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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 15 - 16 Aprile 2007 | 0 commenti

A ciascuno il suo

Le recenti vicende politiche italiane, con annessi diktat religiosi, ricordano d'appresso la campagna che seguì le elezioni politiche del 1948; quella, per intendersi, che prevedeva la scomunica per chi aderiva al partito comunista. Sostituiamo ai bolscevichi italiani che mangiavano i bambini, i nuovi pervertiti che accampano diritti comuni, senza dover necessariamente passare per la navata di una chiesa, ed il filo rosso è tracciato. Per diversi giorni, le prime pagine dei quotidiani sono state invase da una non-notizia: l'invito rivolto dalla chiesa ai politici cattolici a non votare la legge sulle coppie di fatto. I soliti noti hanno alzato le barricate della laicità dello stato contro le ingerenze ecclesiastiche, mentre dall'altra parte veniva difesa la famiglia tradizionale, soggetto in via d'estinzione, come cellula primordiale della società civile.

Mentre questa grottesca escalation riempiva i salottini televisivi, i critici più attenti[1], notavano senza scomporsi, come il fatidico non possumus rappresentasse una tendenza mai sopita, che di fatto ha accompagnato la storia italiana, almeno a partire dalla breccia di Porta Pia.

Riscontrare nell'anacronismo insito nei dettami della chiesa un punto di debolezza, è un esercizio ridicolo oltre che sciocco: il dogma come caposaldo irrazionale su cui poggiano indistintamente le diverse religioni, è una categoria a sé stante, di fatto irriducibile ad unità di misura temporali.

Premesso che è ovviamente possibile una lettura maggiormente inclusiva ed evangelica del messaggio cristiano, rispetto a quella fornita dalla gerarchia cattolica, la domanda da porsi, non è tanto se sia lecito che il papa o la Cei dispensino, esercitando la loro funzione, anatemi medievali sulle convivenze o sulla procreazione assistita; ma piuttosto perché questi anatemi, invece di rimanere riposti nel cuore di qualche pio fedele, finiscano per invalidare referendum e creare seri ostacoli al progresso libertario di questo paese.

La chiesa, sintesi millenaria di potere secolare e spirituale, rivolgendosi ai fedeli, esercita il suo magistero in modo più o meno discutibile, ma comunque legittimo: in ogni struttura gerarchizzata esiste un vertice che stabilisce le regole comportamentali, anche se in questo caso sarebbe più corretto definirle dogmi e comandamenti. L'arbitrio nasce soltanto con l'evangelizzazione forzata, ovvero nel momento in cui, anche i non credenti devono iniziare ad uniformarsi ad una weltanschauung di matrice religiosa: la virtù viene prescritta per legge ed il peccato sanzionato. Da tali eccessi, la comunità dovrebbe essere tutelata da un parlamento di matrice laica, secondo il precetto risorgimentale del libera chiesa in libero stato; tuttavia, da una classe politica come quella italiana, dove una senatrice della coalizione di centrosinistra (progressista), nell'Anno del Signore 2007, dichiara candidamente di martoriare le proprie carni col cilicio, ci si può aspettare di tutto.

Il busillis, come scriverebbe Camilleri, insiste precisamente su questo punto: la chiesa, coerentemente alla sua visione, ha tutto il diritto di agire come ritiene opportuno per adempiere al proprio magistero spirituale, sono semmai i cittadini di uno stato laico, che presa coscienza della stridente irragionevolezza del dogma, devono distaccarsene.

Il resto, sono soltanto chiacchiere insensate: privo di senso è pretendere o invocare l'ammodernamento di un potere che fonda la propria consistenza sulla tradizione, privo di senso è che un qualsiasi uomo della televisione pretenda di interpretare i Vangeli meglio dei prelati, privo di senso è infine, che chiunque, si arroghi il diritto di sostenere che il cattolicesimo è qualcosa di differente rispetto al culto istituzionalizzato.

Le chiesa non può essere ammodernata per un motivo sostanziale: il dogma è un istituto irrazionale che prevede come suo elemento costitutivo una fede acritica resa possibile dal sacrificio della ragione, ieri come oggi. Di comunità che dalle Scritture hanno tratto conclusioni differenti rispetto a quella canonica, è piena la storia: pietisti, anabattisti, luterani, calvinisti, valdesi, ortodossi, solo per elencarne alcuni. Questo processo di rilettura, che oggi incontra il favore dei riformisti razionaleggianti, definito teologicamente eresia, è gravido di una conseguenza che forse sfugge ai suoi stessi sostenitori, e cioè, finisce non tanto per ammodernare un culto percepito come stantio, ma piuttosto col generarne uno nuovo, differente rispetto a quello originale, con nuovi dogmi, nuovi precetti e una nuova gerarchia.

E' per l'insieme di questi motivi che il terreno di confronto-scontro tra atei e credenti, non potrà dipendere da un'auspicata “riforma” capace di assorbire i settori della società maggiormente refrattari all'“irragionevole”, ma si fonderà piuttosto nell'antica e insuperata dicotomia tra fede e ragione.

A questo proposito, sono perfettamente in sintonia con Piergiorgio Odifreddi, il quale, nel suo ultimo libro, sostiene argomentando come il cristianesimo abbia rappresentato un pesante freno allo sviluppo della società occidentale, ed italiana in particolare; ma nonostante la validità della premessa, in un paese democratico, sono gli abitanti a dover democraticamente liquidare la superstizione per ciò che è, non i riformatori all'interno di un istituto che non può essere riformato.

Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle, scriveva Voltaire. Capovolgendo carnefici e vittime, per la religione il discorso funziona in modo simile: smetterà di esistere quando la maggioranza dei cittadini prenderà coscienza che il clero cattolico, come le scuole coraniche, o le comunità valdesi, e in generale tutti gli aderenti alle religioni istituzionalizzate, propongono nient'altro che una visione trasfigurata e trasfigurante dell'esistenza, per indorare il terrore ancestrale del nulla post-mortem.

Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22, 21) predicava Gesù secondo Matteo, anticipando di circa 1850 anni il Libera Chiesa in libero Stato di Camillo Benso Conte di Cavour… Noi, stiamo ancora aspettando fiduciosi.


[1] Vedere a questo proposito su il Venerdì del 06-04-2007, la bella intervista di M. Nucci a Giovanni Miccoli, docente di Storia del Cristianesimo all'Univerità di Trieste.

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