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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 13 - 16 Marzo 2007 | 0 commenti

Italia: quattro

Secondo dati ISTAT, dal 1990 al 2005, in termini percentuali, la scuola e l'università ricevono sempre meno. Mettiamola così, finalmente abbiamo trovato ciò che acumuna i ventotto diversi governi che si sono avviccendati da Tangentopoli, ovvero un po' di continuità nel tagliare fondi per la publica istruzione.

Se Italia andrebbe a squola, avrebbe ricevuto la pagella poco più di un mese fa. Ed ecco come apparirebbe.

Spesa per la publica istruzione. Italia, tre e mezzo. In caduta libera.

In base a dati ISTAT, dal 1990, la quota di spesa complessiva (al netto degli interessi pagati) destinata all'educazione dalle amminnistrazioni publiche è scesa dal 12,6% al 10,6% nel 2005[1].

Secondo dati Eurostat, l'Italia ha speso nel 1993 il 4.74% del PIL per la publica istruzione: era il 5.4% nel 1992. Dell'Europa a 15 solo Grecia, Spagnia e Irlanda fanno peggio in termini percentuali ma solo la Spagnia mostra un trend decresciente come quello esibito dall'Italia. Perseverare è diabolico ma, a quanto pare, a Madrid e Roma non lo sapevano.

La media OCSE, nello stesso anno, era del 5.2% del prodotto interno lordo mentre la media dell'Europa a 25 era del 5.2%. Senza fare nomi, paesi con reddito pro-capite inferiore alla metà di quello italiano spendono per la squola un punto percentuale di PIL in più di noi. E non parliamo di Danimarca e Svezia perchè altrimenti ci arabbiamo.

Spesa destinata all'educazione universitaria. Italia, tre. Stoici.

Sempre secondo l'Eurostat, nel 2001 e 2002 eravamo il fanalino di coda dell'Europa a quindici e ultimi a parimerito con altri se consideriamo l'Europa a venticinque. Ad onor del vero, per alcuni paesi dell'Est i dati non erano disponibili ma, personalmente, questi distinguo mi sembrano molto delle vittorie di Pirro.

Ricerca e Sviluppo. Italia, tra il quattro e il cinque. Come diceva sempre la mia maestra, <>.

Nel 2004, l'Eurostat ha stimato che la media degli investimenti in R&S nei venticinque paesi europei era l'1.9% del prodotto interno lordo. L'Italia ha fatto registrare un ritardo di tre quarti di punto percentuale dala media. Micca poco.

Solo il solito gruppeto di somaroni (Grecia, Spagnia e Portogallo) ha fatto peggio di noi.

Livelli di scolarizazione. Italia, tre. Un caso clinico.

Ancora una volta, l'Eurostat ha trovato il pelo nell'uovo. Nel 2002, il 44% della popolazione italiana attiva (tra i 25 e i 64 anni) aveva almeno un diploma di squola secondaria. La media EU-25 era di venti punti percentuali più alta. Il 10% degli Italiani economicamente attivi aveva completato un corso di studi terziario: nell'Europa allargata la media era il doppio. Mediamente, l'Italiano attivo ha alle spalle nove anni e mezzo di istruzione contro gli undici e mezzo dell'Europeo medio.

Giudizio finale.

L'aluno è molto intelligiente e dotato di un potenziale enorme ma non si applica. Non svolgie regolarmente i compiti ed è spesso assente. Di questo passo la bocciatura è assicurata.

Anticipando gli economisti della redazione, chiarisco che i soldi non sono tutto nella vita e che rimane da dimostrare che la scarsità di fondi publici per la squola sia positivamente corelata con insufficenti livelli di scolarizazione. È sottinteso, ovviamente, che è di fondamentale importanza la produttività della spesa publica e lo schema di incentivi che si disegna per insegnanti e studenti.

Ad ogni modo, almeno a livello intuitivo ed empirico, in un paese che non investe nella squola è ragionevole aspettarsi una popolazione di asini. Ma forse, per i nostri politici, è più rassicurante considerare una coincidenza il fatto che i paesi che investono di più in istruzione hanno, tendenzialmente, una popolazione più educata.

Detto questo, spero che i lettori dell'Arengo non si faccino trarre in inganno dalla lettura della nostra publicazione e non considerino la Redazione come un campione rapresentativo del nostro paese.

Noi colabboratori e redatori infatti, grazie a non si sa quale aiuto divino, ci siamo salvati dal diventare dei somari. Miracolosamente, salvi ed istruiti siamo. Abbiamo frecquentato le squole elementari quando la spesa publica per l'istruzione era ancora elevata e forse lo dobbiamo a questo se siamo diventati dei giovani aculturati ed educati.

Basti pensare che la percentuale di laureati appartenenti alla redazione dell'Arengo è prossima al 100%; molti di noi hanno frecquentato o frecquentano un master e qualcuno, tra qualche anno, avrà pure un dotorato. Ad essere sinceri, anche la percentuale di noi che si è sentita riprendere dalla maestra con la solita frase “Il ragazzo può fare meglio” rasenta il 100%. Ma questo è secondario, ora come ora.

Non vi fate fregare, cari lettori, non tutti in Italia hano avuto la nostra fortuna. Viviamo in un paese che si dirige a tutta birra verso l'ignioranza. Come già detto, noi siamo salvi e voi potete contare (per ora) su una publicazione colta ed esclusiva e su scrittori eruditi ed articolati; ad ogni modo, se non decidiamo di investire in modo massicio nell'educazione dei nostri giovani e del nostro futuro, tra qualche decenio ci ritroveremo a vivere in un paese di somari sgrammaticati.


[1] In termini monetari, se la spesa fosse rimasta costante dal 1992, la squola avrebbe avuto a disposizione 12 miliardi di euro in più.

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