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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 10 - 1 Febbraio 2007 | 0 commenti

Il mio nome è nessuno

State attenti a dove mettete i piedi, scendendo le scale: oggi la cantina è illuminata solo da candele.

L’ambientazione è lugubre, volutamente lugubre. Coraggio, non fate domande e congiungete le vostre mani a quelle degli altri commensali.

Ci troviamo ad una seduta spiritica, per evocare lo spirito del primo vino fantasma.

Questo vino che un tempo era noto come (chiudete i bambini in casa) “Tocai Friulano”, ora è noto per essere un vino senza nome.

Morale della favola: chiamate a casa i parenti e rassicurateli, il Tocai è vivo e vegeto, solo che si trova senza nome.

Probabilmente se sentiremo bussare alla porta della cantina non si tratterà di uno spirito ma bensì di qualche produttore Friulano imbufalito dalle vicende passate, le quali hanno visto dar ragione al Tokaj Ungherese, e da quelle odierne che vedono l’ex Tocai senza un nome riconosciuto.

Ma andiamo con ordine.

Il 26 settembre 2002, con l’attuazione del decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali di attuazione del regolamento comunitario 753 del 29 aprile dello stesso anno, si sancisce che a partire dal 31 marzo 2007 il vino proveniente dal Friuli e derivante dal vitigno Tocai non potrà più fregiarsi delle diciture “Tocai Friulano” o “Tocai Italiano”.
Sentenza sicuramente ingiusta in quanto si tratta di due vini provenienti da regioni vitivinicole lontane e dalle caratteristiche organolettiche differenti: bianco e secco quello italiano, ambrato e dolce quello ungherese.

Va detto che il nome Tokaj era comune ai due vini fino al 1933, anno che ha visto il nome del vino Italiano cambiare in Tocai, decisione presa in seguito alla pubblicazione del professore Dalmasso sul Corriere Vitivinicolo nel quale affermava che il nome doveva cambiare per le già citate differenze organolettiche e perché il suo vitigno di produzione è noto appunto con il nome di Tocai.

In seguito le due nazioni firmarono l’armistizio nel 1948 con la stipula del trattato internazione nell’ambito dell’OIV (Office International du Vin) nella quale in seguito al “riconoscimento da parte italiana di ben cinque diversi tipi di vini ungheresi portanti la denominazione “Tokaj”, l’Italia avrebbe potuto legittimamente continuare a utilizzare la denominazione “Tocai friulano” o “di Lison” per il vino prodotto sul proprio territorio”.[1]

Ritornando ai nostri giorni, la decisione presa dalla regione Friuli Venezia Giulia è stata di chiamare questo vino con l’appellativo di “Friulano”. Va bene che il Friuli non sarà certo noto come il Brasile d’Italia, però un po’ di fantasia in più non sarebbe guastata.

Probabilmente non ne fa una questione di fantasia ma etica la “Cantina produttori del Cormòns”, che ha presentato ricorso al Tar del Lazio chiedendo la sospensione del nome alternativo anche perchè può generare confusione nei consumatori.

Tar che ha accolto tale ricorso lanciando nella dimensione parallela il Tocai.

Si sono così formati due schieramenti: Federdoc FVG, Coldiretti e Confagricultura che rimangono perplessi per la piega che sta prendendo questa questione, Fedagri-Confcooperative FVG che sostengono l’azione di resistenza delle aziende.

Ora ci sono al vaglio varie ipotesi: vi quella in cui potrebbe essere impugnata la sentenza del Tar dinanzi al Consiglio di Stato per l’utilizzo di Friulano; quella di veder emanato un decreto rafforzativo sempre per “Friulano”; chiedere una proroga all’Ue per permettere l’utilizzo di Tocai o infine facendo leva sull’accordo Trips per consentire l’utilizzo del “vecchio” nome almeno nel mercato interno.

Una decisione va presa in fretta: ci sono cinque milioni di innocenti bottiglie che aspettano che sia fatta giustizia.



[1] www.diritto.it/art.php?file=/archivio/21028.html

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