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Scritto da nel Numero 11 - 16 Febbraio 2007, Scienza | 0 commenti

Quando l'hardware diventa quantum

Si chiama Orion, ed è il primo computer quantistico della storia. Padre della creatura una compagnia privata canadese, la D-Wave, il primo ed unico provider al mondo di sistemi per la computazione quantistica che possono girare in applicazioni commerciali.

Il 13 febbraio in California, al Computer History Museum di Mountain View, ed il 15 febbraio al Telus World of Science di Vancouver, in Canada, in un evento aperto al pubblico, la D-Wave ha presentato la demo dell'Orion quantum computing system. Alla demo sono state lanciate due applicazioni. La prima consiste in un pattern matching applicato nella ricerca in database di molecole. Essenzialmente si dispone di un pattern, una sequenza o una struttura ad albero, e si vuole verificare che, ad esempio, essa compaia all'interno di un database. La seconda è un algoritmo per arrangiare configurazioni una volta che siano stati assegnati dei vincoli. Si immagini, ad esempio, di voler assegnare poltrone in un teatro ad un certo numero di persone, richiedendo però la prima fila per autorità, stampa e televisione.

Il sistema Orion è definito come un hardware accelerator ed è stato disegnato per risolvere un particolare problema NP-complete: il modello di Ising bidimensionale in campo magnetico esterno. In soldoni per NP si intende una classe di problemi decisionali, la verifica della cui soluzione può essere testata in un tempo polinomiale, cioè relativamente breve. Una volta data la giusta informazione, per arrivare alla soluzione è necessario impiegare una macchina non deterministica, l'unica in grado di agire in un tempo polinomiale. Da qui in nome Non-deterministic Polynomial. Per problemi decisionali si intendono domande la cui risposta può essere soltanto si o no. I problemi NP-complete sono semplicemente i più difficili della classe NP.

Il cuore della macchina è un processore costituito da 16 bit quantistici, qubit, superconduttivi e opera in un regime di adiabatic quantum computation. L'idea alla base è implementare il problema da risolvere nella fisica del circuito, in modo tale da ottenere la soluzione del problema come semplice risultato dell'evoluzione stessa del sistema. Un' idea a dir poco geniale, la cui paternità spetta in parte ad un certo professor R.P.Feynman, premio nobel per la fisica nel 1965.

I qubit utilizzati sono flux qubit, anelli di alluminio in fase superconduttiva interrotti da tre o più sottili strati di materiale isolante, chiamati giunzioni Josephson. I due stati quantistici che rappresentano il bit d'informazione corrispondono a corrente circolante in senso orario (0) e corrente circolante in senso anti orario (1). La corrente è persistente, non c'è dissipazione, e l'intensità della corrente è dell'ordine del micro Ampère. Correnti di questo tipo sono state tenute sotto osservazione per anni, senza che una minima significativa attenuazione di intensità fosse registrata.

I qubit sono arrangiati in un matrice 4×4, come illustrato in figura. La disposizione dei qubit permette di connetterli l'un l'altro, in modo da farli interagire, dando così luogo ad una dinamica del sistema non banale. L'interazione dei qubit, che può essere pensata come l'interazione di due aghi magnetici che si respingono o attraggono a vicenda, a seconda della loro orientazione, è controllabile tramite l'applicazione di campi magnetici estremamente precisi e localizzati. La dinamica del sistema in questione, se portato in un regime di temperature estremamente basse (parliamo di circa il decimo di grado Kelvin, che per i non esperti corrisponde a -273 gradi centigradi circa), può essere descritta dal modello di Ising bidimensionale.

Il sistema realizzato dalla D-Wave è progettato per lavorare in remoto, cioè a distanza, ed è semplice da usare. Immaginiamo di far girare un'applicazione che ad un certo punto ha bisogno di risolvere un problema NP-complete. Il problema viene passato letteralmente al sistema Orion, che lo risolve e rimanda il risultato all'applicazione. Ciò rende estremamente efficiente e flessibile il sistema, in quanto funziona indipendentemente dell'architettura dell'applicazione.

Di sistemi di questo tipo ne sono stati ideati innumerevoli e la loro semplicità è concettualmente sorprendente. Purtroppo però esiste un limite fisico che la scienza non è ancora in grado di scavalcare. Si chiama decoerenza ed è semplicemente il risultato dell'interazione dei qubit con l'ambiente esterno, costituito essenzialmente dal circuito elettrico in cui i qubit sono inseriti ed immerso in un rumore ineliminabile di sottofondo. Per intenderci, l'ambiente disturba l'evoluzione dei qubit che, col passare del tempo, perdono il loro carattere quantistico, diventando bit classici, e rendendo così inutile un sistema per altro costosissimo. Al momento l'unica soluzione a questo problema è progettare sistemi che abbiano tempi di decoerenza almeno mille volte più lunghi del tempo medio di una singola operazione, in modo da poter eseguire algoritmi non banali, che tipicamente sono costituiti da migliaia di singole operazioni. Giusto per dare un idea, il tempo tipico della più semplice operazione, che consiste nel cambio di stato del qubit (porta logica NOT), è di frazioni di nano secondo (10-9 sec) per qubit del tipo utilizzato nel sistema Orion.

La D-Wave ha in programma un processore da mille qubits per la fine del 2008. Intanto non ci resta che accontentarci di sedici qubit e di un paio di dimostrazioni live della macchina.

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