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Scritto da nel Internazionale, Numero 10 - 1 Febbraio 2007 | 0 commenti

Il Presidente operaio concede il bis

“…Il Brasile avrà un futuro grandioso, perché la nostra gioia è più grande del nostro dolore, la nostra forza è più grande della nostra miseria, la nostra speranza è più grande della nostra paura”

Queste le parole dal discorso d'insediamento del primo gennaio del rieletto Presidente del Brasile Luis Inacio da Silva detto Lula che conferma, dopo il bis di Chavez in Venezuela, la svolta a sinistra dell'America Latina.

Per capire la straordinarietà del personaggio e del suo rapporto “magico” con i brasiliani bisogna fare un piccola premessa storica.

Lula, nomignolo datogli dalla madre, in portoghese “calamaro” nasce il 27 ottobre di sessant'anni fa nella città di Garanhus, all'interno dello stato di Pernambuco. E' il settimo di otto figli e già dall'età di quattordici anni viene registrato come operaio presso i Magazzini Columbia.

Il 1964 è un anno di profonda crisi per il Paese. I rappresentanti del potere si sentono minacciati dall'ascesa dei movimenti sociali mai visti prima in Brasile e dall'avanzare del “pericolo comunista”. Il golpe militare del 1964, sostenuto dagli Stati Uniti, è per la destra e per gli apparati militari necessario per salvare il Paese dal comunismo. Lo stato dell'economia in questi anni è a pezzi. Il primo contatto del futuro presidente del Brasile con “il fare politica” avviene tramite suo fratello José Ferreira da Silva che, legato al Pcb (Partido Comunista Brasileiro), insiste affinché Lula legga i bollettini clandestini distribuiti dentro le fabbriche. E' il 1969, il Brasile si trova sotto dittatura militare, uno dei periodi più repressivi della sua storia. Nello stesso anno il sindacato dei metalmeccanici di Sao Bernardo do Campo e Diadema indice un'elezione per il rinnovo del direttivo e Lula viene eletto come membro sostitutivo del Consiglio con il 92% dei voti. Dopo dieci anni senza scioperi, tornano le prime proteste con la paralisi temporanea o la riduzione del ritmo lavorativo. Il sindacato di Lula indice uno sciopero generale il 13 gennaio 1979: nel pomeriggio, in uno stadio di calcio in Villa Euclides, si riuniscono 80 mila metalmeccanici. Lula è ormai il leader della lotta operaia. Senza un palco, né impianti acustici, Il Presidente operaio fa un discorso ai lavoratori che si diffonde con il passaparola ad altri lavoratori in sciopero. La repressione della polizia s'intensifica : il 19 aprile Lula e 17 dirigenti sindacali vengono arrestati e rinchiusi per 40 giorni al Dops – Dipartimento dell'ordine politico e sociale – responsabile in quegli anni delle atrocità della dittatura. Il Conselho Permanente de Justiça condanna Lula a tre anni e sei mesi di carcere, sentenza poi revocata.

Il 10 febbraio 1980 è una data da ricordare per l'intero Paese. Nasce il PT, Partido dos Trabalhadores, fondato da un gruppo composto da Lula, sindacalisti, intellettuali, politici e rappresentanti dei movimenti sociali, dirigenti rurali e rappresentanti della Chiesa. Nel 1982 il PT conta all'incirca 400 mila iscritti. Lula è a capo dell'organizzazione del Partito restandone ad oggi il leader indiscusso. La sua non è una governance alla Chavez caratterizzata da un forte accentramento dei poteri bensì una giovane democrazia in cui la figura di Lula opera in qualche maniera da collante tra le diverse anime che compongono il partito. Il PT infatti non è un partito che porta in sé una base ideologica di qualunque natura essa sia ma è la risposta, in quel momento storico preciso, alla dittatura militare, l'unione delle diverse anime della sinistra e della società civile brasiliana. Ma tornando alle ultime settimane di campagna elettorale troviamo un Lula da Silva impegnato a conquistare i voti dei milioni di poveri brasiliani che sono il suo passaporto per la riconferma del mandato, ma anche attento a mantenere l'appoggio della middle class metropolitana.

Il suo principale avversario è Geraldo Alckmin, del partito della socialdemocrazia brasiliana guidata dall'ex presidente Fernando Cardoso ( sconfitto da Lula nelle presidenziali del 2001).

Alckim promette “ritmi di crescita cinesi”, meno tasse e meno spesa pubblica.

La terza incomoda alla corsa elettorale è Heloisa Helena del Psol ( Partito socialista della libertà), fondato dai dissidenti. Lula è leader di una coalizione composta da tre partiti di sinistra. Partito dei lavoratori, Partito socialista del Brasile e Partito comunista. Il primo è il cuore della storia di classe del Brasile eppure Lula ormai non fa altro che prenderne le distanze. La strategia è stata allontanare la propria faccia da quella del partito. Addirittura ai comizi sono scomparse le famose stelle, simbolo del PT, il colore rosso della bandiera e i riferimenti a Lula come fondatore dell'organizzazione. Al loro posto l'azzurro, verde ed oro dello stendardo nazionale. Alcune delle strategie adottate dall'opposizione in campagna elettorale contro Lula sono state i dati sulla violenza a Rio de Janeiro e a San Paolo, città per alcune zone in mano all'esercito dei narcos.

Secondo l'informativa Brasile diritti umani 2005, fotografia del paese realizzata dai principali movimenti sociali, i quali definiscono esplosiva la situazione nelle strade chiedendo così al Governo delle profonde trasformazioni sociali. Si registrano più di 50mila morti l'anno.

Altro punto dolente è la politica del lavoro. Nelle fasce più povere della popolazione il tasso di disoccupazione arriva al 56 per cento. Salari ridotti, orari allungati. I movimenti sociali criticano anche il programma Fame Zero (punto di forza del programma del primo governo Lula) accusato di essere una misura inutile nonostante abbia coinvolto otto milioni di famiglie.

Lula e il suo staff, guidato da Duda Mendoca, hanno operato una strategia di comunicazione atta a sottolineare l'aspetto progressista della coalizione, punto fondamentale che permette a Lula di smarcarsi da quella etichetta di populista che già due volte in passato non gli permise di salire al governo. Il carattere progressista della coalizione ha portato ad un rinnovamento della cultura e della politica della sinistra attraverso nuove forme di impegno civile fondate selle responsabilità e il protagonismo individuale di Lula, non più ex sindacalista capo di una sinistra in cerca di identità ma leader responsabile di una coalizione convinta di poter continuare a governare. L'effetto di questo processo di “istituzionalizzazione” ha portato ad uno scollamento con la base dell'elettorato, con i sem terra, con gli abitanti delle favelas, con gli ambienti operai di San Paolo, dove nelle ultime amministrative si è registrata una netta vittoria del candidato di destra José Serra.

Questo scenario non è nuovo in quanto anche in Occidente e se vogliamo anche e soprattutto in Italia, la sinistra quando diventa governativa perde il suo fascino e si perde nelle beghe di discussioni intestine per certi versi drammatiche.

La riconferma di Lula rappresenta a mio avviso un nuovo modo di fare politica, leader dell'ottava potenza del pianeta, interlocutore del popolo no global di Porto Alegre ma anche dei Capi di Stato riuniti a Porto Alegre. Sta cercando attraverso le sue politiche di ridefinire i concetti di globalizzazione e di giustizia sociale e soprattutto sta dando continuità a quel sogno che coincide con la priorità della sua azione politica: la lotta alla fame in un paese in cui milioni di bambini non arrivano all'adolescenza e unico luogo al mondo in cui c'è più differenza tra ricchi e poveri.

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