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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 14 - 1 Aprile 2007 | 0 commenti

Incontro al Majestic: pettegolezzo d'autore

Era il 18 maggio 1922 quando all'hotel Majestic di Parigi si tenne una cena destinata a passare alla storia. Il merito non fu attribuibile alla prelibatezza del menù, di cui peraltro non si conserva memoria, quanto piuttosto all'incontro, unico nella storia, di due dei più grandi geni della letteratura mondiale del '900.

A fare gli onori di casa furono Sydney e Violet Schiff, irrefrenabili amanti del lusso, delle feste mondane e di quel nobile pettegolezzo che tanto animava i salotti parigini dell'inizio del secolo. Il pretesto dei festeggiamenti fu dato dalla prima di Renard il balletto di Igor Stravinskij, che quella sera stessa fu messo in scena dai Ballets Russes di Sergej Djagilev all'Operà. La vera attrazione della serata, tuttavia, sarebbe dovuta consistere, per lo meno nelle intenzioni dei coniugi Schiff, nella messa a confronto di due affascinanti e singolari figure d'artista che rispondevano ai nomi di: Marcel Proust e James Joyce.

Le aspettative erano altissime: qualcuno prevedeva un dibattito di poetica (d'altronde Joyce aveva da poco pubblicato l'Ulysses mentre Proust stava ancora rimaneggiando la sua Recherche), altri si aspettavano in dono pure perle di saggezza estetica, i più modesti poi si sarebbero accontentati di un vivace scambio di battute da poter raccontare agli amici.

Ma come spesso accade ogni aspettativa fu delusa e tutto ciò di cui poterono godere quella sera gli ospiti del Majestic, fu una semplice e neanche troppo cordiale indifferenza.

Richard Davenport-Hines autore di Proust at the Majestic[1] libro che tratta nei minimi dettagli lo svolgersi di quella serata, fornisce sei diverse versioni della conversazione fra i due scrittori ma tutte accomunate dall'incomprensione. Qualche anno dopo, ricordando la serata, Joyce raccontò che la parola più significativa che si scambiarono lui e Proust fu un monosillabo: no. Proust gli chiese se conosceva un certo duca, Joyce rispose seccamente “no”. Madame Schiff allora chiese a Proust se aveva letto qualche capitolo dell'Ulysses, la risposta altrettanto seccamente fu di nuovo “no”. A quei tempi l'autore della Recherche era assai più famoso dell'irlandese, ma nei suoi anni di gloria Joyce ripagherà l'indifferenza nei confronti dell'Ulysses con un feroce sarcasmo verso l'intera opera di Proust.

Stanislaus Joyce, fratello di James, una volta affermò che alla natura “[...] occorre un lavoro di secoli per fabbricare il piccolo fiore del genio”.[2] Sappiamo con certezza che l'inizio del '900 di geni ne vide almeno due, ma nella vita, come in parte nella loro opera, erano uomini così diversi da essere incapaci di comprendere l'uno la genialità dell'altro.

Quando all'una del mattino i camerieri cominciarono a riordinare la sala del Majestic, l'autore irlandese, che aveva trascorso buona parte della serata in silenzio con una coppa di champagne in mano, era ormai completamente ubriaco, mentre al tavolo affianco al suo, un altro illustre invitato, inebriato dai fumi dell'alcol si era addormentato: Pablo Picasso.

Sei mesi dopo la cena al Majestic, Marcel Proust morì stroncato da una setticemia fulminante, i due scrittori non s'incontrarono mai più. A noi amanti delle loro opere e dei personaggi cui seppero dare vita, che tanto avremmo voluto assistere ad un dibattito di poetica fra i due, non rimane che l'amaro ricordo di due fenici della letteratura, che se mai si compresero, almeno per un attimo si sfiorarono.


[1] Richardd Davenport-Hines, Proust at the Majestic: the last days of the author whose book changed Paris, Hardcover, 2006.

[2] Stanislaus Joyce, Il guardiano di mio fratello, in AAVV, Introduzione a Joyce, Arnoldo Mondatori, Milano, 1967.

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