Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Economia e Politica, Numero 14 - 1 Aprile 2007 | 0 commenti

Il valore di una scelta

La crisi del sistema politico italiano perdura da circa una quindicina d'anni. E' opinione ormai comune che essa sia associata, tra l'altro, alla infinita – per alcuni, mai compiuta – transizione dell'assetto istituzionale dello Stato italiano da una forma di governo parlamentare decisamente instabile, viziata da un sistema partitico di c.d. multi-partitismo estremo- presenza di un numero altissimo di partiti rappresentati in Parlamento-, verso un x da definirsi. La questione della legge elettorale è naturalmente l'emblema di questa impasse: il sistema di voto, ovvero la traduzione della quantità di voti in seggi parlamentari, ha un'enorme influenza sulla composizione delle maggioranze in Parlamento, dunque sulla stabilità dei governi e sulle capacità politiche di realizzare riforme di rilievo.

L'eterno dilemma – rinnovato nel corso di queste settimane – è il punto d'approdo della transizione, il corpo di quella x succitata. Semplificando in modo abbastanza schematico, la scelta appare limitata tra due modelli principali: il sistema proporzionale ed il sistema maggioritario. Vale poi la pena di ricordare che entrambi contengono numerose varianti sperimentate in vari Paesi, e che le differenze all'interno degli stessi modelli non sono di poco conto. Ad ogni modo, non è affatto mia intenzione discutere di sistemi elettorali ma dell'applicazione di questi modelli politici al caso italiano.

Un sistema proporzionale – che ripartisce i seggi tra i partiti in proporzione ai voti ottenuti – favorisce una piena rappresentanza in Parlamento di tutte le anime politiche presenti in un Paese. Non implica però necessariamente la formazione di alleanze pre-elettorali tra i partiti, i quali, una volta in Parlamento, si contano tra loro e stabiliscono accordi per la formazione di una maggioranza di governo. Ne consegue – com'è accaduto in Germania – che un elettore può votare per un partito, aspettandosi che formi una coalizione con formazioni affini, poi i numeri per quell'alleanza non bastano, e finisce per trovarsi un'imprevista große Koalition tra partiti presentatisi come rivali. Esistono possibili correttivi maggioritari, è vero, ma il fondamento di un sistema proporzionale è quello di garantire, per la completezza della democraticità in Paesi attraversati da molteplici fratture sociali e politiche, che tutte le forze politiche abbiano voce e rappresentanza. Non a caso il proporzionale è adottato da Stati come l'Irlanda, la Germania, il Belgio, l'Olanda e Israele – e per l'elezione del Parlamento Europeo – dove esistono minoranze politiche, religiose, linguistiche o etniche, piuttosto consistenti.

Diversamente, un sistema maggioritario è pensato per favorire la formazione e il mantenimento di un governo. Il principio di “chi-ottiene-più-voti-vince” avvantaggia i grandi partiti organizzati e le formazioni realmente rappresentative a livello locale. Se da una parte passa sopra le differenze particolaristiche come un rullo compressore, dall'altra tende a semplificare enormemente il sistema politico: meno partiti ci sono, meno numerose le coalizioni, più stabilità dei governi, più facilità per gli elettori di esprimere un giudizio sulle responsabilità di chi ha governato, senza che si possano trovare troppe scuse (del tipo, io-volevo-fare-ma-gli-alleati-non-me-l'hanno-permesso). E' il sistema, per intenderci, di Inghilterra, Stati Uniti e, con notevoli varianti, Francia.

Quale modello è preferibile per l'Italia? Ricordando che la c.d. prima repubblica rientra nel primo caso, che la seconda ha mosso qualche passo in direzione del secondo, e che l'attuale legge Calderoli ci ha riportato nuovamente nel primo, molti – appartenenti generalmente ai grandi partiti – ne concludono che la transizione italiana sarà conclusa quando finalmente si stabilizzerà un sistema maggioritario che garantisca stabilità ai governi di questo Paese. I piccoli partiti, altrettanto logicamente, difendono il proporzionale per salvaguardare la propria esistenza. Messa così sembra semplice. E' indubbio, d'altronde, che l'Italia sia attraversata da plurimi conflitti derivanti dalla propria storia -l'esistenza di una tradizione comunista e fascista radicata, l'autonomismo locale, un cattolicesimo militante e politicamente autonomo -, su cui si sono certamente innestati i potentati dei “baroni” della politica, ma che non sono solo un vezzo superficiale. Questa nazione ha un disperato bisogno di governabilità, ma ha altrettanta necessità – per la tenuta della stessa coesione sociale oltre che della democraticità dell'intero sistema – di tenere conto della propria storia e delle molteplici identità al proprio interno: o i partiti maggiori sono in grado di assorbire tali fratture sociali al proprio interno o si rischia che certi conflitti – esclusi dalla sede parlamentare – prendano strade deleterie per il cuore stesso della nostra già traballante democrazia. Un esempio di fantapolitica: cosa sarebbe successo se la Lega Lombarda degli esordi, genuinamente anti-sistema, fosse stata esclusa dal Parlamento per via di una legge elettorale poco permissiva e non incanalata e “domata” all'interno del sistema politico ordinario? Ricordate l'assalto al campanile di San Marco?

Esistono molti metodi per rendere un sistema proporzionale razionale e adattarlo a logiche maggioritarie – come in Germania. Non si può sognare solo un Paese come vorremmo che fosse e non tenere presente ciò che il Paese è. E poi, come brillantemente ricordava il ministro Amato pochi giorni fa, “la politica debole è plasmata dai sistemi elettorali, mentre la politica forte li adatta a sé” – diceva il grande politologo Duverger. La transizione dello Stato italiano verso una x soddisfacente verrà risolta non solo e non tanto con un sistema elettorale “schiacciasassi”, quanto mediante il cambiamento di ben altri assetti istituzionali manifestamente perfettibili: il ruolo del Primo ministro all'interno del governo, la fine del bicameralismo paritario, il completamento del decentramento istituzionale, per esempio. Auspicarsi, poi, una migliore classe dirigente è forse chiedere troppo, ma mettiamolo nella lista: non si sa mai…

Scrivi un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>