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Scritto da nel Internazionale, Numero 10 - 1 Febbraio 2007 | 0 commenti

Un nuovo reato d'opinione

Questa breve riflessione sulla distinzione tra pensiero e atto compiuto, ovvero tra una liceità estrema del pensiero, e un auspicabile vincolo nella praxis, mi è stata suggerita dal farsesco “simposio” tenutosi a Theran lo scorso dicembre. In quella ville lumière del negazionismo, si sono riuniti in un variegato carnevale del pensiero distorto, fanatici islamici, membri del ku klux clan, ex cattedrici dissidenti e nostalgici della Grande Germania. Com'era scontato che accadesse, considerando la propensione dei partecipanti, la grande “kermesse” svoltasi sotto l'egida dell'ambiguo Ahmadinejad, ha potuto unire sotto un unico vessillo il revisionismo arabo antisionista ed il razzismo nostrano.

In occidente, ed in particolare nel mondo accademico, la vicenda è stata liquidata per ciò che era: una riunione di cialtroni. Tuttavia l'eco di questa buffonata è giunto amplificato anche nella nostra piccola penisola; non a caso, il sempre originale Clemente Mastella ha lanciato come Ministro della Giustizia, un appello farneticante affinché il negazionismo della Shoah diventi reato in tutti i paesi dell'Unione Europea.

L'inserimento di idee, per quanto assurde, nel codice penale è sempre un esercizio pericoloso e liberticida, che molto spesso ha travalicato la ratio stessa dei legislatori che l' avevano proposta. A questo proposito lo storico ebreo Norman Finkelstein, figlio di deportati ad Auschwitz e docente alla DePaul University, ricorda tra l'altro come la proposta di punire col carcere i negazionisti, sia una tendenza regressiva della società tedesca. [poiché] E' l'inizio del totalitarismo quando si delega allo stato il potere di determinare la verità.[1]

Quella citata, anche se molto autorevole, è soltanto una delle tante opinioni che si sono espresse in questa direzione: la negazione di un fatto, per quanto lapalissiano e storicamente verificabile, tecnicamente non può configurarsi né come reato, ne tanto meno come apologia di reato, infatti la materia del contendere è proprio se quel fatto sia effettivamente stato commesso, in che misura, e con che grado di premeditazione.

Come paventato da una sorta di “memoria” stilata da 200 tra i maggiori storici italiani[2], le verosimili conseguenze del nuovo reato d' opinione, perché di questo si tratta, sono facilmente prevedibili: in primo luogo si corre il forte rischio di offrire ai negazionisti la possibilità di ergersi a difensori della libertà d'espressione, ma soprattutto, come dimostra il silenzio imposto da Ankara sul genocidio armeno o l'inesistenza di piazza Tiananmen per il governo cinese, si sovrappone una verità di stato nei termini di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto[3].

E' un fatto, e come tale può piacere o meno, ma anche la più cristallina delle verità storiche, laddove sia stata imposta statualmente, e non sia dipesa da una libera adesione culturale, ha fisiologicamente implicato un aumento dei suoi detrattori.

Da sempre le idee si combattono con altre idee, suffragate dai fatti e non edificate su vuote ideologie: lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale è un dato storico, immutabile nella sua drammatica realtà e concretezza.

Sarebbe sbagliato, oltre che in una certa misura controproducente fornire una risposta legale ad un problema formativo. Di strumenti culturali per liquidare una cialtronata per ciò che è, ne esistono in abbondanza: da Levi a L'irritante questione delle camere a gas di Valentina Pisanty, da qualsiasi manuale di storia ad Histoire du négationnisme en France di Valérie Igoune; utilizziamoli, senza generare nuovi pretesti, o creare nuovi martiri della libertà d'espressione. Questi individui, quando il loro delirio si limita alla sfera ideale, meritano soltanto una caritatevole compassione per la pochezza e ottusità del loro sentire, il resto è tutta pubblicità gratuita per i loro patetici slogan.


[1] Venerdì di Repubblica 26/01/2007

[2] Memoria online, Marcello Flores, Università di Siena Simon Levis Sullam, Università di California, Berkeley Enzo Traverso, Università de Picardie Jules Verne David Bidussa, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Bruno Bongiovanni, Università di Torino Simona Colarizi, Università di Roma La Sapienza Gustavo Corni, Università di Trento Alberto De Bernardi, Università di Bologna Tommaso Detti, Università di Siena Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor Vergata Maria Ferretti, Università della Tuscia Umberto Gentiloni, Università di Teramo Paul Ginsborg, Università di Firenze Carlo Ginzburg, Scuola Normale Superiore, Pisa Giovanni Gozzini, Università di Siena Andrea Graziosi, Università di Napoli Federico II Mario Isnenghi, Università di Venezia Fabio Levi, Università di Torino Giovanni Levi, Università di Venezia Sergio Luzzatto, Università di Torino Paolo Macry, Università di Napoli Federico II Giovanni Miccoli, Università di Trieste Claudio Pavone, storico Paolo Pezzino, Università di Pisa Alessandro Portelli, Università di Roma La Sapienza Gabriele Ranzato, Università di Pisa Raffaele Romanelli, Università di Roma La Sapienza Mariuccia Salvati, Università di Bologna Stuart Woolf, Istituto Universitario Europeo, Firenze

[3] ibidem

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