come protagonista la band, del quale Mr. Brown è l'indiscusso leader, piuttosto che il singolo. Ogni elemento cantava, ballava e suonava uno strumento. Il successo arriva con “Please please please”, quaranta dischi d'oro, singolo al primo posto delle classifiche che raggiunse il milione di copie. Celeberrimi anche “Try me” e “Live at the Apollo”, testimoni del divenire dello stile di Brown.

L'esplosione innovativa si registrò dal 1965 in poi, il periodo Funk, che vede lui come singolo accompagnato dalla band. Sciolti i “The Flames” James Brown recluta fior fior di musicisti e forma la “James Brown Revue”, con tanto di ballerini, emcee e un'orchestra alle spalle, la “JB's” , che vede talenti come Maceo Parker al sax, Fred Wesley al trombone e Boosty Collins al basso che diedero vita ad un nuovo genere musicale, il Funk.

E`”Papa's got a brand new bag”, brano che vinse il Grammy Award nel 1965 come miglior brano Rhythm & Bleus, ad essere considerato da molti come il primo brano Funk della storia. In un'intervista del '90 James Brown disse che volle spostare il “beat” dal “battere al levare”, vale a dire accentando il secondo e il quarto colpo piuttosto che il primo e il terzo del normale quattro quarti. Fu un'impresa tutt'altro che semplice per i musicisti ed in pratica quel che ne uscì fu che tutti gli strumenti spostarono di poco, chi avanti chi indietro, il beat, creando così quel groove tipico del Funk, con un basso veloce, sincopato e un po' in anticipo, una batteria più appoggiata, con il rullante un po' in ritardo e la chitarra fedelmente all'unisono. Sistemata la sezione ritmica il groove si completa con obbligati di fiati, semplici ed efficaci, e un coro di matrice Soul.

La “JB's” diede una nuova impronta al suono di James Brown e furono riarrangiati vari brani. “Give it up, turn it loose” divenne “Get up I feel like being a sex machine”. La folla impazziva letteralmente, una nuova carica sessuale permeava i testi di Brown e il ritmo funky faceva ballare chiunque. I musicisti della “JB's” ebbero tutti carriere folgoranti, Parker e Wesley entrarono poi a far parte di quella che è considerata essere la prima band Funk, i Parliament-Funkadelic, di Gorge Clinton. Lo strumentale “Funky Drummer”, registrato con Clyde Stubblefield alla batteria, divenne il campione ritmico di più usato nell'Hip Hop e nella Drum & Bass delle successive decadi.

James Brown fu anche una forza politica. “Say it loud: I'm Black and I'm Proud” nei versi di un suo celebre brano del 1968, in un paese pervaso dal razzismo. Ebbe a cuore l'educazione dei più giovani, “Don't be A Drop-Out” per motivare i ragazzi a non abbandonare gli studi o “Killing's Out and School's In”, contro la violenza nelle scuole. Innumerevoli gli atti di filantropia verso i bambini disagiati della Georgia o del Sud Carolina, che considerava come figli, lui che aveva dovuto soffrire per un'infanzia in miseria.

Vale la pena ricordare la sia pur minima esperienza davanti alla cinepresa. Indimenticabile certamente il ruolo del padre predicatore in “The Blues Brothers”, al fianco di altri mostri sacri quali Aretha Franklin e Ray Charles, che gli diedero una forte spinta nelle classifiche nel periodo in cui la disco music lo stava un po' eclissando, o la celebre “Living in America ” in “Rocky IV” che gli valse il secondo Grammy Award come miglio brano Rhythm & Blues.
Icona della musica nera del secolo scorso, sperimentatore e innovatore, sfrenato nella vita come sul palco, il “Padrino del Soul” di fatto non tramonterà mai.

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