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Scritto da nel Numero 14 - 1 Aprile 2007, Scienza | 0 commenti

C'era una volta via Panisperna – seconda parte

continua dal numero 13

Ettore Majorana è il teorico più autentico del gruppo dei giovani guidati da Enrico Fermi, ma in fondo non si sentirà mai parte di esso. Il fisico siciliano studia e lavora da solo, e all'istituto si reca solo molto raramente. Quando lo fa, a Fermi tocca sempre lo stesso spettacolo: tutto inizia con l'esposizione di teorie originalissime che spaziano dalla spettroscopia atomica alle forze nucleari, e termina inesorabilmente con un foglio prima appallottolato, poi scagliato nel cestino. Sarà quasi impossibile convincerlo a pubblicare i suoi lavori. Majorana farà perdere le tracce di sé il 26 marzo 1938. Se si sia trattato di suicidio o di scomparsa premeditata probabilmente resterà per sempre un mistero.

Di fronte a tutto questo ben di Dio Amelio non riesce a resistere: il personaggio è troppo accattivante e le potenzialità narrative che lo caratterizzano non possono non essere sfruttate. Il regista ci restituisce un uomo tormentato, introverso, costantemente in conflitto con se stesso. In ogni caso un genio indiscusso. Il personaggio tratteggiato nel film ricorda molto da vicino l'eroe romantico dipinto da Leonardo Sciascia ne La scomparsa di Majorana: in lui c'è tutto il peso della conoscenza unito alla consapevolezza della sua incomunicabilità.

Proprio come il romanzo, anche il film lascia intuire che il fisico siciliano abbia intravisto dietro le prime scoperte effettuate in via Panisperna conseguenze inimmaginabili anche da Enrico Fermi. La superiorità intellettuale di Majorana, mescolata alla sua fragilità, diventerebbe dunque la causa scatenante del suo rifiuto nei confronti della vita. E per forza di cose della scienza. In un certo senso è come se l'uomo non riuscisse a contenere gli orizzonti aperti dalla genialità dello scienziato. In Majorana queste due anime coincidono a tal punto che il prezzo da pagare non può che essere l'annientamento di se stesso. Egli in definitiva è veramente il prototipo di quello che si definisce un personaggio “da film”. Difficile dunque biasimare il regista: il personaggio lo ha sopraffatto.

Rispetto al romanzo di Sciascia tuttavia, il Majorana cinematografico ha qualcosa in più: è un ribelle. E a tratti diventa perfino irriverente proprio nei confronti di Fermi. Con ogni probabilità su questo punto è realistico pensare che Amelio abbia un po' troppo calcato la mano. E' sicuramente vero che Enrico considerasse Ettore uno dei più grandi fisici di sempre, che soltanto con lui riusciva a smettere i panni del professore, consapevole del fatto che con quel ragazzo schivo potesse discutere alla pari. Ma è altrettanto vero, e gli storici sono abbastanza concordi nel dirlo, che Majorana fosse un ragazzo timido, volubile, capace di alternare momenti di estrema consapevolezza dei propri mezzi, ad altri di profonda insicurezza come si confà ad una persona che ricerca sempre la perfezione.

Il Majorana de I ragazzi di via Panisperna è al contrario spavaldo, sprezzante, infallibile. Molto spesso dispettoso e addirittura infantile. Il risultato non solo non rende giustizia a Majorana, ma finisce per sminuire a tutti gli effetti la figura di Fermi. Che nel film in più di un frangente appare eccessivamente in balia dei capricci e dei calcoli del genio di Catania.

Non c'è dubbio che i due avessero personalità e attitudini molto diverse. Fermi è una persona caparbia, metodica, abitudinaria e fa del rigore e del lavoro di gruppo le fondamenta del proprio fare scienza. Majorana è incostante, istintivo e incarna al meglio lo scienziato visionario e solitario che si affida all'astrazione e al potere rappresentativo della propria mente. Enrico deduce, dimostra, costruisce. Ettore vede, intuisce, crea. Questo non vuol dire che il primo sia incapace di intuizioni e il secondo manchi di rigore. E soprattutto non significa che queste due persone, così diverse nell'avvicinarsi alla vita e alla scienza, debbano necessariamente essere in conflitto tra loro.

Volendo mettere in risalto la diversità delle loro visioni del mondo, Amelio finisce infatti per polarizzare eccessivamente il rapporto tra i dei due e il risultato, quasi scontato, è che entrambi diventano la copia di se stessi. E pensare che la straordinarietà di quel gruppo di ragazzi, tutti poco più che trentenni, è stata proprio la capacità di nutrirsi a vicenda delle rispettive attitudini. Spontaneamente, senza egoismi e risentimenti di alcun genere. Ragazzi sicuramente diversi tra loro, ma accomunati dalla stessa identica passione per la scienza.

Oggi quei giorni ci appaiono lontanissimi. Miliardi di euro, migliaia di ricercatori da ogni parte del mondo. Che nella maggior parte dei casi non si conoscono neppure e finiscono per diventare parte di un ingranaggio divenuto necessariamente troppo complesso. Questo perché il confine della conoscenza si è sempre più assottigliato ed è sempre più difficile spostarlo in avanti. Sono questi i paradigmi della scienza del dopoguerra. E allora, davvero senza volerlo, il film diventa un omaggio all'età dell'oro della fisica, un'epoca nella quale bastava un'idea, una stanza e una manciata di giovani brillanti per cambiare le sorti del mondo.

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